La cura dei disabili in Italia

disabilitàCorriere del Sud N° 9/2010 – 5 luglio

di Cristian Ricci

Il Rapporto ISTAT “La disabilità in Italia – aprile 2010”, riferito a dati sul 2004, rivela la presenza nel nostro paese di oltre 2 milioni e 600 mila disabili, il 4,8 % della popolazione, dei quali il 66,2 per cento donne, circa 1 milione 700 mila. Ma secondo lo studio “la disabilità, in Italia, è soprattutto una questione di età.

Il 18,7% degli italiani oltre i 65 anni è disabile e il tasso, come accennato, si impenna al 44% dopo gli 80 anni”, e il 43,9% delle persone con disabilità è in pensione. La stessa indagine Istat, stima che nel 2035 i tassi di disabilità potrebbero aumentare con una forbice di variabilità che va dal 65 al 75% in più rispetto ai valori attuali.

I dati ci aiutano a capire che ci troviamo di fronte ad un fatto puramente naturale, nel quale non si sceglie nulla, perché è indipendente da noi. Di fatto, tutti possiamo osservare il decadimento fisico dovuto all’età, quindi a molti di coloro che raggiungeranno un’età avanzata è possibile che tocchi in sorte, qualche difficoltà, qualche disabilità, anche perché il nostro paese è secondo a livello mondiale per longevità.

Però è altrettanto notorio e ognuno di noi può darne testimonianza, che la disabilità non sia legata solo al dato anagrafico: la conoscenza di persone ancora giovani e già per diversi motivi con abilità ridotte rispetto al normale, è un’evidenza. Tutto questo – la disabilità congenita e quella acquisita – può farci dispiacere, ma resta “un fatto umano di per sé evidente che l’uomo è e rimane un essere vivente, e che, in quanto tale, sottostà alle leggi di ciò che è organico” , quindi alla caducità e alla decomposizione: all’imperfezione.

L’ambiente umano è caratterizzato, e non può essere diversamente, dalla presenza di persone con handicap, sia esso dovuto a infermità congenita, a seguito di malattie croniche, ad infortuni, per debilità mentale o infermità sensoriale. Pertanto, lo sguardo obiettivo di quella che è la condizione umana presenta l’handicap non come una situazione innaturale e drammatica, ma piuttosto come una condizione di debolezza , del fisico o dell’intelligenza all’interno di quello che è la natura umana.

Certamente il concetto di salute che è proposto per il nostro tempo – il quale “ha la tendenza ad andare oltre la riparazione del corpo umano (corpo e anima) e ad entrare in un mondo fantastico” in cui “il ruolo della cura è quello di dare … una gioia di vivere costante” e le capacità performanti per “arrivare ai confini dei propri desideri” – stride con la realtà di quella che è la legge naturale, in cui la natura è considerata anche con le sue imperfezioni e la sua fragilità e che relativizzano il concetto di qualità della vita; il quale diventa negativo se non distingue tra ciò che è giusto e ciò che è possibile fare, nella consapevolezza che non tutto ciò che è possibile fare, sia anche giusto.

Invero, la presunzione che tutto ciò che sia possibile fare sia anche giusto farlo è all’origine della nozione di qualità della vita, con la quale spesso si misurano le realtà più deboli, proprio così come si fa distinzione tra un bene di lusso ed un normale prodotto di consumo. Tanto è vero questa nozione tende ad identificare come veramente umani solo i soggetti che già vivono o potrebbero vivere vite di buona qualità ed a non considerare alla stessa stregua chi non ha questi standard.

La nozione di qualità della vita, così intesa, è un criterio d’ingiustizia perché discrimina tra vite che non raggiungono standard di prestazione adeguati e che non sono ritenute meritevoli di tutela o della stessa tutela di cui godono le vite di buona qualità. “Quello che è tragico è che quest’etica della disuguaglianza pretende di avere un’intima ragionevolezza e pretende di fondare su dati oggettivi (atti, condizioni psico-fisiche, fasi della vita, prestazioni …) una disuguaglianza che è pura costruzione culturale” e non un dato esperienziale.

Precisamente non è in grado di esprime la realtà dei fatti perché è “riduttiva e selettiva: essa [la qualità della vita] consisterebbe nella capacità di godere e di sperimentare piacere, o anche nella capacità di autocoscienza e di partecipazione alla vita sociale. Di conseguenza, è negata ogni qualità di vita agli esseri umani non ancora o non più capaci di intendere e di volere, oppure a coloro che non sono più in grado di godere la vita come sensazione e relazione” .

Invece, la persona handicappata è un soggetto pienamente umano, con corrispondenti diritti innati, sacri e inviolabili, “che non dipendono da qualità secondarie come la forza e l’apparenza fisica, ma dal fatto che fondamentale egli o ella sono una persona, un essere umano” . Di conseguenza, per migliorare realmente “la qualità della vita [è fondamentale] cercare di abbattere i pregiudizi e riscoprire la vera dignità umana e le risorse di ogni individuo, anche disabile”.

La visione “utilitaristica” della vita umana è confutata dal fatto che persona non perde la propria essenza per il fatto di non esercitare l’autocoscienza o l’autodeterminazione, perché se anche questi due attributi possono perdersi, perché ci siano stati è necessario che prima ci sia la persona: autocoscienza e autodeterminazione (che sono un modo di esercitare la personalità), non possono esserci senza la personalità, mentre questa c’è anche senza le altre due, per il solo fatto di essere creatura umana.

Ma il rispetto di questa dignità e dei diritti che questa genera, devono essere affermati, non si impongono mai da soli, tanto più che si è di fronte a soggetti deboli, per questo “soltanto se vengono riconosciuti i diritti dei più deboli una società può dire di essere fondata sul diritto e sulla giustizia: l’handicappato non è persona in modo diverso dagli altri” , in modo diverso dai sani ed il mondo dei diritti non può essere un’aspettativa solo dei normodotati.

Ne consegue che l’assistenza al disabile non è solo un atto di carità, di amore, che deve limitarsi all’ambito famigliare, ma è, ancora prima, un fatto di giustizia che interpella tutti, “perché essere giusti vuol dire far valere l’altro come tale … aiutandolo ad ottenere quel che gli spetta ” e questo è un obbligo perché l’uomo è persona, vale a dire un essere non solo corporale, ma anche spirituale, per cui tende ad una perfezione e gli compete sempre, secondo le sue attitudine, questa possibilità. Infatti, anche “per la persona handicappata, come per ogni altra persona, non è dunque importante fare quello che fanno gli altri, ma fare ciò che è veramente bene per lei, attuare sempre più le proprie ricchezze, rispondere con fedeltà alla propria vocazione umana e soprannaturale” .

Il nostro atteggiamento nei loro confronti non può essere quello del diniego alla “cittadinanza”, perché si tratta di soggetti “da certi punti di vista più deboli, ma sempre di persone che aspirano alla propria valorizzazione piena” . Non si può lasciarli soli, perché anche loro, come noi, affrontano la vita e necessitano di amicizia e sicurezza per sviluppare, nella misura del possibile, le loro qualità umane, morali e spirituali. Hanno diritto di essere resi capaci di collaborare, a loro modo, ad un mondo più umano .

Note

Il rapporto Istat fornisce a p. 9 questa definizione di disabilità: “La disabilità è un termine che indica gli aspetti negativi dell’interazione tra un individuo, con una determinata condizione di salute, e i contesti ambientali e culturali dove esso vive”. Ha recepito la definizione elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001 nella Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (Icf): “la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l’individuo

Ramon Lucas Lucas, L’uomo spirito incarnato. Compendio di filosofia dell’uomo, San Paolo, 2007, p. 29.

Cfr. Giovanni Paolo II, Omelia della celebrazione liturgica per il Giubileo delle comunità con persone handicappate, 31 marzo 1984

Jean Marie Le Mene, Etica sanitaria e gestione della salute mondiale, intervento alla XI Assemblea Generale della Pontificia Accademia Pro vita, 21 febbraio 2005.

Maurizio Faggioni, La qualità della vita e la salute alla luce dell’antropologia cristiana, intervento alla XI Assemblea Generale della Pontificia Accademia Pro vita, 21 febbraio 2005.

Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti alla XI Assemblea Generale della PAV, 19 febbraio 2005.

Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti ai giochi mondiali per handicappati, 3 aprile 1981.

Rita Coruzzi, Un volo di farfalla. Come la fede mi ha ridato il sorriso, Piemme, 2010, P. 132.

Cfr. R. L. Lucas, L’uomo spirito incarnato, p. 256.

Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti al simposio internazionale su Dignità e diritti della persona con handicap mentale, 5 gennaio 2004

Josef Pipper, La giustizia, Morcelliana, 2000, p. 44

Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti al simposio internazionale su Dignità e diritti della persona con handicap mentale, 5 gennaio 2004.

Giovanni Paolo II, Omelia della celebrazione liturgica per il Giubileo delle comunità con persone handicappate, 31 marzo 1984.