L’apostolo della Verità

Litterae Communionis Anno VIII – gennaio 1981

Cercate ogni giorno il volto dei santi… 28 gennaio Tommaso d’Aquino

Inos Biffi

I. Tratti della fisionomia di san Tommaso

1. San Tommaso non si racconta

C’è qualche arditezza a parlare in pochi momenti di una figura così unica, così rilevante nella storia, e non soltanto nella storia della Chiesa, come san Tommaso d’Aquino e non so se la sua dottrina riguardo alla prudenza mi assolverebbe; probabilmente mi assolverebbe la sua indulgenza perché san Tommaso era un uomo paziente.

Non è facile del resto delineare nella sua tipologia e nella sua interiore personalità san Tommaso, perché non si raccontava mai. Qualche volta si riesce quasi a strappare una confidenza tra riga e riga nei suoi scritti, preoccupati unicamente della obiettività. Ma occorre molto ascolto.

Penso che san Tommaso è molto giù di moda anche perché da tempo abbiamo perso un poco l’abitudine di ascoltare, di ascoltare con profondo silenzio. Siamo facili alla parola; san Tommaso, che ha una teoria sulla retorica nel senso bello del termine, non usa per parte sua tre parole quando ne bastino solo due; non ne usa due quando ne basti una.

Si deve dunque scoprire san Tommaso attra­verso i suoi scritti, dove gli premeva dire la verità, non se stesso; dove non si preoccupava di esi­birsi o di mettersi in primo piano.

2. La verità come assoluto

Ecco allora un primo tratto del tipo San Tommaso d’Aquino che potremmo esprimere così: il vivo senso della verità, dell’obiettività come misura, anzi, come assoluto. Io ho scoperto credo solo da qualche settimana un’affermazione sorprendente di san Tommaso nel Commento al libro di Giobbe: egli sta esaminando la frase «disputare cum Deo cupio», «desidero disputare con Dio», e non manca di suscitare problema questa intenzione.

«Dato che Dio non è comparabile, sovrasta, eccede sull’uomo». Ora san Tommaso scrive: «la verità non varia, non cambia a seconda della diversità delle persone, per cui quando uno dice la verità non può essere vinto da nessuno; con qualsiasi persona egli disputi, se dice la verità non può essere vinto da nessuno».

Vi dico il testo latino per farvi gustare un poco questo modo di parlare che il grande commentatore di Tommaso d’Aquino, il Gaetano, diceva che era sempre formale, rigoroso e preciso «Veritas ex diversitate personarum non variatur», dunque: sia in bocca a un superiore o a un suddito, a un professore o a un alunno, a un padre o a un figlio, a Dio o all’uomo; «unde, cum aliquis veritatem loquitur vinci non potest cum quocumque disputet» (Expositio Super lob ad lietteram, XIII, 19).

E’ il senso della verità, dell’oggettività, del suo valore, del suo assoluto, del suo non essere manipolabile a piacere. E’ il primato dell’essere, dell’essere che emergendo nell’intelligenza diventa vero, è vero. E allora noi ci spieghiamo il ricorrere frequente in san Tommaso di una affermazione che egli attribuisce a sant’Ambrogio «Verum, a quocumque dicatur, a Spiri tu Sancto est» (In Tit. 1,13): c’è sempre lo Spirito Santo al principio della verità.

Per cui san Tommaso non si domanda chi ha detto una cosa, ma se questa cosa è vera e se è vera, chiunque l’abbia asserita, ha lo Spirito Santo come suo principio. A san Tommaso non importava vincere, ma importava essere nel vero; del resto non è alla verità che lungo la storia e dentro la vicenda dei nostri giorni è promessa la vittoria.

Mi ha fatto molta impressione la lezione conclusiva del diligente e onesto insegnamento della professoressa Vanni Rovighi quando disse che la filosofìa che aveva insegnato non era risultata la filosofia vincente, ma lei l’avrebbe ugualmente insegnata ancora. A San Tommaso importava essere vero e da questa sensibilità, unica, per la verità, gli proveniva il coraggio di essere nuovo.

3. Il coraggio dì essere nuovo nella radice antica dell’essere

Le due cose — verità e novità — si coniugano e si implicano: il distacco da sé, la passione per la verità, l’importanza di ciò che è, dà il coraggio anche di essere nuovi.

In coerenza con questo tratto fondamentale del tipo san Tommaso noi comprendiamo la passione dell’intelligenza che egli aveva, cioè la passione di comprendere e di seguire le esigenze dell’intelligenza, la sua inquietudine che non si fermava ad un certo momento, ma tendeva in una ricerca sempre più profonda delle cause; non so come sarà giudicato in avvenire il nostro tempo; forse come il tempo in cui amiamo fermarci ad un certo punto perché non abbiamo la robustezza intellettuale di proseguire.

Il grande maestro di pensiero di san Tommaso che, come vedremo è stato Aristotele, gli ha insegnato l’amo­re per le cause, il procedimento sempre più profondo nelle implicazioni fino ad arrivare alla sorgente che è Tessere.

La vita di san Tommaso d’Aquino si svolge sotto questo impulso, sotto questa insegna della ricerca della verità nelle sue radici più intime. Quando un’epoca si contrassegna per la crisi della metafisica è un’epoca che si sta decomponendo nel fenomeno perché ha spezzato la comunione con le sorgenti.

4. Teologìa contemplativa

Il tipo san Tommaso appare allora come colui che dà il primato alla contemplazione e alla gratuità. Il senso della gratuità; la teologia di san Tommaso è una teologia gratuita, oso dire più gratuita della teologia di san Bonaventura il quale diceva: bisogna fare il teologo per essere buoni; Tommaso direbbe: bisogna essere buoni per fare il teologo. (S. th. I, 1,4).

Cioè bisogna avere la trasparenza di tutto Tessere per poter tentare di contemplare Dio, e allora la teologia è una scienza gratuita cioè una scienza non utile, sommamente inutile. Perché è la scienza che non riguarda il farsi dell’uomo — questo è solo un momento — ma è la scienza della teologia di contemplare Dio come l’unico che interessi ultimamente e sommamente.

Ecco allora la teologia di san Tommaso come teologia che anticipa la contemplazione e quindi la gioia di Dio. Egli infatti dice che la teologia è come una traccia, «quaedam impressio», (S. Th. I, l,3,2m) della scienza di Dio e dei beati, e per ciò il teologo è l’uomo più gioioso.

Si potrebbe dire: san Tommaso è il caso della teologia che trasfigura un uomo. Cioè è il santo che si è lasciato trasfigurare dalla teologia. Quando la teologia trasfigura un’uomo: è il titolo che darei se dovessi scrivere un libro su san Tommaso.

5. Tenacia e coerenza

E ancora san Tommaso per questo profondo distacco che ha da se stesso e dalla propria riuscita appare un tipo tenace e coerente — e vedremo alcune applicazioni di questa sua tenacia —. E appare paziente e umile: ha l’umiltà non di chi nasconde il dono ma di chi lo mette al servizio della verità. E’ la vera umiltà, è l’interpretazione di sé alla luce del tutto di Dio.

Ho detto san Tommaso fu considerato molto paziente, e lo indicano alcuni aneddoti interessanti, molto belli. Qualche volta però vediamo che perde la pazienza: per esempio, quando termina il suo De imitate intellectus contra averroistas e scrive: chi la pensa in maniera diversa da quello che qui ho espresso abbia il coraggio di uscire allo scoperto, e non resti «in angulis» ad argomentare con dei giovani inesperti; si batta con argomenti obiettivi, che tutti possono valutare.

6. Verità integrale

Un’ultimo tratto di questa figura così difficile da reperire e da delineare: san Tommaso ha il senso della integralità proprio perché ha il senso della verità. Egli non esclude, ma piuttosto include. Ha una mentalità inclusiva e qui mi pare una discriminazione notevole tra il tipo san Tommaso d’Aquino e il tipo san Bonaventura.

Per questa integrità egli parlerà di «proruptio intellectus in affectum amoris» del «compiersi e prorompere della conoscenza nell’amore» (cfr. S.th. I, 43, 5,2m); non è un intellettualista arido san Tommaso, perché il primato della verità non significa in lui assorbimento nell’astrazione riduttiva della realtà, specialmente umana, a cui tutta la realtà converge.

Tale integrità che compone l’uomo ha poi una radice esemplare e assoluta: conoscenza che maturando si apre, prorompe nell’amore trova il suo modello originario nel mistero della Santissima Trinità dove precisamente abbiamo la «Spirazione» dell’Amore dello Spirito Santo, da parte del Verbo.

II. Le scelte di san Tommaso

Occorre ora capire come questa forma strutturale di san Tommaso che abbiamo semplicemente abbozzato si è poi espressa storicamente mediante alcune scelte tipiche di San Tommaso. San Tommaso è un uomo che decide nel suo tempo, che opta e non si lascia recuperare, ma è presente criticamente.

Si direbbe che la figura di un uomo è determinata da due componenti: l’inserimento nella tradizione e l’emergenza della originalità in questa tradizione, che non assorbe, disidentificando, ma rappresenta la matrice in cui si evidenzia l’originalità, cioè la presenza critica.

1. La scelta mendicante

Vediamo alcune di queste scelte di san Tommaso. Una prima scelta, estremamente contestativa: egli non rimane a Montecassino, dove sarebbe facilmente potuto diventare abate e quindi avere un’autorità che si paragonava col pontefice e all’imperatore.

Sceglie l’evangelismo mendicante — «évangelisme», come lo chiama padre Chènu, il geniale studioso di san Tommaso, colui che più di ogni altro ha saputo darci non il san Tommaso astratto che discende «sine patre, sine matre, sine genealogia» come Melchisedek dal cielo (Congar), ma il san Tommaso nella solidarietà con la storia — ebbene, Tommaso d’Aquino sceglie l’evangelismo mendicante, e lo persegue tenacemente, nonostante tutte le opposizioni, a cominciare dalle resistenze interne della sua famiglia.

In un bel libretto, intitolato San Tommaso d’Aquino della collana arancione di Laterza, la professoressa Vanni Rovighi quando parla di questa scelta fondamentale dice; sarebbe come se un ragazzo, un giovane di estrazione borghese, fosse andato cinquant’anni fa a fare il piccolo fratello di Gesù, con una scelta di profondo distacco e povertà.

E’ stata la scelta di san Tommaso. Egli non ha rigettato Montecassino come luogo dell’ascolto e della contemplazione di Dio, al contrario: se noi leggiamo attentamente le sue questioni relative alla vita contemplativa, al rapporto tra vita attiva e vita contemplativa, ai doni dello Spirito Santo, noi vediamo quanto la contemplazione monastica abbia improntato Tommaso d’Aquino.

Certamente non è senza rapporto a quella esperienza che egli ha potuto scrivere che l’ideale è quello di contemplare e quindi di trasmettere agli altri il frutto della contemplazione («contemplata aliis tradere»).

E tuttavia non rimane a Monte-cassino: diventa un mendicante, uno che vuole uscire dalla sicura cerchia del monastero, lontano dalla città, per immergersi nella città; ecco allora la dialettica contestazione evangelica per un’im­mersione profonda nella storia e nel suo tempo. Una liberazione per un’immersione non un mo­naco, ma un frate, nella «cité»: che soprattutto sarà la città per eccellenza, Parigi.

2. La scelta della Teologia

La seconda scelta di san Tommaso è quella per la teologia. Opta infatti per l’ordine dei predicatori. Egli ha chiara questa sua vocazione; e proprio perché è un tipo tenace e paziente non la smentirà mai: gli offriranno di diventare abate di Montecassino, ma egli non vorrà. Rifiuterà anche di diventare arcivescovo di Napoli; cioè l’archiepiscopato non lo distrarrà dalla vocazione e dall’impegno di studio.

Gli sembrava che la vocazione del teologo compiva e specificava così pienamente la sua vita che non trovava spazio per altro. Era nato per fare il teologo. Ed egli ce lo confida nel capitolo 2 del I libro della Summa contra Gentiles: «Tra tutti i compiti cui si applicano gli uomini lo studio della teologia — anzi egli dice, lo studio della sapienza, ma studio non è tradotto bene: «studium» non dice semplicemente studio, dice ricerca, passione, desiderio —, lo studio — dunque — della sapienza la vince in perfezione, sublimità, utilità e godimento. In perfezione: perché nella misura in cui l’uomo si applica alla sapienza, partecipa in qualche maniera alla vera beatitudine; — ho parlato prima della «gioia» del teologo —.

Di qui le parole del Savio: «Beato l’uomo che si applica alla sapienza» (Eccli, 14,22). In sublimità, perché tale studio — tale ricerca avvicina specialmente l’uomo alla somiglianza di Dio».  Ho parlato prima della santità di Tommaso come trasfigurazione della sua vita, della sua intelligenza, del suo essere: una trasfigurazione da parte di Dio e in Dio. «Ed essendo la somiglianza causa della benevolenza, lo studio della teologia è il mezzo principale che unisce a Dio con l’amicizia».

Per Tommaso d’Aquino il teologo non è un professore astratto e distaccato; è uno che crede e che attraverso la somiglianza che via via acquisisce con Dio fonda la possibilità della comunione e dell’amore. «Di qui l’affermazione della Scrittura, che la Sapienza è per gli uomini un tesoro inesauribile cosicché quanti vi attingono sono partecipi dell’amicizia di Dio».

I teologi non sono quelli che nella Chiesa seminano l’incertezza, non sono quelli che fanno attraversare il cuore e la mente dal dubbio critico, nel senso di denigratorio o diffìdenziale, ma sono coloro che aiutano l’amicizia con Dio.

In utilità lo studio della sapienza è superiore a tutti gli altri «perché mediante la sapienza si giunge al regno dell’immortalità: “poiché il desiderio della saggezza condurrà al regno imperituro” (Sap 6,21). In godimento, finalmente, perché la famigliarità con la sapienza non ha amarezze — ritorna il tema della gioia né dà fastidio la sua convivenza, ma letizia e gioia”» (Sap 8, 16).

E qui segue la consapevolezza della sua chiamata: «Prendendo perciò fiducia dalla bontà divina, nell’affrontare il compito del sapiente, pur trattandosi di un’impresa superiore alle nostre forze, — Tommaso non fa il teologo come si potrebbe fare l’«enfant terrible» che si affida a se stesso — ci proponiamo di esporre, secondo le nostre capacità, la verità professata dalla fede cattolica».

Non è preoccupato di inventare ma di esporre la verità: «Veritatem catholicae fidei»: «la verità della fede cattolica, respingendo gli errori contrari», proprio perché ama la verità e non ha nessuna preoccupazione, nessun complesso di inferiorità a chiamare Terrore con il suo nome; «Respingendo gli errori contrari perché — continua —, per dirla con sant’Ilario — ecco qui la sua vocazione che ci è confidata — io penso che il compito principale della mia vita sia quello di esprimere Dio in ogni parola e in ogni sentimento».

Ecco san Tommaso: ha la convinzione che la sua vita da Dio è chiamata e progettata perché tutta quanta proclami Dio: «omnis sermo meus et sensus Deum loquatur» La sua parola, la sua vita sono intese e volute come epifania e trasmissione di Dio.

BIOGRAFIA

Tommaso nacque in una famiglia di piccoli feudatari imperiali, i d’Aquino di Roccasecca e Montesangiovanni, fra il 1221 e il 1227. Da Tommaso i familiari si aspettavano un altro avvenire, poiché a cinque anni lo mandarono come oblato nella vicina abbazia benedettina di Montecassino.

Le continue guerra fra papa e imperatore ridussero in quegli anni l’abbazia in uno stato di desolazione, sì da indurre i parenti di Tommaso a toglierlo di lì, e a mandarlo a proseguire gli studi a Napoli, nell’Università recentemente fondata da Federico II.

A Napoli Tommaso conobbe l’Ordine dei Frati Predicatori recentemente fondato da san Domenico. Fra coloro attratti dalla nuova forma di vita religiosa fu appunto il giovane Tommaso. Il suo ingresso nell’Ordine domenicano, nel 1244, non piacque affatto alla madre e ai fratelli, tanto che due di essi furono inviati, armati, a tagliargli la strada ad Acquapendente e a riportarlo con la forza al castello di Roccasecca, dove rimase probabilmente alcuni mesi, mentre i familiari cercavano «con ogni mezzo» di dissuaderlo dal suo proposito.

Quello che sappiamo è che quei mezzi furono inefficaci e che Tommaso ritornò in convento a Napoli, donde ripartì, probabilmente nel 1245, alla volta di Parigi o di Colonia. Dal 1248 al 1252 egli fu discepolo di Alberto Magno a Colonia. Certo il discepolato da Alberto Magno ebbe una notevole importanza per la formazione culturale di Tommaso.

Alberto era infatti non solo uomo di vastissima cultura e di interessi molteplici, ma anche uomo aperto alle nuove fonti che le recenti traduzioni dal greco, dall’arabo e dall’ebraico mettevano a disposizione dei latini.

Negli anni in cui Tommaso ascoltava le lezioni di Alberto Magno si era in parte già compiuta e in parte si stava compiendo l’opera di assimilazione dell’aristotelismo da parte del pensiero cristiano. Alberto, che si era reso conto del valore del suo discepolo, lo mandò a Parigi quando, nel 1252, il Maestro generale dell’Ordine gli chiese un giovane baccelliere da avviare alla carriera accademica in quella Università.

Nel 1256 Tommaso divenne «magister», ossia professore a pieno titolo e tenne la prolusione. Questo suo primo magistero parigino durò fino al 1259 e fu assai fecondo: fra gli scritti più notevoli ricorderemo, il commento (in forma di «quaestiones») al De Trinitate di Boezio, le Ouestìones disputatae de ventate, buona parte delle Ouaestiones quodlibetales.

Secondo la maggior parte degli studiosi Tommaso cominciò anche in questi anni la Summa contra Gentiles. Nell’estate del 1259, terminato l’anno scolastico, Tommaso lasciò la cattedra parigina, si trasferi in Italia e vi rimase fino al 1269.

Ci si è domandati il perché di questo trasferimento, ma era consuetudine che un «magister» cedesse la cattedra parigina, dopo un triennio, ad un altro membro dell’Ordine. In Italia Tommaso seguì la corte pontificia nelle sue residenze.

In questo periodo Tommaso, che aveva il titolo di «predicatore generale» dell’Ordine domenicano, partecipò anche ai «capitoli» provinciali che si tenevano ogni anno. Oltre a ciò doveva rispondere a problemi che gli venivano posti o da prìncipi o da superiori dell’Ordine.

Nonostante queste varie occupazioni Tommaso svolse nel decennio italiano una notevole attività di scrittore: portò a termine la Summa contra Gentiles, e, negli ultimi anni, la prima parte della Summa theologiae. Alla fine del 1268 Tommaso fu richiamato a Parigi e vi rimase, insegnando all’Università, dal 1269 al 1272.

Accadeva raramente che un maestro fosse richiamato alla cattedra che aveva lasciata; il fatto si spiega probabilmente con la necessità di aver presente un uomo di singolare valore per fronteggiare le difficoltà della situazione accademica parigina.

Anche il secondo magistero parigino fu assai fecondo di opere di cui ricordiamo soltanto la seconda parte della Summa theologiae. Dopo il secondo triennio di magistero parigino Tommaso fu di nuovo chiamato in Italia, a Napoli, questa volta, come reggente degli studi nello «studium generale» dell’Ordine.

Fu qui che Tommaso scrisse commenti alla Bibbia e proseguì nella terza parte la redazione della Summa theologiae. Ma non potè terminarla. La sua salute declinava, e dal dicembre 1273 non scrisse più.

Nonostante la sua malferma salute, Tommaso ebbe l’ordine dal papa Gregorio X di partecipare al Concilio di Lione, indetto per il 1274, e all’inizio di quell’anno si mise in viaggio. Un viaggio faticoso, che dovè essere presto interrotto. Bartolomeo da Capua riferisce che a Teano Tommaso inciampò in un albero caduto lungo la strada e batté la testa, ma proseguì il viaggio; dovè però fermarsi ammalato al castello di Maenza, nella diocesi di Terracina.

Poiché la malattia non accennava a passare, egli chiese di essere trasportato nella vicina abbazia cistercense di Fossanova, dove morì il 7 marzo 1274, forse non ancora cinquantenne. (da: S. Vanni Rovighi, S. Tommaso, ed. Laterza)