Ma complottardo sarà lei

complottoArticolo pubblicato su Avvenire del 11 ottobre 1988

Il realismo cattolico e le «leghe dei birbanti» di ieri e di oggi

di Maurizio Blondet

Ricordate il caso «Sifar – De Lorenzo»? fu un «complotto» democristiano, ed Eugenio Scalfari, allora all’inizio delle sue fortune giornalistiche, lo smascherò come si deve. E piazza Fontana? Fu una «strage di Stato» architettata nell’ombra del Palazzo. Poi, sulla stampa che va dall’Unità a La Repubblica, furono descrizioni di congiure come se piovesse.

Le «trame nere». La «strategia della tensione». E il «golpe Borghese», dietro le cui guardie forestali, si lasciava capire, c’era Andreotti. E la P2? La dietrologia progressista ci inzuppò il pane per anni, in quella cospirazione. E ricordate quando fu ucciso Moro? L’Espresso ne indicò come mandante la fantomatica «Loggia di Montecarlo» (in cui pare sedesse, accanto ad Agnelli, il solito Andreotti). L’Unità insinuò invece che il mandante era Henry Kissinger, il quale voleva impedire a Moro di fare il governo con il Pci. Naturalmente, in tutti i complotti entrava la Cia, e occasionalmente l’Opus Dei: entrambe alleate alle famigerate multinazionali, all’opera su scala mondiale per tramare contro i lavoratori.

Si, possiamo dirlo. Per vent’anni, la stampa «democratica» e quella della «borghesia illuminata» ci ha gonfiato le scatole con il suo delirio complottista, con la sua fantasia allucinatoria per le «trame», con le sue Grandi Firme – da Giorgio Bocca a Camilla Cederna – sempre tese a smascherare congiure.

Così, sembra un pochino strano (e poco innocente) che, oggi, questa stessa stampa prenda ad attribuire in esclusiva il vizio di vedere ovunque complotti alle «frange integraliste del mondo cattolico». Il bersaglio privilegiato dell’accusa è il settimanale «Il Sabato» ma, come vedremo, non solo quello. Secondo «Panorama» (che, un tempo ghiotto cucinatore di congiure ha dedicato di recente un lungo articolo per ridicolizzare la «teoria cospirativa» che animerebbe Comunione e Liberazione), «L’Italia vista dalle pagine del Sabato» sarebbe «un Paese di congiure e di complotti orditi da azionisti, tecnocrati, grandi borghesi (…) alleati in un disegno che mira alla secolarizzazione della società».

Secondo i ciellini, schernisce «Panorama», la secolarizzazione sarebbe stato lo scopo dell’azione «di Cavour e Garibaldi, della monarchia sabauda, dei repubblicani del Partito d’Azione, di La Malfa e Scalfari, dello stalinismo e di Mediobanca», della «finanza laica» e delle «oligarchie massoniche». A dire il vero, si tratta, come si vede, di entità cui sarebbe azzardato attribuire il disegno contrario, ossia la salvaguardia della fede popolare e il rispetto per la Chiesa. Ma questo, per «Panorama», non conta.

Gli preme invece proclamare che l’idea che queste entità cooperino per un fine comune «fa parte degli incubi e dell’immaginario di un certo mondo cattolico». «la complottomania di matrice cattolica non nasce col Sabato: è quasi una costante», fa dire infatti Panorama ad un non meglio identificato Giovanni Tassani, «autore di un saggio sulla destra cattolica».

Perché? Assicura il Tassani: perché la cultura cattolica, «all’interpretazione reale e metodica della storia preferisce la scorciatoia del mito. Fa domande a cui da risposte già preordinate». E’ una definizione, in realtà, che sta a pennello ai deliranti che ci spiegarono come la mitica Cia fosse la causa di ogni nefandezza, e videro dovunque i segni della «strategia della tensione». Ma la questione che il Tassani solleva, forse a sua insaputa, non è banale.

Esiste nella cultura cattolica qualcosa come la sensazione che la somma di tutte le malvagità umane tenda a confluire verso un unico fine, verso l’instaurazione di un «regno del male»?

La sensazione non è solo cattolica: Giacomo Leopardi, che non era credente ma era intelligente, denunciava la «lega dei birbanti», ossia l’alleanza che i malvagi spontaneamente e continuamente stringevano tra loro per sbarrare il passo agli onesti e nuocere agl’innocenti. E’, in fondo, un dato che l’esperienza suggerisce a chi abbia una certa pratica della vita: non esiste congiura più sicura e permanente di quella che si salda di continuo tra gli idioti, i viziosi, i malintenzionati, i disonesti, gli avidi, gli usurpatori di posizioni immeritate, i vili. Costoro, come i cani, si riconoscono a vicenda con la spontaneità con cui respirano.

La cultura cattolica, però, ha in più le categorie di pensiero necessarie a spiegare perché questo strano fenomeno avviene. Da Sant’Agostino, essa dichiara che, a causa del peccato originale, la natura dell’uomo è «inclinata al male»: ossia che fare il male le riesce più piacevole, facile e spontaneo che fare il bene. Anche questo è un dato d’esperienza comune, e depone a favore del realismo cattolico: perché si oppone a concezioni più astratte, «ideologiche», le quali proclamano l’uomo o assolutamente malvagio (quindi refrattario ad ogni redenzione) oppure assolutamente buono (quindi non bisognoso di redenzione, e nemmeno di educazione).

Queste ideologie, sono apparentemente opposte, nascono – insegna la Chiesa – da un solo vizio: la superbia, Vizio di gravità capitale, assai vicino a quel peccato che, secondo il Vangelo, «non sarà perdonato», perché nega che l’uomo possa trarre utilità dalla Grazia e dallo Spirito.

Donoso Cortes, il pensatore cattolico che visse nell’800 e fu tra i consulenti di Pio IX per il Sillabo sosteneva che nei tempi contemporanei la superbia umana ha preso forma di ideologia ottimistica: liberalismo illuministico, comunismo e anarchismo negano tutti che la natura umana sia «inferma» e «inclinata al male», e sostengono che essa è buona.

Si comincia col negare che il peccato originale abbia ferito l’intelligenza dell’uomo: e se si nega questo, la ragione diventa «sufficiente, senza l’ausilio della fede, a scoprire la verità: e se la fede non è necessaria, la ragione è sovrana e indipendente».

Da questa presunta «sovranità» nascono il razionalismo, la divinizzazione della Ragione, la sacralizzazione della «libertà di stampa», della scienza e del parlamentarismo, intesi come modi in cui la ragione si esercita.

Il secondo passo consiste nel negare che la volontà dell’uomo sia debole e non abbia bisogno, «per operare il bene, della grazia». Ne segue la divinizzazione della «volontà collettiva» come depositaria indiscutibile della sovranità, la tirannia delle «masse» di cui si presuppone che «non sbagliano mai».

Il passo ulteriore sta nell’affermare che le stesse passioni dell’uomo, i suoi impulsi primari, dalla rabbia alla lussuria, sono di per se infallibilmente buoni, e non debbano affatto essere contenuti. Da qui l’utopia anarchica di una società dove non siano più «né Dio né padroni», né uno Stato né altre autorità coercitive: un «regno della libertà» contro tutte le «repressioni», il regno della felicità edonistica assoluta, dove la sovranità spetta alle passioni, e tutto è al servizio della loro soddisfazione: stato di cui la «società dei consumi» e il radicalismo libertario sono la forma attenuata.

Si vede da questa rapida descrizione un fatto interessante: come sia possibile alla cultura cattolica desumere, dalla diffusione di un singolo vizio, tutte le conseguenze ultime cui questo vizio porterà e persino alle forme politico-ideologiche cui darà luogo. Come un paleontologo può ricostruire la figura di un animale estinto partendo da un dente fossile, perché conosce le leggi della zoologia, così la Chiesa può riconoscere da sparsi indizi, da singole malvagità, le «strutture di peccato» (per usare un’espressione di Giovanni Paolo II) in cui essi si inseriscono.

E’ una capacità che nasce da qualcosa che possiamo chiamare «scienza del peccato», e che fa parte del deposito millenario della Chiesa: in base ad essa, la cultura cattolica riesce a collegare fatti lontani e conseguenze attuali in una visione coerente, perché ne conosce le leggi che li legano: tutto ciò può esser deriso come «teoria cospirativa» o «mania di vedere ovunque complotti», ma è un’imbecillità non minore che deridere uno scienziato perché, visto un dente di una bestia sconosciuta, sa disegnare e descrivere il corpo di quella bestia.

Questa capacità del resto non deriva solo dall’uso di categorie dei conoscenza (come appunto quella di «peccato») che la cultura cattolica usa, e che le altre culture rifiutano. Come in ogni vera scienza, tali categorie sono state viste operare nell’esperienza di duemila anni. Senza che lo sospetti, la «lega dei birbanti» è infatti ripetitiva, la sua azione è monotona e punta sempre alla stessa cosa, così come sono ripetitivi i vizi e i peccati.

La studiosa Elaine Pagels (che negli Stati Uniti va pubblicando i Vangeli gnostici, sostenendo che in essi è contenuto il messaggio originario di Cristo, poi represso dalla Chiesa) crederà forse di rivelare una sconvolgente novità quando scrive sulla «New York Rewiew» che «nei primi quattro secoli della nostra era, i cristiani gnostici hanno considerato la libertà come messaggio primario del Vangelo: libertà in tutte le sue forme, libertà da ogni costrizione sociale e sessuale, come dal matrimonio e dal lavoro; libertà da ogni governo e dal destino stesso e l’essere sovrani di se stessi come fonte di ogni libertà».

Ma la cultura cattolica sa che quella che la Pagels descrive non è se non la permanente ideologia della superbia: il «sarete come dei» che tentò già Adamo, che sedusse le sette gnostiche (fiorite appunto attorno al quarto secolo), che costituisce il verbo di ogni Massoneria, e che percorre le società edonistiche dei consumi. Sa anche a cosa porta questa utopia di libertà senza confini, questa pretesa di sovranità dell’uomo che non accetta di riconoscersi «inclinato al male»: a regimi di menzogna e di omicidio, di cui il nostro secolo ha pur fatto esperienza.

Constatare l’impressionante costanza storica di tali ideologie e di tali conseguenze, è appunto ciò che gli imbecilli che scrivono su «Panorama» definiscono «la mania del complotto di matrice cattolica». Ma per la cultura cristiana, se esiste un «complotto», è un complotto di cui ogni uomo può essere al massimo strumento; perché il Mandante, il Grande Vecchio che organizza le strutture dei peccati in vista di uno scopo di menzogna e di omicidio, sta fuori dalla Storia.

E’ colui che giustamente è chiamato «Padre della menzogna». «Omicida fin dall’inizio», nonché Princeps Huius mundi. Definizione a cui converrà aggiungere quella musulmana, di «al-Masikh», che si può tradurre «il falso Messia» o «parodia del redentore».

E lasciamo pure che le deboli «teste forti» della stampa laicista ci deridano per quell’allusione al Maligno, così come fingono di scandalizzarsi quando il Papa ne parla. In realtà, la categoria del satanico, come quella del peccato, è una delle grandi luci interpretative su cui può contare il pensiero cristiano per capire il mondo. Al confronto la «cultura laica», proprio perché rigetta tali categorie, denuncia la sua invincibile inferiorità. «Io non credo nel diavolo», s’è inorgoglito di recente Eugenio Scalfari, «perché non credo al Principio del Bene e del Male: credo invece alla dialettica, alle distinzioni, a tutti quei principi che formano il bagaglio di una cultura laica… infatti i clericali non ci amano, i totalitari di ogni risma e colore non ci amano».

E anche lui credeva di aver enunciato chissà quale coraggiosa novità. Invece ha mostrato, una volta di più, la miseria della «cultura laica»: condannata alla banalità riduzionistica, alla rimasticatura di vecchie utopie, alla fornitura di «motti di spirito» e di distrazioni trasgressivo-pornografiche (sempre le stesse) proprio in ragione del suo negare che la vita dell’uomo bagna nel mistero e nel tragico, e che si gioca in un paradosso che è la Croce, «scandalo per i giudei e follia per i gentili».

Ma sbaglia di grosso, Scalfari, a credere che il suo «pensiero debole» sia refrattario ai totalitarismi. Hitler la pensava come lui, dato che un giorno schernì: «Il Papa ci vuole convincere che nella vita esiste il tragico», ciò che non lo trattenne da dar luogo ad una tragedia inenarrabile. E Marx, come Scalfari, credeva «alla dialettica, alle contraddizioni»: credeva cioè, come ogni cultore dell’aldiquà, che ogni problema assoluto dell’uomo (la libertà, la giustizia, la morte) potesse essere risolto mettendo in atto la tecnica giusta, insomma che ogni domanda ha una risposta tecnica.

Persino lo scandalo della morte, lasciava intendere Marx, non sarebbe stato più un problema nel comunismo: poi il socialismo reale s’è rivelato una burocrazia organizzatrice della morte su vastissima scala, e i pochi marxisti che ne presero atto ne incolparono un «complotto» di Stalin, che avrebbe «deviato» dalla dottrina.

Vedete un po’ a quali cecità conducono le «culture laiche». Ma perché stupirsene? Quelle sono appunto le culture che gli idioti e i malvagi di mezza tacca si sono costruite sulla loro misura. Buon pro gli faccia.