Dopo-coronavirus: economia, Stato, geopolitica.

Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa 30 marzo 2020

Intervista al prof. Battisti dell’Università di Trieste  

Intervista a cura di Stefano Fontana

Il prof. Gianfranco Battisti, docente emerito di Geografia all’Università di Trieste, studioso di geopolitica e Collaboratore del nostro Osservatorio, [1] ha una visione realistica di come andranno le cose dopo il corona-virus e concorda nel ritenere che niente sarà come prima. L’ampiezza dei suoi interessi e delle sue ricerche lo mettono in grado di spaziare nei vari settori della vita pubblica e di collegarli in un quadro d’insieme.

Proprio di questo c’è bisogno ora e per questo gli abbiamo posto alcune domande sugli snodi più impegnativi (e drammastici) del momento storico che stiamo vivendo.

Professore, cosa pensa del pericolo di forme politiche autoritarie motivate dalla necessità di fronteggiare l’emergenza e che, secondo alcuni osservatori, sarebbero già in atto anche in Italia?

Quando si legge di incursioni nelle chiese, di Messe sospese e fedeli denunciati, anche se non superano le dita delle mani c’è poco da  stare tranquilli. L’uso dei droni e la volontà dichiarata di mappare gli spostamenti dei singoli tramite i cellulari ci porta diritto ad uno Stato di polizia che supera le previsioni già fosche di Orwell. Una cosa è certa: l’informatica non ammette privacy. Una volta che i dati vengano registrati, estrarne tutto il potenziale informativo che essi contengono è solo un fatto di volontà.

Né si può confidare nella correttezza di coloro che questi dati raccolgono e detengono, non foss’altro perché la violazione delle banche dati è oggi largamente diffusa. Inoltre, una volta che si sia stabilito un precedente, queste pratiche sono destinate inevitabilmente a diventare prassi comune a livello amministrativo. Prepariamoci, in futuro vivremo in uno Stato di polizia, che del resto è prefigurato nella volontà di installare ovunque le reti a 5G. Queste sono costruite al preciso scopo di controllare ogni aspetto della nostra vita, dovunque ci troviamo.

Quanto alle misure già oggi proposte, la maggioranza al potere saprà, ad es., chi frequenta le chiese e sarà in grado di incrociare questi dati con le dichiarazioni dei redditi, i registri dei pubblici esercenti, le liste dei candidati ai concorsi pubblici, i malati ricoverati negli ospedali, ecc. Tutto questo per fronteggiare un’epidemia che, per quanto virulenta, non ha ancora causato più vittime di una “comune” influenza stagionale. Al contrario, ben difficilmente questi controlli verranno adottati, ad es., per i consumatori di droga e gli spacciatori. C’è di che riflettere.

Si legge di una corsa negli Stati Uniti all’acquisto di armi per la difesa personale. Lei vede la possibilità di un collasso sociale se la crisi dovesse prolungarsi?

I sintomi ci sono già tutti, la prospettiva è realistica anche se la crisi dovesse rientrare rapidamente. Si sono già verificati furti e incursioni nei negozi. Il problema vero è il lavaggio del cervello operato da un decennio da parte di movimenti populisti che hanno dato una parvenza di dignità ad idee folli circa il funzionamento dell’ambiente, dell’economia, dei meccanismi democratici, dei vincoli internazionali. Questi hanno prodotto una massa di irresponsabili privi della benché minima cultura, men che meno  politica, pronti sia ad agire come cani sciolti sia a seguire dei capipopolo improvvisati, capaci di qualsiasi imbecillità e nefandezza.

Lo scollamento tra la popolazione ed i poteri pubblici non costituisce peraltro una novità in un Paese dove parecchie regioni sono, per aperta ammissione degli addetti ai lavori, stabilmente controllate dalla malavita organizzata. Se a ciò aggiungiamo un paio di milioni di immigrati extracomunitari, vale a dire gente che legittimamente non ha alcun attaccamento culturale e giuridico con l’Italia e gli italiani, ci troviamo di fronte ad una massa di manovra il cui potenziale destabilizzante è assolutamente incontrollabile, una volta che il tenue legame economico (quando ancora ci sia) venga a cadere. E la crisi che si prospetta con la caduta dei flussi commerciali internazionali ha tutta l’aria della “tempesta perfetta” capace di far saltare il banco.

Come far riprendere l’economia reale quando la crisi sanitaria si allenterà?

La crisi sanitaria appare come l’elemento scatenante della crisi della globalizzazione economica, occorre quindi riorientare le nostre produzioni dando maggiore attenzione al mercato interno ed alla urgenza di creare occupazione. Serve un grande programma di sviluppo, da attuarsi attraverso investimenti in opere pubbliche ad elevato coefficente moltiplicatore. Quindi no agli armamenti, si al rinnovo delle infrastrutture (ponti, strade, autostrade, ferrovie, ospedali, centri di ricerca) e a nuove infrastrutture (impianti di trattamento e riciclaggio rifiuti, bonifica terreni inquinati, dissodamento terreni agricoli abbandonati, reti di telecomunicazione).

Niente denaro a pioggia, salvo l’incremento della Cassa integrazione per i nuovi disoccupati ed un contributo una tantum alla piccola imprenditoria. Stanziare genericamente fondi per l’introduzione di tecnologie innovative – che di solito comportano una riduzione dei posti di lavoro – potrebbe poi aggravare la situazione. Per fare questo necessitano provvedimenti contro corrente. I vincoli di bilancio che abbiamo contrattato in anni più floridi vanno temporaneamente accantonati.

Del resto, si sostanziano in coefficienti tecnici che non hanno alcun significato reale. Prendiamo atto che di fronte all’inaridirsi dei mercati stranieri (tutti i Paesi risulteranno impoveriti), si scatenerà una lotta per la sopravvivenza. Occorre urgentemente una tutela legislativa delle imprese italiane, con l’obiettivo di impedirne l’acquisizione da parte di soggetti stranieri, anche se provenienti da paesi UE. Questo è contrario alle regole, ma in tempi grami tutti se ne dimenticano.

Ricordiamoci invece di come si sono comportati i francesi di fronte all’acquisizione del cantiere STX da parte della nostra Fincantieri. Occorre però che le organizzazioni imprenditoriali e sindacali si impegnino urgentemente a delineare gli ambiti di attività che avranno un mercato dopo la fine dell’emergenza. Lasciare libertà alle “forze di mercato” di cercare la soluzione del problema a livello individuale, visto che tutti necessitano degli aiuti statali, sarebbe un suicidio.

È evidente che le mascherine e i disinfettanti non possono essere oggetto di nuove iniziative industriali, mentre diversi dei settori sinora in auge entreranno in crisi per il crollo della domanda. Un esempio fra tutti: le navi da crociera e il turismo in genere. Il virus evidenzia così le debolezze del modello economico che abbiamo adottato, troppo dipendente dalla domanda estera in generale e dai beni di lusso in particolare.

Pensa che si andrà incontro ad un nuovo centralismo statale?

Il ruolo dello Stato è fondamentale più che mai. Che lo Stato sia il problema è vero, ma non nel senso che intendono i fautori del liberalismo sfrenato (leggi globalizzazione). Tutte le imprese, soprattutto le più grandi, vivono grazie al clima favorevole creato dai poteri pubblici. Spesso tanto favorevole da consentire alle multinazionali di sottomettere i governi alle loro ambizioni illimitate. Il punto è allora stabilire quale sia il limite che debba separare l’azione dello Stato e quella dei privati.

Questo è il cuore del dibattito che ha dilaniato il secolo scorso, nel quale il mondo si è diviso fra tre modelli contrapposti: l’economia di mercato, il socialismo nazionalista e il socialismo internazionalista. Il secondo modello è stato distrutto con le armi, il terzo è crollato a seguito di una offensiva mirata, economica prima ancora che politica. Il primo modello sta franando adesso.

Di fronte al collasso a livello planetario delle formazioni politiche che hanno governato il mondo dopo la II guerra mondiale ed alla rapida ascesa dei movimenti populisti, soprattutto gli eredi del marxismo, non mi sembra che vi siano dubbi sul fatto che ci troveremo all’interno di sistemi autoritari. Nessuna crisi economica ha mai prodotto un incremento di democrazia, al contrario. Si apre un vasto spazio per quanti si proporranno come garanti dell’ordine pubblico e dell’attuazione di politiche dirigiste in campo economico. È una previsione, sia chiaro, non un auspicio.

Sarebbe favorevole – ammesso che si trovasse un accordo – all’emissione di corona-bonds garantiti dagli Stati dell’Unione europea?

Allo stato attuale, l’unica speranza di salvezza, non solo per l’Italia ma per la stessa Europa e per il mondo intero, è dato da un una politica di deficit spending di dimensioni inusitate da parte degli Stati. Non lo dicono solo le mie ricerche, tutto sommato recenti, in materia di geografia finanziaria, lo dice Mario Draghi. Siccome poi i soldi non si possono semplicemente stampare ma occorre trovare chi li sostenga impegnandovi delle risorse adeguate, in quanto le banconote sono in realtà un debito delle banche, ecco che per trovare gli acquirenti di questo debito occorre una garanzia di primo livello, che solo gli Stati possono offrire.

Qui dovrebbe entrare in gioco l’Unione Europea, o quanto meno l’insieme dei Paesi della zona Euro. Ma come appare chiaro, questo obiettivo è piuttosto lontano. Occorre però chiedersi se esistano oggi delle classi dirigenti in grado di gestire con efficienza questa eventuale bonanza. Se la risposta, come molti temono, dovesse essere negativa, ci si troverebbe ad aver sprecato l’occasione, con conseguenze apocalittiche.

Secondo lei l’Unione Europea è veramente morta per coronavirus come molti osservatori dicono?

La verità è che l’UE semplicemente non esiste, è la più grande “fake news” in circolazione, della serie “il re è nudo”. Non è mai nata né mai nascerà, esiste solo un ircocervo che finirà inevitabilmente col frantumarsi. Naturalmente ci sono e ci saranno dei tentativi di rilancio da parte di coloro che hanno messo in piedi il baraccone, soprattutto in Francia. Sono gli stessi ambienti che si sono opposti all’inserimento dell’eredità giudeo-cristiana nella Costituzione europea.

La tentazione è sempre quella di usare la crisi per attribuire ancora più potere ai “poteri forti”. Non a caso questo pericolo è da anni il leit-motiv della letteratura sul “complottismo”, che è poco affidabile ma spesso rappresenta la modalità con cui alcuni “addetti ai lavoro” fanno trapelare delle verità che si vorrebbe tenere nascoste. Il piano di rilancio fallirà per il semplice motivo che la Germania, il partner che conta di più, è e vuole rimanere uno Stato e non sciogliersi in una organizzazione all’interno della quale finirebbe col perdere la propria sovranità economica.

Ne è inoltre scoraggiata dal farlo in quanto la realizzazione di un’Europa che funzioni si scontrerebbe con una ancor più decisa reazione degli USA, reazione che la trasformerebbe nel principale Paese-bersaglio. Una posizione, a ben vedere, che è speculare a quella della Gran Bretagna.

Lei è esperto di geopolitica: ritiene plausibile che senza Unione Europea l’Italia diventerebbe una colonia o cinese o americana?

Il rischio è anche peggiore. In primo luogo gli USA si opporrebbero con ogni mezzo alla penetrazione di qualsiasi altra potenza (UE inclusa), e ciò riporterebbe alla situazione degli “anni di piombo”. In realtà, un’Italia sganciata dalla UE perderebbe interesse per la Cina, che ci vede sostanzialmente come un approdo per il ricco (fino a quando?) mercato europeo.

Più concreta è invece l’ipotesi di una entrata, senza alcuna garanzia, nell’orbita americana. Cosa accadrebbe in questo caso? Noi non siamo un’isola atlantica, come la Gran Bretagna. La nostra posizione geografica porterebbe a un’ulteriore militarizzazione della penisola, che a questo punto dovrebbe garantire anche contro un futuro affaccio dell’Europa centro-settentrionale sul Mediterraneo. Isolati da questi Paesi ed in rotta di collisione con il mondo arabo, un tempo nostro partner economico privilegiato, vedremmo crollare le nostre esportazioni e rischieremmo di diventare uno dei principali campi di battaglia della III guerra mondiale.

Anche se questo scenario non si realizzasse, il futuro ci vedrebbe ridotti nella condizione dei Paesi latino americani. Più concretamente, diverremmo semplicemente una Grecia più grande, la Grecia di oggi, s’intende. L’unico partner accettabile per noi sarebbe la Russia, che storicamente manifesta costante interesse per un’alleanza, non solo economica. Lo dimostra in questi giorni l’invio dei medici militari da parte di Putin.

Vista la complementarietà tra le due economie, la comune cultura europea, la fede cristiana dei due popoli (e la distanza geografica che rappresenta comunque un fattore di sicurezza), sarebbe certamente un bene. Probabilmente ciò faciliterebbe anche il dialogo tra Ortodossia e Cattolicesimo. Ma qui ci troveremmo contro non solo gli USA ma quasi tutti gli Stati europei.

Quale principio della Dottrina sociale della Chiesa ritiene più utile e attuale in questo momento?

Mi riallaccio alle domande sul centralismo statale e sul ruolo dell’Europa. La risposta è inequivoca: il principio di sussidiarietà. Questo è il nodo fondamentale che spiega il malfunzionamento della nostra economia e della UE nel suo complesso. Non è un caso se fra i Paesi medio-grandi di cultura europea, gli unici che funzionano sono quelli organizzati sul modello federale. Lo dice anche la Chiesa: unicuique suum.

Espropriare della capacità di governo i livelli territoriali intermedi e inferiori dell’amministrazione pubblica significa aprire le porte all’intrusione di soggetti privati che si  annidano nei gangli strategici centralizzati. Questi sono così liberi di razziare le risorse locali, impedendo alle varie comunità di sostenere un’economia virtuosa, basata sulla risposta interna ad una serie di bisogni primari. Le grandi imprese sembrano più efficienti delle piccole, ma non bisogna mai dimenticare che i grandi profitti costituiscono in buona parte la sommatoria dei profitti che le imprese medio-piccole sono state impedite di ottenere.

Per bene che vada, siamo in gran parte di fronte ad una partita di giro. Anche qui la risposta sta nel porre un limite alle imprese, quanto alla dimensione ammissibile, ovviamente tenendo conto dei parametri insiti nelle tecnologie adottate. È impensabile uno spezzettamento dei gestori telefonici, ma inaccettabile che il commercio online annienti le reti di distribuzione mandando sul lastrico milioni di persone.

Ancora una volta l’emergenza virus appare rivelatrice. Si guardi all’incapacità della Consip  di garantire forniture tempestive dei materiali sanitari indispensabili. In tempi normali si lamenta comunque la scarsa qualità dei prodotti unita ai prezzi elevatissimi, questi ultimi giustificati in parte dal fatto che il governo paga le ditte con anni di ritardo. Il modello tedesco, che affida alle comunità locali un ruolo importante nel contrasto all’epidemia sembra evidenziare non casualmente risultati migliori dei nostri. È quanto sostiene un’équipe di medici bergamaschi in un appello online, nel quale si mette in discussione l’intera strategia sanitaria nazionale.

In una pandemia, essi affermano, l’assistenza centrata sulla ospedalizzazione dei pazienti è inadeguata e deve essere sostituita da un’assistenza centrata sulle comunità (https://gloria.tv/post/jd18JFpeuBJG6NfCntYSMDWSQ). Infine, la Dottrina sociale della Chiesa presuppone l’esistenza di una comunità di persone unite dalla fede in Gesù Cristo, che è medico e medicina delle anime e dei corpi, che è Via, Verità e Vita. Come ricordano i messaggi di Medjugorje, abbiamo voluto costruire un mondo senza Dio e per esso non c’è né futuro né vita eterna.

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[1] Il Prof. Gianfranco Battisti ha scritto diversi articoli e saggi per il nostro Osservatorio che qui ricordiamo:

  • Capitali senza confini. L’antimondo dei paradisi fiscali e i flussi finanziari internazionali, in “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa”, XI (2015) 3, pp. 103-107.
  • Islam: un problema geo-politico, “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa”, XV (2019) 2, pp. 60-69.
  • La geopolitica delle religioni nell’epoca del ritorno al paganesimo, “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa”, XI (2015) 4, pp. 145-151.
  • Europa: Le molte ragioni di una crisi epocale, in Osservatorio cardinale Van Thuân, Europa: la fine delle illusioni. Nono Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo, a cura di G. Crepaldi e S. Fontana, Cantagalli, Siena 2017, pp. 123-146.
  • I popoli come obiettivo e come strumento: una prospettiva geopolitica, Osservatorio cardinale Van Thuân, Popoli, nazioni, patrie tra natura e artificio politico, Undicesimo Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo, a cura di G. Crepaldi e S. Fontana, Cantagalli, Siena 2020, pp. 43-64.