Intervista a Miguel Montes sul sinodo sull’ Amazzonia

da Libertà e Persona

23 Settembre 2019

Jair Bolsonaro, presidente del Brasile, è un demonio, lanciato nella distruzione della foresta amazzonica e nello sterminio degli indigeni! E’ questa la vulgata diffusa dai media progressisti, con la complicità di Angela Merkel ed Emmanuel Macron.

A nulla vale far presente che la foresta bruciava anche ai tempi del progressista Luiz Inácio Lula, e che arde anche oggi nella Bolivia governata dall’indios comunista Evo Morales. La sua collocazione politica e l’ostilità delle lobby abortiste ed LGBT, infatti, espongono il neo presidente brasiliano – operato già cinque volte in seguito ad accoltellamento in campagna elettorale -, all’odio dei “più buoni”.

Si aggiunga l’enfasi con cui da tempo, nella Chiesa cattolica – che in Brasile continua a smarrire fedeli a ritmo incalzante-, l’Amazzonia sta diventando la nuova “terra promessa”, un “luogo teologico”, una sorta di Eden precedente al peccato originale, e per questo non bisognoso del messaggio redentivo di Cristo.

Proprio in vista del Sinodo sull’Amazzonia, che comincerà in Vaticano il 6 ottobre prossimo, abbiamo intervistato Juan Miguel Montes, cileno, animatore di un convegno internazionale sul Sinodo che si svolgerà il 5 ottobre dalle 9. 30, presso l’Hotel Quirinale, in Via Nazionale 7, a Roma.

Dottor Montes, sostenete che questo Sinodo rischia di avere l’effetto di una “bomba a grappolo”: cosa intendete con questa espressione?

La bomba a grappolo è chiamata anche bomba a frammentazione, perché pur essendo sganciato un solo ordigno, questo si frantuma nell’aria in diversi ordigni minori, che vanno a colpire i più svariati bersagli. Ebbene, così accade con i documenti preparatori del Sinodo pan-amazzonico.

Infatti, apparentemente, che male c’è nell’organizzare un Sinodo per promuovere una migliore evangelizzazione dei poveri di una regione remota e di difficile accesso? Ovviamente nulla. Ma i documenti preparatori mettono in chiaro che l’Amazzonia in realtà è il pretesto per sviluppare piani pastorali proposti come un nuovo paradigma per tutta la Chiesa e per tutta la società.

E quindi?

Per risolvere la presunta “crisi ambientale antropica”, ovvero causata dall’uomo civilizzato, nei testi preparatori dell’Assemblea sinodale viene proposto a tutto il mondo – a imitazione della vita tribale amazzonica – un modello collettivista e pauperista. Vi è poi una totale confusione tra piano temporale e piano spirituale: si dice infatti che la Chiesa non fa missione col Vangelo, ma attraverso proposte socio-economiche, e stabilisce inoltre quale deve essere il giusto modello di società.

I documenti pre-sinodali criticano fortemente le missioni tradizionali, le quali non avrebbero capito che Dio si è rivelato a tutti i popoli, in diversi modi, molto prima di Cristo. Vengono quindi accusate di aver cercato d’imporre il Vangelo secondo la mentalità europea. In fondo, viene portata alle ultime conseguenze quell’affermazione di Abu Dhabi secondo cui tutte le religioni sono volute da Dio; in tal modo si promuove un nuovo paganesimo, compresa persino la stregoneria diffusa nelle regioni amazzoniche.

Il rinnegamento di centinaia di anni di tradizione missionaria?

Sì, e mentre si rinnega l’evangelizzazione storica, si promuove l’adattamento agli usi e costumi religiosi dei popoli pagani, anche attraverso l’ordinazione di ministeri ordinati pensati secondo la cosmovisione indigena. Ciò comporterebbe l’abrogazione, almeno parziale, del celibato sacerdotale e l’introduzione di nuovi ministeri per le donne (non si capisce ancora se saranno le famose “diaconesse”).

Ma c’è di più. Questi ministeri sarebbero espressione non di una vocazione particolare riconosciuta dalla Gerarchia, ma del sistema tribale di leadership: sono dunque autenticamente ugualitari, a volte persino pro-tempore.

Tutto ciò evidentemente stravolge la costituzione divina della Chiesa. Ecco allora che la bomba “Amazzonia” ne contiene molte altre che esploderanno ovunque, anche fuori dalla regione sudamericana: le materie toccate da tali bombe vanno dall’antropologia alla sociologia, sino alla più alta ecclesiologia.

Cosa sta succedendo davvero in Amazzonia?

Quanto agli incendi, secondo i dati pubblicati dalle autorità brasiliane, il loro numero è nella norma di quanto sempre avviene nel periodo di siccità. L’Amazzonia è grande quanto l’Europa. Non ci sono forse stati incendi nelle Baleari, in Francia, in Grecia durante questa estate? Ovviamente sì.

In America Latina, in realtà è stato il marxista boliviano Evo Morales il responsabile dei più grandi incendi amazzonici. Eppure nessuno ne parla. Il fatto è che in Brasile c’è un governo conservatore, che si oppone alla internazionalizzazione dell’Amazzonia e che confuta, dati scientifici alla mano, l’idea che tale foresta sia il polmone del pianeta, di cui tanto si parla.

Oltretutto è un governo che sta facendo tutto il possibile per spegnere i roghi. Viene allora il sospetto che la grancassa mediatica sugli incendi abbia qualcosa a che vedere con l’arrivo a New York di Greta e, soprattutto, con il Sinodo pan-amazzonico di ottobre, i cui documenti preparatori minacciano di far passare le tanto amate ricette socialiste e anti-occidentali.

Nel Settecento molti atei illuministi, come Denis Diderot, avvalorarono il “mito del buon selvaggio” di Rousseau, salvo poi mutare opinione una volta accortisi che i primitivi della Guyana praticavano l’abbandono dei vecchi e dei malati, superstizioni, oppressione delle donne ecc… Siamo ancora al mito del buon selvaggio?

La teoria tribalista presente nei documenti preparatori del Sinodo ha come base gli esperimenti compiuti negli anni Settanta e Ottanta, specialmente in Brasile e nel Chiapas messicano. Tali esperimenti, che rispondevano a teorie soprattutto tedesche, sono stati condannati dalla Santa Sede sotto i pontificati precedenti. Ma oggi a Roma risultano vincenti.

Per questo è bene sapere cosa dicevano i fautori della teoria e delle prassi tribaliste di quel periodo. Per capire che siamo esattamente di fronte al mito del buon selvaggio di Rousseau, basti leggere quanto affermava il documento conclusivo della prima Assemblea nazionale brasiliana della pastorale indigena dei vescovi nel 1975: “Gli indios non sono stati ancora corrotti da questo sistema in cui viviamo. La Chiesa deve portare una reale speranza per l’oppresso. ´Loro erano fratelli, avevano in comune ogni cosa´.(…) Gli indios già vivono le beatitudini. Non conoscono la proprietà privata, il lucro, la concorrenza. Possiedono una vita essenzialmente comunitaria in equilibrio perfetto con la natura. Non depredano, non attentano contro l’ecologia, vivono in armonia. Le comunità indigene sono una profezia futura su quel modo di vivere, dove l’uomo è la cosa più importante”.

Lo stesso giorno del vostro convegno, alle 14.30, sempre a Roma, si svolgerà una preghiera pubblica per la barca di Pietro, che pare “già quasi affondata”. Siete tra gli organizzatori dell’evento?

No, si tratta di due manifestazioni distinte. Però lo spirito è il medesimo. Per questo non mi stupirei che molti convegnisti approfittassero della pausa tra le relazioni della mattina e quelle della sera, per recarsi alla preghiera in largo Giovanni XXIII. Analogamente auspico che molti tra gli “oranti” vengano ad ascoltare almeno una parte del nostro convegno, per capire meglio perché oggi, per citare il titolo di una delle conferenze in programma, “il verde è il nuovo rosso”.

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Parte di questa intervista è comparsa su La verità del 20 settembre