Poveri tutti. All’economia fa bene la conversione non l’utopia

 Rassegna Stampa propone gli interventi del convegno on line di

mercoledì 18 Novembre 2020

Un’enciclica: Fratelli Tutti. Un evento internazionale promosso dal Vaticano: The Economy of Francesco. Una riunione del Forum Economico Mondiale: The Great Reset. I massimi poteri della Terra, ecclesiastici e temporali, si riuniscono per discutere sul futuro del nostro mondo. Si tratta nientemeno di “resettare” l’economia e la società, cioè di cancellare quelle vigenti, aprendo quindi la via a una nuova era storica. Perciò approfittano del grande scompiglio creato dalla pandemia da COVID-19.

Quali sarebbero le caratteristiche di questa nuova era? Per esaminarne contenuti e possibili conseguenze, l’Associazione Tradizione Famiglia Proprietà, insieme alla Nuova Bussola Quotidiana e all’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina Sociale della Chiesa, ha organizzato lo scorso 18 novembre il convegno virtuale “Poveri Tutti”, trasmesso in diretta da diversi canali online, e tuttora disponibile sulla rete.

Moderato da Federico Catani, della TFP italiana, hanno partecipato al convegno l’economista Ettore Gotti Tedeschi, Julio Loredo, direttore della TFP italiana, Stefano Fontana, direttore dell’Osservatorio Van Thuân, e Riccardo Cascioli, direttore della Nuova Bussola Quotidiana

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AD ASSISI, UNA FATWA AL CAPITALISMO?  DALLA MERITOCRAZIA ALL’INETTOCRAZIA

di Ettore Gotti Tedeschi

Dell’evento Economy of Francesco ad Assisi, quasi non se ne parla, ma non perché propone l’opposto di Davos, ma perché è “fuori tempo”. Era stato concepito per esser discusso a marzo 2020, ma tutto è cambiato da allora, superato grazie agli eventi ultimi del Covid ed elezioni americane, che cambieranno ogni prospettiva immaginata nove mesi fa e le conseguenti aspirazioni, utopistiche o no.

Negli anni passati, riferendomi al pensiero economico-sociale di alcuni grandi Papi (Leone XIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) avevo scritto che un Papa è il più grande economista. Ciò perchè un Papa meglio di chiunque altro sa quali sono i veri bisogni dell’uomo e come soddisfarli.

Oggi ho alcune perplessità grazie ad alcuni dubbi, che son sorti negli ultimi sette anni, sul nuovo rapporto tra Magistero ed economia.

Dubbi erano venuti dopo la pubblicazione di Evangelii Gaudium dove si legge che il peggiore dei mali sociali è la inequità. Cioè la cattiva ripartizione delle risorse, non il peccato. Altri dubbi vennero leggendo Laudato Sì, non tanto sulla giustissima esortazione a custodire la terra, quanto sul fatto che non si intende se si siano intese le origini e le responsabilità delle sofferenze climatiche e ambientali.

Nuovi dubbi son venuti leggendo Fratelli Tutti, che sembrerebbe ispirata da Utopia di san Tommaso Moro, aggiornata su alcuni temi socio economici. Ulteriori dubbi poi son sorti leggendo le cronache del convegno di Assisi (Economy of Francesco).

Poiché Papa Francesco incoraggia ad avere dubbi spiegando che “il dubbio è una ricchezza”, e dichiarando che lui “non ha fiducia nelle persone che non dubitano mai”, mi sento autorizzato ad esporre filialmente il dubbio che il Papa non abbia avuto corretti suggerimenti in materia socioeconomica.

Nel Videomessaggio di sabato 21 novembre, rivolto ai giovani convenuti ad Assisi, Sua Santità spiega: “Sapete che urge una diversa narrazione economica. L’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista. Perché colpisce nostra sorella terra, tanto gravemente maltrattata e sfregiata e insieme i più poveri esclusi”.

che il successore di Pietro considerasse l’attuale sistema mondiale insostenibile perché ha negato il messaggio evangelico di Cristo ed ha ignorato la maggior parte delle leggi naturali volute da Dio e che il vero “sviluppo integrale” sostenibile voglia necessariamente la conversione al Vangelo. Cosa non ho capito? Nello spirito di Assisi, si intuisce un attacco al capitalismo che ha troppo soddisfatto pochi privilegiati ed impoverito molti altri, creando maggiori diseguaglianze e ingiustizie.

Non si può non percepire un attacco alla ricerca di sano merito personale quando il Papa stesso spiega che la meritocrazia è all’origine delle diseguaglianze. Si auspica quindi, oltre a un nuovo capitalismo, demeritologia e inettocrazia? Poiché in Fratelli Tutti viene esplicitato che l’Enciclica è stata ispirata dall’Imam di Abu-Dhabi, è ragionevole assimilare la condanna del capitalismo alla Fatwa islamica del capitalismo finanziario?

È anche ragionevole supporre che la proposta di realizzare una forma di economia cooperativa possa esser ispirata anche lei alla forma di economia e finanza islamica, che è proprio cooperativa? Era poi già stato anticipato dal Papa stesso, nella giornata per la cura del creato, l’esigenza di decrescita consapevole. Lamento che il Papa non sia stato informato che il mondo occidentale ha già subito una decrescita, che solo negli ultimi 8 mesi è di circa un 10%.

Comunque se una ulteriore decrescita è auspicata e incoraggiata nel mondo occidentale (certo non in Cina) diverremo sì tutti fratelli e uguali, ma nella povertà materiale, intellettuale e soprattutto spirituale. La decrescita danneggia tutti, i più poveri diverranno ancor più poveri e i giovani non troveranno lavoro (o magari si presenteranno tutti al concorso per trovar lavoro come guardie svizzere?).

In compenso madre terra tornerà ad essere una jungla rigogliosa. Ma le aspirazioni utopistiche di Assisi son già superate dagli eventi che gli “esperti” non hanno ancora spiegato a Papa Bergoglio: le soluzioni post Covid e il risultato delle elezioni americane. A salvare il mondo non sarà certo Greta e qualche gastronomo.

In un suo libro ancora inedito (anticipato dal Corriere) Papa Francesco cita Lutero: “Non aiutare il prossimo è rubare”. Io credo che non aiutare il prossimo, potendolo fare, significhi peccare, più che rubare. Ma è proprio il dubbio sulla esistenza del peccato, che sta ancora una volta confondendo cause ed effetti nel cattivo uso degli strumenti economici. C’è ancora il peccato? Benedetto XVI non aveva lasciato dubbi in proposito, concludendo Caritas in Veritate

Fonte: La Verità, 25 Novembre 2020

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POVERTÀ E DISUGUAGLIANZE, COSA PENSARNE?

di Julio Loredo

Chi ha conosciuto il mondo comunista sa che esso è contrassegnato, oltre che dal carattere dittatoriale dei regimi, dal grigiore della vita quotidiana: scarsa illuminazione, manutenzione inesistente, palazzi fatiscenti, alimentazione scadente, scaffali vuoti, abbigliamento scialbo, poca scelta di divertimenti, assenza di beni superflui e via dicendo.  

Questo grigiore è conseguenza ovvia del fallimento economico dei regimi comunisti. Ma ubbidisce anche a un preciso disegno filosofico. Il sistema comunista è fatto per indurre all’indolenza. Fuori dai pochi privilegiati della nomenklatura, nessuno ha il diritto di assicurarsi un maggiore benessere in conformità al sistematico aumento quantitativo e qualitativo del proprio impegno.

Ciò per il principio totalitario dell’uguaglianza: nessuno può avere più dell’altro, affinché non ci sia nessuna “alienazione”. E l’unico modo perché tutti siano uguali è che tutti siano poveri. Poveri tutti, appunto. Poveri e uguali. Questo egualitarismo è la chiave per comprendere l’ultima enciclica di Papa Francesco e, presumibilmente, l’evento internazionale “The Economy of Francesco” che partirà domani. La povertà è il mezzo. L’obiettivo è l’egualitarismo.

Secondo il noto teologo della liberazione, ora autoproclamato “ecoteologo” Leonardo Boff, oratore principale de “L’Economia di Francesco”, il succo dell’enciclica Fratelli tutti è il passaggio dal concetto di “signore” a quello di “fratello”. ”In un saggio che anticipa la sua conferenza, Boff afferma che Papa Francesco vuole cambiare l’attuale paradigma mondiale – basato sulle “disuguaglianze in ogni campo” – introducendo un nuovo paradigma basato su una “fraternità universale”, cioè una “fraternità di uguali”.

Questo egualitarismo è così profondo che, sempre secondo Boff, anche le leggi della natura dovrebbero recedere, poiché riflettono il potere travolgente di un Dio che governa, che, in questa logica, è la fonte di tutte le “alienazioni” e, quindi , la realtà ultima che deve essere cancellata. Naturalmente, cancellare Dio del tutto sarebbe un po’ troppo scioccante.

Quindi s’inizia dissolvendo la sua natura trascendentale, ritenendolo piuttosto come un’energia o un fluido che circola nella creazione. La percezione immediata e sensoriale di questa energia, secondo Boff, genererebbe la “fraternità universale” proposta da Papa Francesco. In un altro saggio, il teologo brasiliano della liberazione spiega che questo cambio di paradigma è caratterizzato dal passaggio dal “dominio del logos” a quello dell’“eros”.

Inoltre, proporre l’ideale di povertà per tutti – al fine di indurre l’uguaglianza – anch’esso sarebbe un po’ troppo scioccante. Quindi si parte dalla manipolazione del concetto di consumo in un modo che promuove il pauperismo. Questa manipolazione è iniziata ben prima di papa Francesco. Come spiega Padre Luigi Taparelli d’Azeglio nel suo Saggio Teoretico di Diritto Naturale, Dio ha creato l’uomo con delle facoltà e delle tendenze che la stessa natura umana è portata a voler appagare. Questo costituisce il suo bene.

Questo impulso è consustanziale alla sua natura e lo conduce verso lo scopo per cui è stato creato. Scopo materiale – conservazione e sviluppo del suo corpo – e scopo spirituale – sviluppo del suo intelletto e della sua anima, che deve tendere verso il Bene assoluto: “Un essere sarà perfetto quando si condurrà al termine prefissogli dalla sua natura – materiale e spirituale – colle facoltà dategli dalla natura medesima”. Per raggiungere il suo scopo – sia materiale sia spirituale – l’uomo ha bisogno di consumare.

Lungi dall’essere una parolaccia, come affermano certe scuole moderne, perfino in campo cattolico, il consumismo temperato è conditio sine qua non perché l’uomo possa raggiungere lo scopo per cui è stato creato da Dio. E, come ogni cosa creata da Dio, facendo bene all’uomo si fa bene anche all’economia. Che cosa significa consumare?

La prima idea che viene in mente è quella del mangiare, significato certamente compreso nel concetto di consumo. Tuttavia, significa anche avere nella vita altre soddisfazioni, non necessariamente da miliardario, che danno all’uomo un benessere rapportato alle appetenze della sua natura. Il concetto di consumo abbraccia l’insieme delle appetenze proprie della natura umana. Per esempio, nell’ambito del consumo possono esserci dei beni che in nessun modo sono indispensabili a saziare la fame, né a rigore sono indispensabili per vivere: teatri, musei, bei monumenti, biblioteche e via dicendo.

Quindi, il concetto di consumo include tutto ciò che è indispensabile alla sopravvivenza, ma anche tutto ciò che è conveniente, e perfino superfluo, e che rende la vita gradevole. Se una signora acquista una miniatura di porcellana, avrà consumato. Una coppia sposata che va alla Prima della Scala per godersi un’opera avrà fatto un consumo culturale.

Un fedele che assiste a una bella messa in latino avrebbe fatto una consumazione spirituale. Oggi, tuttavia, sta emergendo una nuova tesi che tende al socialismo. Troviamo questa tesi, ahimè, in recenti documenti pontifici. Dato che alcuni hanno molto e altri hanno poco, è necessario che i primi tengano solo l’essenziale, dando il superfluo ai secondi.

Secondo questo pregiudizio anti-consumista, l’uomo non deve possedere ciò che non è essenziale alla vita. Nessuno dovrebbe spendere in beni di lusso o anche in beni di comfort. Quale è il risultato di un simile ragionamento? In una società in cui nessuno trae vantaggio dal lavorare più degli altri… nessuno lavorerà più degli altri! Sarà una società organizzata a beneficio dei pigri e a scapito dei buoni lavoratori. In una tale società scompare prima l’abbondanza, poi anche il conveniente, e alla fine pure il necessario…

Per stimolare chi lavora di più bisogna dargli il dovuto compenso. Così la società trae beneficio dai più capaci, dai più efficienti, dai più produttivi, in una parola dai migliori. Diversamente, la società deperisce, cade nell’anticonsumismo preconcetto, scivola nella povertà cronica, tende in ultima analisi alla barbarie. Questa tesi si applica non solo ai rapporti fra le classi sociali ma anche alla scena internazionale.

Si dice che ci sono Paesi “consumisti”, gli Stati Uniti e l’Europa in primis, e Paesi cui manca il conveniente e a volte anche il necessario. Le nazioni ricche, secondo questa visione, sfruttano e opprimono quelle povere. Le nazioni sfruttate dovrebbero sferrare una controffensiva ai danni del mondo consumista, costringendolo ad abbassare il livello dei suoi consumi e ad appiattirsi sui livelli del mondo povero. Di nuovo: Poveri Tutti. Uguali tutti.

Di fronte a questo anticonsumismo retrogrado dobbiamo propugnare un consumismo ragionevole, ponderato, in cui le classi e le nazioni ricche, lungi dall’imporre condizioni di vita inaccettabili a quelle più povere, cerchino di stimolarle nella produzione, spingendole verso un sano consumismo che stimoli la loro economia.

Non c’è nessun motivo per cui le formule che hanno avuto successo altrove non possano essere replicate. Questa glorificazione dell’indolenza è propria del socialismo e del comunismo, non della civiltà cristiana e della dottrina sociale della Chiesa

Intervento pronunciato al covegno online “Poveri Tutti. All’economia fa bene la conversione, non l’utopia”. Per visionarlo cliccare qui

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FAR PARLARE TUTTI? SU LEONARDO BOFF RELATORE A “ECONOMY OF FRANCESCO”

di Stefano Fontana

Leonardo Boff è stato relatore all’evento Economy of Francesco che si è tenuto on line dal 19 al 21 novembre scorso. La cosa fa problema? Io penso di sì, e dirò subito perché, ma intanto va osservato che casi di questo tipo, ormai molto frequenti in Vaticano e nella Chiesa, pongono la questione su cosa significhi che la Chiesa parla a tutti, cosa vuol dire parli con tutti e, soprattutto, se essa debba far parlare tutti nel contesto di proprie iniziative. Boff è preso solo ad esempio di una tendenza dilagante.  

Il problema non è nuovo. Il cardinale Martini aveva dato il via alla prassi di far parlare gli atei in chiesa. Papa Francesco ha fatto parlare Eugenio Scalfari, lasciando che il giornalista diventasse sue interprete senza smentite. Durante la campagna elettorale americana del 2016, fu chiamato a parlare in Vaticano il candidato di sinistra Bernie Sanders. L’economista Jeffrey Sachs parla continuamente alle convention della Pontificia Accademia delle scienze sociali.

Quando il papa parla o scrive ai cosiddetti Movimenti popolari, li loda per le loro iniziative e li incoraggia, parla a tutti indistintamente, anche a quelli che promuovono politiche contro l’uomo e adoperano la violenza. Questa prassi è non solo del Vaticano ma anche nelle diocesi che invitano gli onorevoli Cirinnà o Zan a propagandare le loro leggi ingiuste. In questo modo non si comprende più quale sia la posizione della Chiesa, confusa in questo indistinto parlare a tutti, con tutti e far parlare tutti.

Il caso di Leonardo Boff è particolarmente significativo. Egli non è ormai più un semplice teologo della liberazione ma si è dedicato all’ecologismo iper-ideologico. Boff rifiuta la signoria di Dio sull’universo in quanto potere dispotico, predica l’uguaglianza non solo tra gli uomini ma tra tutti gli esseri viventi, intende il divino come un fluido che tutto permea di sé, tutto accomuna, tutto amalgama. Non si tratta quindi solo di teologia della liberazione, né si tratta solo della sua vita personale, ma di affermazioni teologiche completamente eterodosse. Eppure Boff ha contribuito alla redazione della Laudato si’ e nei giorni scorsi ha parlato in un consesso organizzato dal Vaticano.

Che la chiesa parli a tutti è vero nel senso che il suo messaggio ella lo deve trasmettere fino ai confini della terra. Ma questo non significa che parli a tutti indistintamente, come se non esistessero, tra chi la ascolta, delle differenze. La Chiesa parla prima di tutto ai propri fedeli ed ha il dovere di non confonderli. Poi parla agli uomini di buona volontà e che cercano la verità, nell’intento di confermarli. Poi parla anche a chi è lontano e perfino la odia, ma senza porre tutti questi livelli sullo stesso piano e, soprattutto, senza il rispetto umano che comporta di addomesticare la verità a seconda di coloro a cui si rivolge.

La Chiesa deve parlare con tutti? Anche questo in un certo senso è vero, ma la cosa deve essere fatta nella chiara distinzione delle posizioni e con un imprescindibile intento di annuncio. Se il papa si congratula con Biden per la vittoria elettorale non dovrebbe accomunare la posizione sua e quella di Biden, indicando, come ha fatto, solo i temi di una collaborazione possibile, ma dovrebbe marcare le diversità che rendono impossibile una collaborazione nell’indifferenza. Inoltre nella chiamata telefonica ci dovrebbe essere l’annuncio di Cristo, perché altrimenti la figura del papa viene appiattita su quella di Biden. Oggi accade spesso così: le voci di personaggi mondani vengono equiparate a quella del papa, perché il papa parla a tutti e parla con tutti in modo indifferenziato, cioè non parlando da papa.

Infine: la Chiesa deve far parlare tutti? In un convegno sul futuro della popolazione è bene che la Chiesa faccia parlare un sostenitore della pianificazione familiare e dell’aborto? In una convention sull’ambiente è veramente utile far parlare un panteista o un materialista? In una conferenza sul benessere dei bambini è bene far parlare Sachs che è a favore del controllo delle nascite? In un convegno su Dio è bene far parlare un ateo? Io penso decisamente di no. La Chiesa non dovrebbe fare da volano per le idee sbagliate, né dare l’impressione che le idee sbagliate siano comunque utili alla discussione, né trasformare una sua iniziativa in un indifferente talk-show di opinioni senza verità: non è bene che il papa partecipi al Maurizio Costanzo Show o che addirittura lo organizzi.

Se oggi la Chiesa fa questo non è per caso ma perché è cambiata la visione teologica di cui essa si avvale. Nella fase storica della post-verità, anche la Chiesa subisce l’influenza di chi vuole sostituire la verità col dialogo, inteso come prassi di fraternità. La Chiesa finisce per intendersi come una componente dell’umanità di oggi che, insieme alle altre componenti, cammina alla ricerca di una verità che non potrà mai raggiungere, perché o la Verità c’è già fin dall’inizio ed è la guida al nostro cammino, o non potrà assolutamente risultare dalla somma delle opinioni provenienti da chiunque.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana 24 Novembre 2020

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NEL “PATTO DI ASSISI” NON C’È SPAZIO PER CRISTO

di Riccardo Cascioli

Tra l’invito a sognare un futuro felice con una “nuova” economia e le proposte di soluzioni già abbondantemente viste, si è conclusa ieri la tre giorni della “Economia di Francesco”, l’incontro virtuale di Assisi voluto da papa Francesco con la partecipazione di circa duemila giovani economisti e ricercatori da 115 paesi. Ed è stato proprio papa Francesco a chiudere l’evento con un lungo videomessaggio in cui ha voluto sottolineare cosa si aspetta da questo incontro che, ovviamente, «è la spinta iniziale di un processo» («non dimenticatevi questa parola: avviare processi – tracciare percorsi, allargare orizzonti, creare appartenenze…).

Il futuro da costruire, come ci fosse un foglio bianco tutto da disegnare, è stato senza dubbio il filo conduttore della tre giorni, in cui si è dato per scontato che il mondo attuale è da buttare, anzi è già sull’orlo del precipizio; e dove la pandemia attuale appare provvidenziale perché faciliterà i cambiamenti necessari, già previsti a causa dell’allarme climatico.

«Abbiamo bisogno di un cambiamento, vogliamo un cambiamento, cerchiamo un cambiamento», ha detto il Papa citando il suo discorso del 2015 ai movimenti popolari. Ad Assisi sono echeggiati tanti slogan – morte al Pil pensiamo alla felicità, lotta alle disuguaglianze, sognare è un diritto umano, e così via – e diverse proposte che replicano quelle che già vanno di moda per l’ecologismo climatico: transizione energetica, green economy e così via. «Zero emissioni di carbonio, zero concentrazioni di ricchezza, zero disoccupazione», invoca Muhammad Yunus, il “banchiere dei poveri”, inventore del microcredito in Bangladesh.

E l’immancabile Jeffrey Sachs, una carriera da economista all’Onu e oggi direttore dell’Earth Institute alla Columbia University nonché principale consigliere della Santa Sede, propone il modello delle socialdemocrazie nord-europee, «le società più felici» perché «hanno la più bassa disuguaglianza»: tante tasse e tanti servizi per tutti. Ma guardando alla Convention di Assisi due questioni di fondo saltano agli occhi.

La prima è che si dà per scontato che viviamo nel peggiore dei mondi possibili. «L’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista – ha detto papa Francesco nel videomessaggio sempre autocitandosi, questa volta dall’enciclica Laudato Si’ – e colpisce nostra sorella terra, tanto gravemente maltrattata e spogliata, e insieme i più poveri e gli esclusi. Vanno insieme: tu spogli la terra e ci sono tanti poveri esclusi». I tanti relatori di questa tre giorni sono tutti sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda: il problema sta nei paesi industrializzati, schiavi del perverso ciclo produzione-consumo, che sfruttano selvaggiamente la natura depredando le risorse e creando quindi maggiore povertà.

I dati reali però ci raccontano una storia ben diversa: gli indicatori ambientali sono decisamente migliori nei paesi industrializzati, dove l’inquinamento diminuisce, la superficie forestale cresce, c’è una maggiore tutela della biodiversità. Ma più in generale le condizioni di vita in tutto il mondo sono nettamente migliorate, e anche i paesi più poveri – salvo alcune eccezioni – sono meno poveri rispetto a 50-100 anni fa. Prova ne è che sono ormai molti decenni che non registriamo gravi carestie. Ciò non vuol dire che tutto vada perfettamente, tutt’altro: non possiamo non registrare lo scandalo di molte popolazioni ancora denutrite e prive di condizioni dignitose di vita quando oggi ci sono risorse, alimentari e non, più che sufficienti per tutti gli abitanti del pianeta.

Ma i fattori che determinano questa situazione sono diversi e più complessi che non il semplice ed erroneo teorema per i cui “i poveri sono poveri perché i ricchi sono ricchi”. E alcuni di questi fattori chiamano in causa direttamente la responsabilità delle culture tribali e delle leadership corrotte degli stessi paesi poveri. Pensare che tutto si risolva con un massiccio trasferimento di ricchezze dal nord al sud del pianeta – che è anche un obiettivo degli accordi sul clima – è pura illusione, anzi è la via sicura per impoverire tutti.

E quando si parla di risorse consumate – si dice sempre che il 20% della popolazione consuma l’80% delle risorse – si dimentica di dire che quel 20% di popolazione crea anche le risorse e produce ricchezza. Per fare un esempio, in Italia si raccolgono 75 quintali di riso per ettaro, in Africa mediamente cinque. Per uscire dalla povertà è importante aiutare a moltiplicare quel 5 che viene prodotto in Africa, ma la strada indicata dal “Patto di Assisi” porta invece ad abbassare quel 75 prodotto in Italia. Il problema di Assisi è che, se si sbaglia la diagnosi, la terapia sarà letale.

Da notare poi che negli interventi principali non si è mai accennato al vero problema strutturale che sta alla base della crisi economica dei paesi sviluppati, ovvero la denatalità. E legato a questa il problema della crisi della famiglia, come fonte di capitale umano, sia per la generazione della vita sia per l’educazione. Neanche il Papa vi ha fatto un cenno, come se l’unico problema fosse il sistema liberal-capitalistico

Ma c’è un secondo punto che è ancora più problematico, perché riguarda proprio il fondo della questione. Ad Assisi si è sottolineato molto che va superata la logica del Pil, che l’importante è il benessere e la felicità che vanno misurate in altro modo. Ciò che lascia perplessi è che la felicità viene demandata a nuove strutture, a nuovi stili di vita o a sistemi – come quelli già citati da Sachs – sostanzialmente socialisti. Ma se questa impostazione è comprensibile in chi viene da una cultura materialista, atea, è invece incomprensibile e inaccettabile in un ambito che fa riferimento a San Francesco e alla Dottrina sociale della Chiesa

Anche nel messaggio di papa Francesco si fa riferimento al dialogo, all’inclusione dei poveri, a modelli di produzione diversi che aiutino lo sviluppo umano integrale, sempre rimanendo però in una prospettiva orizzontale, sempre puntando su nuove strutture umane. Dell’enciclica di Paolo VI Populorum Progressio cita il passaggio in cui afferma che «lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo» (no. 14). Ma di quell’enciclica dimentica che essa ha lo scopo di affermare che «l’annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo», come ha invece ricordato Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate (no. 8)

Da Assisi purtroppo parte il messaggio per cui – attestato che la ricchezza non fa la felicità – bisogna trovare gli strumenti giusti per rendere l’uomo felice. È l’opposto di quanto ha scritto Benedetto XVI nella Caritas in Veritate, quando ha ricordato che l’economia e la finanza sono semplicemente degli strumenti, che possono essere usati bene o male a seconda dei riferimenti morali dell’uomo. «Perciò – dice Benedetto XVI – non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l’uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale» (no. 36). In altre parole è la conversione a Cristo il punto decisivo, così come lo è stato per San Francesco. Ma ad Assisi non se ne è parlato

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana 22 Novembre 2020