Gioventù bucata alle orecchie. Stoica sofferenza per la moda

piercingPubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno
del 24 marzo 1995

Una usanza nata a Londra ha ormai invaso l’Europa. Maschi o femmine, i giovani ne sono contagiati. I moventi psicologici e i richiami a teorie primitive. Conseguenze fisiche di una pratica che sa tanto di punk nuova maniera.

di Nicola Simonetti

Piercing ovvero straziami, ma di buchi saziami. E’ la nuova moda che deriva dal verbo to pierce che significa forare, bucare e che non si ferma più al buco del lobo dell’orecchio. E’ il trionfo della “gioventù bucata” che ha visto la sua origine tra gli americani anni novanta. E, recentemente, da Londra, il messaggio del sacerdote del neo-primitivismo, Ron Athley, ha superato la Manica ed ha invaso il continente europeo. Ed in Olanda, anche i generali dell’esercito non hanno «trovato da ridere» sui loro soldati pluriperforati nella pelle e nella carne. Piercing e fucili non sono in contraddizione.

Lo spettacolo londinese di Athey si conclude con la trafittura del corpo del protagonista a mezzo di una corona di aghi ben aguzzi. E dalla perforazione , al martirio, all’immolazione, all’esaltazione del trafitto «unico, diverso da te» è un susseguirsi di scene e di “insegnamenti”.

Ed è subito corsa al body-piercing, la bucatura del corpo e nascono i professionisti, i piercer ed i pierced (i bucati) tra cui fanno scuola Naomi Campbell con il suo ombellico forato, Madonna che s’è fatta forare anche il naso, i Take That che, invece, hanno preferito il buco sul sopracciglio e Christy Turlington che sfila con una mezzaluna di metallo prezioso infilzata tra epigastro ed ombellico.

Una rivisitazione del punk nuova maniera? Non proprio. Si tratta, invece, di un sogno moderno di trialismo, di praticarsi o, molto più frequentemente, farsi praticare uno o più buchi per far rivivere il proprio corpo, per stimolare l’uscita di quanto vie è nascosto, per esaltare il soma «nudo ed erotico», per superare i contrasti del vestito, del trucco e dell’infingimento cosmetico. E’ – essi dicono – una riappropriazione della libertà sul proprio corpo, un potere e sapere uscire dalla “corazza” che confina la nostra individualità. Una moderna primitività tribale che si sostituisce al superato rito del tatoo (tatuaggio), l’alfabeto della protesta o del «nudo da coprire come dico io».

Siamo al culto di fine secolo, alla moda-anti-moda, al rifiuto del «disordine mondiale», all’individuarsi nel buco e con il buco all’interno della musica techno, nel trendy di ogni paese. E, sotto il vestito, il pierced,una moda che, alle volte, si muta in un’esigenza spirituale. Un imperativo categorico che ti rende “fedele” di un dio nascosto tra vetero e neo-libertà. Un segnale di ribellione verso antichi tabù, contro proibizioni della tradizione giudaico-cristiana la quale comanda di «non fare incisioni sulla carne e non vi farete tatuaggi. Io sono il Signore» (Levitico, 28). Ed io, invece, mi ribello, contesto, mi taglio, mi tatuo. Finalmente.

Bucare, perché? «I buchi sono attraversati dalla luce e, cioè, dall’energia che ti fa accumulare le vibrazioni e che accresce la sensibilità corporea, migliora la percezione del sé, favorisce il colloquio con quello che hai dentro. E la psiche si acquieta, si infervora, si “transumana” ed hai il supercorpo, l’ultracorpo».

In principio fu la cultura, anzi la sub-cultura: un testo-bibbia di vetero-neo-testamento ce indica, suggerisce, invita, proclama, elenca e trascrive tutti i «Modern Primitives: Tattoos, Piercing, Scarification» e da quel di Los Angeles quel libro da 100 mila parole diventa messaggio che si estende in tutti gli Usa per, poi, guadagnare i paesi opulenti dell’Oltre Oceano.

E c’è chi costruisce, su questo settore in espansione, i suoi lauti guadagni. I piercer insegnano, vanno a scuola, imparano, operano, bucano, si fanno pubblicità, usano testimonial di primo piano e sui buchi celebri fanno zoom per televisioni, cartelloni, pellicole cinematografiche. Pronti i magazine specializzati (almeno dieci), presenti i propagandisti ed i mediatori o procacciatori di clienti ed affari. Un business da milioni di dollari.

Farsi un primo buco costa circa 35 dollari; per ognuno dei successivi (eseguiti dallo stesso piercer) c’è uno sconto di 20 dollari. In Usa, il centro “garantito” e Gauntlet con sede madre a Los Angeles e filiali a san Francisco e sulla Quinta strada di New York. Qui si paga qualcosa in più ma viene “garantito” il successo e, soprattutto, l’asetticità della procedura e la «professionalità degli operatori» per cui non rischieresti né infezioni banali e, tanto meno, l’aids o l’epatite B o C.

Per i più esigenti, ci sono i “master piercer“, pronti a trasvolare l’Oceano per bucare chi gli paga viaggio (in top class), permanenza e onorario dell’”intervento”. Teena Maree, maestra bucatrice californiana, è un’abituée di Londra, dove buca ed infilza anelli a tutte l’ore mostrando, per esempio da imitare, i 23 anelli presenti nella sua carne.

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Oltre alle orecchie c’è chi si riempie il corpo di anelli

Una scelta fatta con cuore e fantasia

Dove i buchi? Va dove ti portano il cuore e la fantasia. per chi, però, avesse problemi di sesso e di erotismo debole o indolente, ano miracoli speciali i fori con tanto di nome etnico-esotico come Prince Albert, dydoes, ampallang che indicano il piercing fatto là dove non batte il sole o nelle sue immediate vicinanze o corrispondenze. Ma è volgare; va di moda la scapola o il bicipite

E c’è chi si riempie il corpo di buchi ed anelli, pietre preziose, barrette, denti infilzati per ogni dove. Fino a duecento in tutti i posti immaginabili… per parlarsi meglio. Si va dal buco discreto e nascosto a quelli ostentati, localizzati là dove,invece, batte sempre il sole… per protestare contro la società che nega lavoro, libertà di espressione e idee creative, la società che occupa spazi e comprime la persona. E chi vuol tornare indietro? Sono dolori soprattutto economici. Per “cassare” un pierced o un tatuaggio bisogna prevedere una spesa (salvo complicazioni) di mezzo milione a centimetro quadrato.

Ma c’è chi supera il buco e si rivolge ad altri riti purificatori e vindici: il branding, cioè il marchio a fuoco che ti fa soffrire. L’ago del piercing che ti punge appena è ben poca cosa di fronte al dolore che ti procura la bollatura del branding che dovrai portare con te per tutta la vita ulteriore. per il body piercing non c’è bisogno di anestesia nemmeno locale; per il branding, invece, ci vorrebbe. Ma questi novelli Muzio Scevola presentano il loro corpo al fuoco che brucia, marchia, fa soffrire. E’ la «modifica del corpo» che, nel dolore e nella perpetuazione del fastidio, assume ruolo mistico di autopunizione e di espiazione ma anche di protesta… religiosa.

Il ferro rovente che “purifica” e lascia la propria traccia di fuoco, un’iniziazione alla nuova “mistica” una piaga che tarda a rimarginarsi ma che, poi, sarà un “vanto”, un ricordo, l’equivalente di una prova superata favorevolmente. Uno status symbol come il tatuaggio o il piercing ma dai toni più acuti e più foschi

Il «segno di Caino» veniva chiamato anticamente una determinata cicatrice che sarebbe stata presente sul corpo del primo fratricida marchiato da Javé perché altri non gli si avvicinasse e perché nessuno facesse giustizia del crimine commesso da quel disgraziato.

Ora è voglia di trasgressione, è mito della riscoperta del corpo, è paravento di ostentata sicurezza ed integrità della propria personalità, è scelta indotta falsata da fattori culturali e sociali di dubbia origine. Ma è, soprattutto, voglia di autentico, quell’autentico che la società si ostina a negare e calpestare per garantirsi affari e guadagni ingiusti. E proprio la società, pur disapprovando, costruisce anche su questa “moda” il suo business. Ed osa protestare, irridere, sconfessare mentre fa cash and carry (intasca e porta a casa) ovvero «pecunia non olet», la moneta non puzza.

I rischi? Quelli maggiori sono di natura psicologica. Ma non sono da sottovalutare le possibilità di infezioni, le necrosi dei tessuti incisi troppo generosamente, i flemmoni, le reazioni allergiche al materiale usato, dall’alluminio, all’antimonio, al nickel, all’argento, all’oro, alla pietra più o meno preziosa o al “fondo di bottiglia”.

In prospettiva, un altro business: la proclamazione di «miss e mister piercing», il concorso di bellezza cutanea. Ragazzi e ragazze in erba ma anche maturi signori non esiteranno a far spogliarello per «mostrar quel che col piercing si puote». E, naturalmente, non mancheranno – com’è avvenuto per la gara tra tatuati all’american bar dei fan dell’Harley Davidson di Roma – i dimostratori né coloro che, tra i tavoli del pub, incide e dipinge chi lo desidera.

Chi vuol essere piercing, sia; del doman non c’è bellezza.