La libertà religiosa al tempo del Covid-19: un diritto e non un privilegio

L’Occidentale 9 Aprile 2020

di Renato Tamburrini

Dire che in Italia la libertà religiosa è in pericolo suona come un’affermazione azzardata. Anzi, per i più, letteralmente stupefacente: che problema c’è? stanno a casa tutti, atei, cristiani, buddisti, ebrei e musulmani: non solo ognuno può pregare in casa sua, ma può partecipare alle celebrazioni trasmesse in TV e sui canali social. Insomma, come si fa a avanzare dubbi di questo tipo – soprattutto se riferiti ai cattolici – in un paese dove il Papa inonda le case a reti unificate, al punto che qualche laico lo trova perfino eccessivo e poco rispettoso nei confronti dei non credenti?

Perciò la questione va chiarita bene. Prima di tutto non può essere circoscritta alla sfera emotiva e sentimentale dei credenti, o alla penosa constatazione della desolazione di questa Pasqua a chiese vuote. Non c’è solo il grido del poeta Davide Rondoni, che esprime il dolore per l’assenza di una vera e partecipata liturgia pasquale; e neppure soltanto la riflessione che l’arcivescovo di Milano Mario E. Delpini ha consegnato ad Alleanza Cattolica in un’intervista, e cioè che per un credente la liturgia senza sacramenti è un po’ come una fotografia del pane per uno che ha fame: bisogna accontentarsi, ma chi potrebbe sfamarsi con una fotografia?

Ci deve essere anche qualcosa di più complesso, se a sollevare dubbi e perplessità sulla situazione sono realtà come il Centro Studi Livatino o l’Istituto Bruno Leoni, notoriamente avvezze a muoversi con i piedi di piombo e con argomenti ben ponderati. C’è un primo livello che sembrerebbe abbastanza da addetti ai lavori, ma che invece non è privo di possibili ricadute pratiche.

In questa fase emergenziale sono gli organi del governo che stabiliscono come si devono tenere le funzioni liturgiche, quanta gente può esserci e a che distanza devono stare celebranti e assistenti. Ovviamente queste prescrizioni sono basate su motivazioni sanitarie in qualche modo inoppugnabili ma, si osserva, non sarebbe meglio coinvolgere attivamente la Chiesa nell’elaborazione delle regole, e non soltanto perché in Italia i rapporti Stato-Chiesa sono regolati dal Concordato, ma anche – e qui la problematica travalica la dimensione religiosa e diventa assai più generale – in virtù di una visione più articolata dei rapporti dello stato con le realtà sociali?

E, se in regime di grave emergenza sanitaria qualche sbandamento può “scappare” (e non solo per quanto riguarda i contenuti, ma anche in relazione alla corretta utilizzazione delle fonti normative, come ha rilevato lo stesso Centro Livatino), anche per la necessità di provvedere velocemente alle situazioni di assembramento potenzialmente più diffuse, è bene vigilare con attenzione sul pericolo che una certa ‘disinvoltura’ da emergenza possa diventare un comportamento normativo e amministrativo abituale.

Non è un caso che l’Istituto Leoni sia intervenuto anche con un richiamo al rispetto delle libertà generali che sono alla base del nostro ordinamento, affinché non abbiano spazio le inclinazioni redentive e rieducative da stato etico che – quando più quando meno – allignano pur sempre nel corpaccione ideale degli eredi del giacobinismo, anche i più light. Un appello accorato, che è stato rilanciato anche da Carlo Marsonet nel blog della Fondazione Luigi Einaudi.

Ma un quadro forse ancora più preoccupante emerge dai fatti di cronaca: ormai se ne possono mettere in fila parecchi, come episodi di una di quelle serie TV che ci fanno tanta compagnia in questi giorni. Il prequel si dovrebbe intitolare Dallo stesso calice, si presterebbe benissimo per una di quelle serie basate sulla fissazione religiosa in un piccolo villaggio: in provincia di Salerno il 28 febbraio una comunità del Cammino neocatecumenale tiene un raduno e celebra i suoi riti religiosi.

La notizia si sparge qualche giorno dopo, l’evento risulta postdatato e i convenuti vengono accusati non solo di aver bevuto allo stesso calice, sprezzanti della più elementare prudenza igienica, ma anche di aver disobbedito alle disposizioni delle autorità sugli assembramenti. Scoppia un linciaggio mediatico e la riprovazione sociale arriva fino alle minacce ad personam: “Vi verremo a cercare”.

Peccato che in quella data i raduni non erano ancora proibiti (nello stesso giorno allo stadio San Paolo a Napoli si giocava una partita con 55.000 spettatori) e che i fedeli non avessero bevuto nel calice, seguendo le disposizioni prudenziali diffuse dalle diocesi già in quei primi giorni di allarme. A seguire i vari episodi.

Nel primo (Divieto di preghiera) un magistrato che di domenica mattina ha deciso di fare una visitina nella chiesa vicina a casa viene fermato da un agente che gli notifica che non ci può andare perché “le chiese sono chiuse”: falso, le chiese sono aperte, non ci si può celebrare in gruppo, ma l’agente non è informato benissimo e tanto per non sbagliare ha dato un’interpretazione estensiva e punitiva delle disposizioni vigenti.

Il magistrato lo corregge, ma scopre che tutto sommato è più semplice andare dal tabaccaio. Già, l’interpretazione nel contesto del disordine e dell’accavallarsi della normativa, che poi è il vero Leitmotiv che lega tutti gli episodi. In un altro gli agenti interrompono la messa del Vescovo di Frascati, perché sì, la sta celebrando da solo, ma ha lasciato la porta aperta.

Idem per un sacerdote a Marina di Cerveteri, a cui non è bastato aver bloccato l’ingresso. Titolo facilissimo: Messe interrotte Il terzo si intitola Halal: titolo esotico, ma ambientazione nella solita Italia profonda, finalmente unita dalle Alpi al capo Lilibeo. Un cittadino italiano di origine marocchina, abitante nelle Marche, viene multato con una ammenda di 533 Euro perché pizzicato a fare spesa in un comune viciniore, l’unico dove può trovare la carne che gli è consentito mangiare se vuole seguire i precetti della sua religione.

Segue l’episodio delle processioni interrotte: il prete di Rocca Imperiale, in Calabria, viene multato per 400 Euro perché andava in processione, da solo, ma portando un crocifisso: non abbiamo capito se aveva superato i famigerati 200 metri dall’abitazione o quale altra norma avesse violato, tipo che il cane e il bambino si possono accompagnare fuori e il crocifisso no: che dire? è mèglie a ride, dicono dalle mie parti, quando l’unica alternativa seria sarebbe piangere. Succederà anche a mons. Bruno Forte, che ha dichiarato che farà uscire il Cristo morto e lo porterà processionalmente in solitaria?

Bellissimo, come vuole il canone, l’ultimo episodio, Oltre la regola. Lo spoiler lo fornisce la Repubblica. A Beinasco, in provincia di Torino, nessuna regola ministeriale risulta violata, ma la sindaca “si indigna” per il cattivo esempio e manda i vigili. Il parroco: in chiesa c’erano sette persone, tutte le regole sono state rispettate. La sindaca: comunque inopportuno. Dopo lo stato etico anche il comune etico, commenta Martina Pastorelli nella sua pagina Facebook.

Questo episodio è particolarmente inquietante e paradigmatico, perché l’estensione arbitraria e moralistica della regola si registra anche in altri campi, più profani, ma non meno incredibili: tipo camminare è permesso, ma non vi vergognate di questa necessità volgare ed egoistica in una situazione come quella che stiamo vivendo?

Non c’è bisogno di aggiungere che a ognuno degli episodi-tipo che ho elencato come canovaccio per la “serie che verrà”, soggiace un tifo sordido contro l’espressione pubblica della fede, una specie di fastidio crescente per il culto pubblicamente espresso, anche quando resta dentro i limiti dei provvedimenti governativi: ne ha descritto “la cifra” Antonio Polito in un editoriale sul Corriere del 5 aprile: «Non è indispensabile credere per capire perché, di fronte alla forza della natura maligna, a una catastrofe, a un’epidemia, gli esseri umani di tutti i tempi si siano sempre raccolti intorno a un rito religioso…Ha suscitato scandalo la proposta di Salvini di riaprire le chiese a Pasqua. Non altrettanto scandalo aveva suscitato l’idea di Renzi di riaprire le librerie, né quella della Confindustria di tenere aperte le imprese… La paradossale verità è che oggi cultura e industria ci appaiono strumenti di rinascita e riscatto più idonei della religione. Il processo di secolarizzazione, anche nel Paese più cattolico d’Europa, ha ormai espunto la fede dal dibattito pubblico, come se fosse un sentimento privato, rispettato sì, ma in definitiva inutile al corpo sociale».

In attesa che l’idea della serie sia raccolta da una qualche piattaforma e che un team di sceneggiatori provveda ad animarla con la visibilità narrativa della TV (onestamente però è un’attesa che vedo lunga), si impone davvero una riflessione sulla marea montante dei comportamenti concreti e delle reazioni anche verbali che punteggiano quotidianamente questo nostro strano tempo sospeso: un’intolleranza a bassa e media intensità,  rispetto alla quale non bisogna smettere di ricordare che la libertà religiosa non è un lusso in più, ma è il fulcro di tutto il sistema delle libertà, come ha ben scritto il direttore dell’Istituto Bruno Leoni Alberto Mingardi nella sua lettera al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio: «L’emergenza non può diventare la scusa per multare sacerdoti che cercano di portare conforto alle persone che credono e che nella loro fede cercano un ancoraggio in tempi difficili. L’emergenza non può essere la ragione per umiliare un cittadino musulmano o ebreo, che ha abitudini e consumi coerenti con le religiose. Anche in un mondo secolarizzato, non possiamo non riconoscere il ruolo essenziale della libertà di culto e fede: la nostra Costituzione riserva ad esse una protezione specifica, a memoria del fatto che un paese che non riconosce queste libertà finisce per non riconoscere l’essenza stessa della libertà di pensiero e espressione».