Trentamila persone scomparse in sette anni nelle prigioni segrete cinesi

Tempi 7 gennaio 2021  

Tra questi ci sono anche Kovrig, Spavor e Cheng Lei, rapiti come ritorsione contro le iniziative anticinesi di Canada e Australia  

di Rodolfo Casadei  

Alla vigilia di Natale i consolati cinesi a Vancouver, Montreal, Calgary e Toronto e l’ambasciata a Ottawa sono stati sommersi di biglietti di auguri indirizzati a Michael Kovrig e a Michael Spavor, due canadesi detenuti in Cina dal dicembre 2018 come palese ritorsione all’arresto in Canada su richiesta delle autorità statunitensi di Meng Wanzhou, la figlia del fondatore del gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei, accusata di frode per false dichiarazioni alle banche sui suoi rapporti con l’Iran.

Meng Wanzhou,

Kovrig è un ex diplomatico che collabora con l’International Crisis Group che non aveva mai avuto problemi con Pechino, Spavor è un imprenditore, e 18 mesi dopo il loro arresto sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di spionaggio. I biglietti di auguri inviati alle rappresentanze cinesi sono parte di una campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica al destino dei due detenuti.

LE PRIGIONI SEGRETE

Mentre Meng Wanzhou è agli arresti domiciliari in una lussuosa villa di Vancouver in attesa che le Corti canadesi si pronuncino sulla richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti, e può uscire di casa applicando un bracciale elettronico alla caviglia, Kovrig e Spavor sono detenuti in un penitenziario cinese dopo aver trascorso i primi sei mesi successivi al loro arresto sotto Sorveglianza residenziale in località designata (Rsdl nell’acronimo inglese).

Nonostante l’espressione faccia pensare a una sorta di arresti domiciliari in albergo o struttura analoga, si tratta di prigioni segrete istituite presso edifici che non fanno parte del sistema penitenziario, e presso le quali non valgono le regole dello stesso. Mentre è difficile stabilire quando questo sistema sia stato inaugurato, è certo che è stato applicato su scala sempre crescente a partire dal 2013, dopo una modifica del codice di procedura penale cinese avvenuta nel 2012.

Il 2013 è l’anno in cui Xi Jinping è diventato presidente della Cina, il 2012 è l’anno in cui è stato eletto segretario del Partito comunista cinese (Pcc). L’organizzazione per i diritti umani Safeguard Defenders ha calcolato che i detenuti in Rsdl sono cresciuti da 400 nel 2013 a 6 mila nel 2019. In sette anni attraverso il sistema sarebbero passate 30 mila persone, un ristretto numero delle quali straniere.

Ultima in ordine di tempo la giornalista australiana di origine cinese Cheng Lei, arrestata il 14 agosto scorso come evidente rappresaglia per un’operazione di polizia in Australia nel corso della quale erano state perquisite a fondo le residenze di giornalisti cinesi nel paese e soprattutto per la richiesta da parte del governo australiano di un’inchiesta internazionale indipendente sull’origine cinese del Covid-19.

«A UN CERTO PUNTO SI PENSA AL SUICIDIO»

Alla Cheng non è servito essere conduttrice di punta di China Global Television Network, emittente in lingua inglese di proprietà della tv di Stato cinese, China Central Television, perfettamente organica agli interessi del Pcc e del governo. All’inizio di settembre altri due giornalisti australiani – Bill Birtles e Mike Smith – hanno lasciato in fretta e furia la Cina per paura di fare la stessa fine di Cheng Lei. In cosa consistano le Rsdl e attraverso quali esperienze passino i detenuti che vi sono internati lo ha spiegando Peter Dahlin, lo svedese fondatore di Safeguard Defenders, che nel 2016 trascorse 23 giorni nelle prigioni segrete prima di essere espulso dalla Cina. Così descrive le ipotetiche condizioni in cui si troverebbe la giornalista cinese-australiana:

«Cheng non è formalmente arrestata, non ha diritto a un avvocato, non è confinata in un centro di detenzione o presso un commissariato di polizia, e nessuna Corte ha emesso un mandato per il suo arresto. Trascorrerà fino a sei mesi in una località segreta di cui non saranno al corrente né la sua famiglia né il suo governo, vivendo in una cella a prova di suicidio, in isolamento e segregata. Si troverà in quella che l’Onu qualche anno fa ha definito una condizione di “scomparsa forzata”, un termine che indica un rapimento organizzato e approvato dallo Stato.

Ogni contatto con le sue autorità consolari, che sarà raro e sempre in presenza di poliziotti, avrà luogo per video-chat o in località diverse da quella dove la prigioniera è trattenuta, per essere certi che il governo australiano non venga a conoscenza del luogo effettivo della detenzione. (…) Cheng sarà sotto chiave in una delle quattro ali di sicurezza, in una cella dove anche la tazza del water e il rubinetto sono imbottiti.

Come molte vittime hanno raccontato, a un certo punto potrà prendere in considerazione l’ipotesi del suicidio, e concluderà che non è possibile: nella sua cella ci saranno sempre due guardie che si alterneranno in turni di sei ore e la controlleranno a vista, sedute con lei dentro alla cella. Non avrà permesso di comunicare con loro ed è probabile che non avrà nemmeno il permesso di muoversi dal letto, sul quale dovrà stare seduta. Nella stessa ala di sicurezza, proprio di fronte alla cella, c’è la sala degli interrogatori, dove è probabile che si svolgano sedute di interrogatorio di sei ore al giorno, o piuttosto per notte, per essere certi che perda le forze a causa della privazione di sonno.

Lì sarà bloccata in una “sedia tigre” di legno (un sedile considerato strumento di tortura – ndr) dotata di un’asta che blocca le gambe, eventualmente ammanettata e incatenata alle caviglie. Urla e altre forme di intimidazione per impedirle di addormentarsi sono quasi certe. Non si può sapere se le saranno inflitte torture fisiche: agli stranieri di solito vengono risparmiate, ma a molti cinesi no.

Sappiamo tutto questo perché io, come molte persone che conosco e con le quali ho lavorato, ho visto questa realtà dall’interno e l’ho sperimentata su di me. Tutta la struttura è pensata per spezzare la resistenza del prigioniero, per fargli confessare qualsiasi accusa gli sia mossa, e infine per convincerlo dell’autenticità della sua confessione».

IL RICATTO ECONOMICO

La Cina ha promosso sanzioni economiche contro il Canada e contro l’Australia a seguito dell’arresto di Meng Wanzhou a Vancouver e della crisi nelle relazioni sino-australiane, nella convinzione che i due paesi cederanno su tutti i punti dei contenziosi per non subire danni economici dal raffreddamento degli scambi con Pechino. All’indomani dell’arresto in Cina di Cheng Lei i titoli quotati alla Borsa australiana hanno perso mediamente il 2,5 per cento del loro valore.