Dopo Auschwitz è possibile credere in Dio?

AushwitzIl Foglio, 23 dicembre 2010

di Francesco Agnoli

C’è un ritornello che si sente spesso: “E’ possibile credere a Dio, dopo Auschwitz?” Come tutti i luoghi comuni, questa domanda, pur mal posta, ha un suo significato. Già Agostino, infatti, si chiedeva: “Si Deus est, unde malum?” (se Dio esiste, da dove il male?).

Severino Boezio formulava un pensiero analogo, ma più completo: “Si quidam Deus est, unde mala? Bona vero unde, si non est?” (Da dove i mali, se Dio c’è? Ma se non c’è, da dove il Bene?). Come a dire che postulare come inesistente Dio, non solo non risolve il problema del bene e del male, ma lo aggrava.

Se Dio non esiste, infatti, è la distinzione stessa tra bene e male che cade, come il relativismo insegna. L’ateo assoluto, intransigente, può infatti giustificare, al più, l’esistenza del male fisico, come effetto di una imperfezione insita nella casualità della natura, ma non può neppure discutere, se è coerente, sul bene e sul male morali. Odi, omicidi, guerre ecc.: in base a quale principio questi eventi “naturali” sarebbero un male morale, se Dio non esiste? Lo sterminio degli ebrei e dei polacchi fu stabilito da un potere umano “legittimo”. Come ritenerlo iniquo, se quel potere non fosse giudicabile da un altro Potere, da una Giustizia ad esso superiore?

Ecco perché per condannare Auschwitz, in verità, bisogna non essere del tutto relativisti e credere ancora ad una natura umana non puramente materiale (altrimenti perché Auschwitz piuttosto che una tonnara?), alla Verità, alla Giustizia, cioè a qualcosa di metastorico, eterno, divino.

Ma non è tutto. La frase citata all’inizio, pur umanamente comprensibile, risulta anzitutto incompleta. Infatti, dal momento che i gulag vengono prima dei lager, e non hanno nulla da invidiare ad essi, bisognerebbe aggiungere: “E dopo Arcipelago Gulag, come credere in Dio?”. Perché questa aggiunta non viene mai fatta? Forse perché è chiara a tutti l’essenza profondamente atea del comunismo? Forse perché è noto che molti degli oppositori al sistema dei gulag, da Solgenicyn in Urss, a Valladares a Cuba, sino a Harry Wu e Liu Xiaobo, in Cina, sono o sono stati credenti?

Ecco che le vicende del Novecento, cioè del secolo più violento e sanguinoso della storia, se guardate con occhio sincero, svelano che in verità, dopo i gulag e i lager, non è più possibile credere, anzitutto, all’uomo, soprattutto all’uomo che si erge a Salvatore.

Ma per rispondere ancora meglio alla domanda iniziale, “E’ possibile credere a Dio, dopo Auschwitz?”, penso sia utile anche un libro, “Conversazioni a tavola di Adolf Hitler”, ristampato proprio quest’anno, dopo ben 50 anni, dall’ editrice Goriziana.

Quest’opera, per chi abbia affrontato testi fondamentali del nazismo, come il Mythus di Alfred Rosemberg, le memorie di Albert Speer, i diari di Goebbels, le conversazioni di H. Rauschning, i discorsi di Walter Darrè ecc., non dice nulla di sostanzialmente nuovo: Hitler era un fierissimo avversario della visione biblica, cioè dell’idea di un Dio Creatore del cosmo, come di ogni singolo uomo.

Sono idee, dicevo, ben conosciute dallo storico, ma non dalla vulgata, se è vero come è vero che non di rado si può sentire il personaggio di turno ripetere, come un disco rotto: “Ma Hitler era cattolico e battezzato!”.

Vediamo allora cosa spiegava il dittatore impegnato ad istruire i suoi ospiti, in tutta libertà, cioè non vincolato da considerazione di opportunità politica o di strategia mediatica. Nelle sue conversazioni a tavola egli ricordava il suo professore di religione, l’abate Schwarz: “Lo provocavo”, raccontava, ponendo “domande imbarazzanti sulla Bibbia”, poiché “non potevo sopportare tutte quelle ipocrisie. Ho ancora dinnanzi quello Schwarz col suo naso lungo. Guardandolo vedevo rosso. E ricominciavo peggio di prima. Appena mia madre venne a scuola, egli si precipitò su di lei per spiegarle che ero un’anima perduta”.

Il colpo più duro che l’umanità abbia ricevuto, dichiarava Hitler la notte tra l’11 e il 2 luglio 1941, è l’avvento del cristianesimo. Il bolscevismo è un figlio illegittimo del cristianesimo. L’uno e l’altro sono un’invenzione degli Ebrei”.

Il cristianesimo, proseguiva, dopo aver esaltato “Giuliano il Grande” e deplorato “Costantino l’Apostata”, è “un’ invenzione di cervelli malati”, un insieme di “mistificazioni ebraiche manipolate dai preti”, “la prima religione a sterminare i suoi avversari in nome dell’amore”; è intollerante, inganna il popolo, contraddice la ragione e “lo sviluppo scientifico”; proclama un egualitarismo iniquo, diffonde l’idea pericolosa e nociva dell’aldilà e di un Dio trascendente (in contrasto, a suo dire, con “la teoria dell’Evoluzione”); venera “il volto contorto di un crocifisso”; separa l’uomo dalla materia, mentre “non esiste alcuna frontiera tra l’organico e l’inorganico”.

Quanto ai preti, sono “aborti in sottana”, “brulichio di cimici nere”, “rettili”: è la Chiesa cattolica stessa che “non ha che un desiderio: la nostra rovina”. Così parlava il creatore dei lager, mentre tesseva l’elogio del vegetarianesimo e descriveva l’uomo come “il microbo più pericoloso che si possa immaginare”.

La domanda iniziale mi sembra dunque che vada riformulata: “Dopo lager e gulag, comunismo e nazionalsocialismo, è ancora possibile fare a meno di Dio?”.