Il laicismo che torna all’Antico regime

laicismolabussolaquotidiana.it  29 dicembre 2010

di Marco Invernizzi

Qualcuno vorrebbe che i cristiani ritornassero ad assumere la posizione pubblica che avevano negli Antichi regimi, con tanto di Chiese di Stato, e reciproche interferenze fra l’autorità politica e quella religiosa? Se poi questo qualcuno è un autorevole esponente del pensiero laicista (lo scrivo senza alcuna intenzione offensiva, ma non uso laico perché anch’io sono laico) come Gian Enrico Rusconi, allora viene automatico porsi qualche domanda.

La sostanza dell’intervento su La Stampa del 28 dicembre di Rusconi è che, nello spazio pubblico, i cattolici dovrebbero impegnarsi per difendere soprattutto i valori fondamentali e specifici della loro fede, invece di concentrarsi sui valori non negoziabili, cioè vita, famiglia e libertà di educazione. Su tanti aspetti di questo intervento del politologo ha già ben scritto Andrea Tornelli.

Non posso però non notare il singolare suggerimento di Rusconi che, se messo in pratica, riporterebbe la presenza cattolica all’epoca precedente la Rivoluzione francese, quando la religione cattolica era largamente maggioritaria nella popolazione e la Chiesa era, di fatto, al servizio dello Stato. Era una brutta conseguenza delle guerre di religione che avevano diviso l’Europa in Paesi protestanti e cattolici, secondo il principio nefasto cuius regio eius religio, che obbligava i sudditi a seguire la religione professata dal loro sovrano.

Allora era frequente la confusione fra vescovi e sacerdoti che cercavano di piegare la politica a fini clericali, così come i politici si servivano spesso e volentieri della Chiesa per interessi mondani. Rompendo questa situazione di confusione, il Risorgimento ha creato altre e peggiori ferite. I cattolici sono comunque diventati una parte della società in lotta contro altre famiglie ideologiche, all’interno di uno Stato formalmente laico, spesso laicista.

Ma il Magistero della Chiesa oggi non invita i cattolici a operare in politica per affermare i principi specifici della loro religione, che appunto sono ritenuti importanti solo da chi ha il dono della fede cattolica. Coltivare la propria specificità religiosa è importantissimo, soprattutto nella società secolarizzata di oggi, ma è compito della catechesi, non dell’attività politica.

Quest’ultima, nelle intenzioni del Magistero che propone i principi non negoziabili, ha ben altra ambizione, quella di proporsi a tutti i cittadini, qualsiasi sia la loro fede religiosa. Perché soltanto laddove saranno garantiti il diritto alla vita, la centralità della famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, e la libertà dei genitori di educare i propri figli secondo il proprio progetto educativo e senza oneri aggiuntivi, soltanto in questo caso il bene comune di tutti sarà realizzato.

Questo è il senso dei valori non negoziabili, questo è il motivo per cui Benedetto XVI li richiama costantemente e ricorda come la ragione sia presente in ogni uomo e quindi sia la base (laica) del possibile dialogo con tutti gli altri uomini, anche in politica. Non facciamoci confondere!