Il graduale abbandono della vita domestica

focolare_domesticoTratto da: La Chiesa viva, Ed.Paoline, 1963, pp.43-54

La verità è che nessuno ha il diritto di distruggere nessuna istituzione sociale sinché abbia visto che si tratta per davvero di una istituzione storica. Quando egli saprà come è sorta e a quali scopi si voleva servisse, sarà anche in grado di dire se si trattava di scopi cattivi o di scopi diventati cattivi in seguito, o di scopi che in tal modo non si possono più utilmente servire

di G.K.Chesterton

Parlando dell’opera di riforma delle cose, ben diversa da quella che tende a deformarle, non si deve trascurare un principio chiaro e semplice, che probabilmente verrà accusato di essere paradossale. Esisterà in un dato caso una certa istituzione o una legge; diremo per amore di semplicità che esiste una barriera o un cancello che sbarrano la via. Il riformatore ultramoderno andrà avanti per la sua via esclamando allegramente: «Non vedo a che cosa possa servire, quindi è cosa da distruggere”. A che il riformatore intelligente farà bene ribattere: “Se non vedi a che cosa possa servire, non per questo ti permetterò di distruggerla. Vattene, e ripensaci, e quando potrai ritornare a dirmi che sei riuscito a vederne l’utilità ti potrò permettere di operarne la distruzione».

Questo paradosso riposa sul più elementare buon senso. La barriera o il cancello non sono cresciuti spontaneamente sul posto, non li ha costruiti durante il sonno qualche sonnambulo. E’ molto poco probabile che siano stati eretti da mentecatti fuggiti dal manicomio e capitati chissà come a passare di là. Alcuni debbono avere avuto qualche ragione di pensare che per altri sarebbero state cose buone. E finché non scopriremo quale fosse questa ragione non saremo davvero in grado di giudicarla ragionevole o no.

Se le cose erette da esseri umani quanto lo siamo noi ci appaiono del tutto misteriose e affatto prive di significato, è del tutto probabile che si abbia trascurato il lato d’insieme della questione. Esistono riformatori che superano tale difficoltà coll’ammettere che tutti i loro antenati fossero degli sciocchi. Se il caso fosse davvero questo, non potremmo che dedurre l’ereditarietà di tale malattia. Ma la verità è che nessuno ha il diritto di distruggere nessuna istituzione sociale sinché abbia visto che si tratta per davvero di una istituzione storica.

Quando egli saprà come è sorta e a quali scopi si voleva servisse, sarà anche in grado di dire se si trattava di scopi cattivi o di scopi diventati cattivi in seguito, o di scopi che in tal modo non si possono più utilmente servire. Ma se si limiterà a fissare la cosa quasi fosse una mostruosità priva di significato, sorta chissà come a intralciargli il cammino, è lui e non il tradizionalista ad essere affetto da allucinazioni.

Potremmo giungere sino a dire che egli vede le cose come se si trovasse in preda a un incubo. Il principio si applica a mille casi, a quelli insignificanti quanto alle vere istituzioni, alle convenzioni così come alle convinzioni.

Era esattamente una persona come Giovanna d’Arco, la quale sapeva bene perché le donne indossano le gonne, che aveva tutte le giustificazioni per non indossarle; era esattamente una persona come san Francesco, il quale aveva provato grande simpatia per i banchetti e l’angolo del focolare, ad avere più d’ogni altro il diritto di farsi mendicante sulle vie maestre. E quando, nella grande corrente di emancipazione della società moderna, la Duchessa dice di non vedere perché non dovrebbe giocare a saltamontone, o il Decano dichiara di non notare nessuna solida ragione canonica che gli impedisca di stare ritto sulla testa, potremo rispondere loro con paziente benevolenza: «Vi invitiamo a differire queste operazioni sin quando, dopo mature riflessioni, abbiate compreso quale principio o pregiudizio intendete violare. E allora giocate a saltamontone e state ritti a gambe all’aria, e che il Signore vi benedica».

Fra le tradizioni che si stanno attaccando, non con intelligenza ma del tutto stupidamente, si trova la fondamentale creazione umana definita il focolare domestico o la Casa. È tipico degli uomini l’attaccarla, non perché riescono a portare gli sguardi di là di essa, ma perché non riescono a vederla affatto.

Vi sferrano contro i loro colpi alla cieca, assolutamente a Casaccio, approfittando di ogni occasione; molti sarebbero lietissimi di abbatterla senza neppure fermarsi a chiedersi perché mai sia stata dunque edificata. È vero che soltanto pochi vorrebbero confessare tale scopo a parole, il che prova soltanto quanto siano ciechi e balordi. Ma si sono lasciati trascinare dalla corrente che li sospinge con graduale distacco lontano dalla vita domestica, da un processo quindi a volte soltanto accidentale e privo affatto di una teoria ben definita.

Ma benché accidentale, non è per questo un fenomeno meno anarchico, e tanto più anarchico per non essere tale a parole. Esso sembra fondarsi in larga misura sull’irritazione personale, un’irritazione che varia da individuo a individuo.

Ci si dirà soltanto che in questo o quel caso un dato temperamento si sentiva tormentare da un certo ambiente, ma nessuno ha mai saputo spiegare come abbia avuto inizio il male, senza dire poi che non si è mai potuto spiegare se il male sia stato per davvero evitato. Ci si dirà che in questa o quella famiglia la Nonnina diceva un mucchio di sciocchezze e Dio sa quanto vero sia; o che è estremamente difficile stringere intime relazioni intellettuali con lo zio Gregorio senza dirgli che è uno sciocco mentre questa è la verità.

Ma nessuno considera con serietà il rimedio e neppure la malattia; e non si considera neppure se la dissoluzione individualistica sia un rimedio per davvero. Gran parte della cosa ebbe inizio con Ibsen che fu drammaturgo potente ma filosofo estremamente debole. Credo che la Nora di Casa di Bambola dovesse infatti essere nell’intenzione dell’autore una persona illogica ma senza dubbio la sua più illogica azione fu l’ultima. Si lamentava di non essere ancora adatta a badare ai bambini e poi, certo allo scopo di studiarli più da vicino, prese la decisione di allontanarsi da loro il più possibile.

Abbiamo una prova semplice e tipica di questa abitudine che si ha di trascurare il pensiero scientifico e il significato delle regole sociali, abitudine che ci ha lasciato soltanto un gran sudiciume di eccezioni. In tutti i romanzi e i giornali dei nostri giorni ho letto centinaia e migliaia di volte certe frasi intorno al giusto diritto dei giovani alla libertà, intorno all’ingiustizia del controllo da parte degli anziani, intorno al concetto che tutti gli spiriti debbono essere liberi e tutti i cittadini eguali, intorno all’assurdità dell’autorità e all’indegnità dell’obbedienza.

Per il momento non intendo discutere direttamente tali proposizioni. Ma ciò che mi colpisce come un’enormità priva di senso è che neppure uno fra queste miriadi di romanzieri e di giornalisti neanche sogna di passare a formulare in maniera ovvia la questione successiva. Sembra che non pensino neppure a chiedersi che ne è dell’obbligo reciproco. Se fin dal principio il figlio è libero di trascurare i genitori, perché i genitori non saranno pure liberi sin dal principio di trascurare i figli?

Se il signor Jones padre e il signor Jones figlio non sono che due cittadini liberi ed eguali perché uno dei due dovrebbe sfruttare l’altro durante i suoi primi quindici anni di vita? Perché si dovrebbe esigere che il signor Jones anziano nutra, vesta e dia ospitalità di tasca sua a un’altra persona affatto priva di ogni obbligo verso di lui?

Se non è possibile chiedere alla creatura giovane e brillante di tollerare sua nonna che s’è fatta noiosa, perché la nonna e la madre dovrebbero tollerare la creatura giovane e brillante nel periodo della vita in cui essa non era affatto brillante? Perché esse hanno preso faticosa cura di lei nel tempo in cui il suo contributo alla conversazione era ben di rado epigrammatico e non spesso intelligibile?

Perché Jones padre dovrebbe offrire gratis cibo e bevande a una persona come Jones figlio così poco simpatica nelle fasi immature della sua esistenza? Perché non dovrebbe poter gettare il bambino dalla finestra o per lo meno scacciare il ragazzo dalla porta? È ovvio che si tratta di una vera relazione che potrà essere di eguaglianza ma che non è davvero di somiglianza.

So che taluni riformatori sociali cercano di superare la difficoltà per mezzo di qualche vago concetto intorno allo Stato, ad un’astrazione che si definisce l’Istruzione pubblica con cui si eliminerebbero le funzioni dei genitori. Ma come altri concetti, che possiede la gente scientificamente solida, si tratta di un’illusione stramba sul genere di quelle suscitate dai colpi di sole. Essa si fonda su quella strana e nuovissima superstizione che è l’idea delle infinite risorse dell’organizzazione.

È come se i funzionari crescessero come l’erba o si potessero allevare come i conigli. Si suppone di poter avere masse senza fine di persone salariate e di salari da rimettere loro; e che esse siano destinate a compiere tutto ciò che gli esseri umani fanno naturalmente per loro stessi, compresa la cura dei figli. Ma non si può continuare a vivere all’infinito lavando la biancheria sudicia di bambini altrui. Non si può fornire un precettore per ogni nuovo cittadino; chi sarebbe poi in grado di istruire i precettori? Gli uomini non si possono educare a macchina, e se anche sarà possibile avere il muratore o lo spazzino meccanico non si avrà mai però il maestro o la governante costruiti meccanicamente.

L’effetto reale di questa teoria è che una persona oppressa dal lavoro dovrà badare a cento bambini invece che una persona in buona salute badi a un numero di bambini normale. In via ordinaria quest’ultima persona si sente spinta da una forza normale che non le costa nulla e che non esige alcun salario dalla forza dell’affetto naturale verso i propri piccoli che esiste anche tra gli animali inferiori.

Tagliando via questa forza naturale e sostituendovi una burocrazia retribuita si agirebbe come lo sciocco il quale paga degli uomini a girare per lui la ruota del mulino per la ragione che si rifiuta di usare il vento o l’acqua che possiede senza spesa. Si agirebbe come il pazzo che annacqua diligentemente il giardino con l’annaffiatoio tenendo aperto l’ombrello per riparare la terra dalla pioggia.

E necessario ritornare con la mente a queste verità lapalissiane perché soltanto in questo modo potremo scorgere vagamente la ragione dell’esistenza della famiglia, quella appunto che ho incominciato a chiedermi all’inizio di questo saggio. Ai nostri padri esse erano tutte verità familiari, poiché essi credevano nei legami della parentela così come nei legami della logica

Oggi la nostra logica consiste più che altro nel perdere di vista i legami, e le nostre famiglie sono composte in gran parte di membri assenti. Ma tuttavia è questa l’estremità giusta da cui si deve incominciare ogni inchiesta del genere: non si deve partire dalla coda o dal mozzicone di sigaretta di qualche disordine privato avvenuto perché Dick è scontento e Susanna se ne è andata per conto suo. Se Dick e Susanna non vedono lo scopo a cui serve la famiglia e desiderano distruggerla, ripeterò quanto ho detto da principio: se non vedono a che cosa possa servire farebbero meglio a conservarla. Non hanno nessun diritto neppure di pensare a distruggerla, sin che ne abbiano veduta almeno l’utilità.

Ma serve anche ad altre cose oltre al fatto ovvio che essa significa un lavoro sociale necessario, eseguito per amore là dove non lo si potrebbe compiere per denaro, e (si oserebbe quasi dire) che dovrebbe essere logicamente ripagato di eguale amore, dato che in moneta non è possibile ripagarlo.

L’attuale sistema sociale che ai nostri giorni e nella nostra cultura industriale vien fatto segno a violente ingiurie ed è intessuto di problemi penosi, è tuttavia normale. Si tratta dell’idea che la comunità è formata da un certo numero di piccoli regni nei quali, compatibilmente al buon senso della comunità, l’uomo e la donna diventano il re e la regina sinché coloro che sono a loro soggetti crescono per fondare a loro volta regni simili e per esercitarvi un’identica autorità. È la struttura sociale dell’umanità la quale è di gran lunga più antica di ogni cronaca e più universale di tutte le sue religioni, e ogni tentativo che tenda ad alterarla non è che una somma di vane parole e di buffonate.

Ma l’altro vantaggio che deriva dal piccolo gruppo non viene ora tanto dimenticato quanto invece non compreso. Anche qui si nota una straordinaria illusione diffusa in tutta la letteratura e nel giornalismo dei nostri giorni. Illusioni del genere esistono oggi in grado tale che in pratica si può giungere a dire che quando una cosa viene detta e ripetuta per vera un migliaio di volte è quasi certo che sia assolutamente falsa.

Qui ne potremo citare specialmente una. Si può certo dir qualcosa contro la vita domestica e in favore della tendenza generale del vivere in albergo, al circolo, in collegio, in alloggi comuni e così via; o in favore di una vita sociale organizzata sul piano dei grandi sistemi commerciali del nostro tempo. Ma la cosa davvero straordinaria è che spesso si dice come questa evasione dalla casa porta verso una maggiore libertà, ché il mutamento viene infatti offerto in favore della libertà.

Per chiunque sia capace di pensare è chiaro che si tratta esattamente del contrario. Essendo umana, la suddivisione domestica della società non è perfetta. Non potrà realizzare una libertà completa che è cosa alquanto difficile a farsi e anche soltanto a definirsi. Ma è semplice questione aritmetica il fatto che essa dia a un grandissimo numero di persone il controllo supremo di qualcosa e la possibilità di foggiare questa cosa stessa a piacer loro in misura molto maggiore di quanto facciano le vaste organizzazioni che governano dal di fuori la società, sia con sistemi legali, commerciali, o soltanto sociali.

Anche se si trattasse soltanto di voler prendere in considerazione i genitori è chiaro che il numero di genitori che esistono è superiore a quello dei poliziotti, degli uomini politici, dei direttori di grandi aziende, e di proprietari d’alberghi. Come fra poco accennerò, la questione si può in maniera indiretta applicare tanto ai figli che ai genitori. Ma il punto centrale è che il mondo esterno alla famiglia si trova ora sottoposto ad una rigida disciplina e ad una altrettanto rigida routine, e che soltanto entro la casa vi è posto per la libertà personale.

Chiunque varca la soglia per uscire nella via è costretto a mettersi in colonna con tutti coloro che vanno nella medesima direzione e in misura non piccola è addirittura costretto anche a indossare la stessa uniforme. Gli affari, specialmente i più vasti, sono oggi organizzati come l’esercito. Qualcuno direbbe che si tratta di una specie di militarismo moderato senza spargimento di sangue, mentre io lo chiamerei un militarismo privo anche delle virtù militari.

È tuttavia evidente che i cento impiegati di una banca o le cento cameriere di un grande caffè sono più irregimentati e governati da regole fisse dei medesimi individui quando essi siano ritornati a casa o nella camera ammobigliata adorna con le vedute preferite e profumate dal fumo delle sigarette economiche preferite.

Ma, per quanto ovvio nel campo del commercio, questo non è meno vero se detto del campo sociale. In pratica il perseguimento del piacere non è che frutto della moda, e il seguire la moda non è che una convenzione, una convenzione che appare nuova. Il jazz, le gite, i grandi ricevimenti e i trattenimenti negli alberghi non tendono a soddisfare il gusto veramente indipendente più di quanto facessero le mode del passato.

Se una fanciulla ricca desidera fare tutto ciò che fanno le altre fanciulle ricche si divertirà un mondo semplicemente perché tanto la gioventù che la società son divertenti. Essa godrà di essere moderna esattamente come sua nonna vissuta nell’epoca vittoriana godeva di essere vittoriana. E questo ben a ragione; ma si tratta di godimento convenzionale, non di un godimento libero. È cosa sanissima che i giovani di ogni tempo, in una certa ragionevole misura, si raggruppino copiandosi l’un l’altro con entusiasmo, ma non esiste in questo nulla di specialmente fresco e neppure nulla di specialmente libero.

La ragazza a cui piace avere i capelli corti e usare il trucco e indossare abiti corti troverà che il mondo è organizzato apposta per lei e tutta felice si metterà in marcia seguendo il corteo. Ma la ragazza a cui per caso piacesse avere i capelli lunghi sino ai piedi, adornarsi di acconciature antiquate, portare vesti con lo strascico e (orrore di tutti gli orrori) mostrare il volto al naturale sarà bene si attenga al consiglio di soddisfare questi desideri entro i confini della sua abitazione.

Se la Duchessa sceglie di esercitarsi nel saltamontone, essa non dovrà mettersi di punto in bianco a saltare come una ranocchia da un capo all’altro del salone da ballo dell’Hotel di Babilonia affollato dalle cinquanta migliori coppie le quali stanno eseguendo a beneficio della società le danze di ultima creazione. La Duchessa troverà più semplice esercitarsi nel salto innanzi alla ammirata presenza delle amiche più intime nell’antico vestibolo rivestito di quercia del Castello di Fitzdragon.

Se il Decano della Cattedrale vuole stare ritto sulla testa lo farà con maggiore comodità e grazia nella calma atmosfera della sua residenza piuttosto che interrompendo il programma di qualche trattenimento sociale organizzato a scopo benefico.

Se la routine impersonale esiste nelle cose commerciali e anche in quelle sociali va da sé che esista e debba esistere sempre anche nelle cose politiche e legali. Per esempio, le punizioni inflitte dallo Stato debbono di necessità essere delle generalizzazioni. È soltanto la punizione applicata entro le pareti domestiche che potrà venire adattata ai singoli casi poiché è soltanto qui che il giudice può essere a conoscenza della natura dell’individuo.

Se Tommy prende il ditale d’argento dal cestino di lavoro, sua madre potrà agire a seconda che sappia se egli l’ha fatto per gioco o per dispetto o per vederlo o per mettere nei pasticci qualcuno. Ma se Tomkins prende un ditale d’argento in un negozio, la legge non potrà se non punirlo secondo le regole applicabili a tutti i taccheggiatori e a tutti i ladri di oggetti d’argento. È soltanto la disciplina domestica che è in grado di dimostrare comprensione, e specialmente umorismo.

Non dico che la famiglia faccia questo in ogni singolo caso, ma affermo che lo Stato non potrebbe mai tentare di farlo. Così che, anche soltanto a voler considerare i genitori come principi indipendenti e i figli come semplici sudditi, la libertà relativa della famiglia può operare e spesso opera davvero in favore di questi soggetti. Ma sintanto che i figli sono giovani dovranno sempre andare soggetti a qualcuno. La questione sarà di decidere se si dovranno lasciare naturalmente ai loro sovrani naturali come in antico si diceva, i quali normalmente provano verso di loro sentimenti che nessun altro è in grado di provare e cioè degli affetti naturali. Mi sembra chiaro che tale sistema distributivo dia la maggiore misura di libertà al maggior numero di persone.

La mia protesta contro la corrente contraria alla vita domestica è che essa manca di intelligenza. La gente non sa quello che fa poiché non conosce là cosa che sta disfacendo. Esiste un gran numero di manifestazioni moderne, dalla maggiore alla minima, e vanno dal divorzio alla scampagnata. Ma non si tratta che di evasioni, e specialmente di maniera con cui trattare evasivamente la questione principale.

La gente dovrebbe decidere filosoficamente se desidera o no l’ordine sociale tradizionale e se esiste un’altra soluzione particolarmente desiderabile. In realtà si tratta la questione pubblica semplicemente come un imbroglio e un groviglio di confusioni private. Anche volendo comportarsi in maniera antidomestica si è troppo domestici in questa maniera di porre in discussione la vita domestica. Ogni famiglia non fa che prendere in considerazione il proprio caso e il risultato è semplicemente meschino o negativo.

Ogni caso forma l’eccezione a una regola che non esiste. Specie nella sua condizione moderna la famiglia mostra la necessità di una notevole correzione e ricostruzione, e questo andrebbe detto oggi anche di altre moltissime cose. Ma la casa deve venire preservata, distrutta o ricostruita; non le si deve permettere di cadere in pezzi un mattone dopo l’altro, per la ragione che nessuno possiede abbastanza senso storico intorno al modo di mettere i mattoni. Gli architetti della restaurazione dovrebbero, per esempio, ricostruire la casa con porte più ampie e facilmente apribili per facilitare la pratica delle antiche virtù ospitali.

In altre parole, la proprietà privata dovrebbe venire distribuita con sufficiente eguaglianza così da permettere un certo margine per i rapporti festosi. Ma l’ospitalità della casa rimarrà sempre diversa da quella dell’albergo; sarà diversa per il fatto di essere più personale, più indipendente e più interessante di quella. È perfettamente giusto che i giovani Brown e i giovani Robinson s’incontrino e ballino e facciano gli stupidi secondo gli intendimenti del loro Creatore.

Ma esisterà sempre una certa differenza tra i Brown nell’atto di offrire un ricevimento ai Robinson e i Robinson che offrono un ricevimento ai Brown. Sarà una diversità che andrà a favore della varietà della personalità e delle facoltà mentali dell’uomo, in altre parole, della vita, della libertà e del raggiungimento della felicità.