L’urlo delle donne: “Basta esportare l’aborto in Africa”

In Terris martedì 27 maggio 2018

Denunciati i donatori occidentali di spingere contraccezione e interruzioni di gravidanza

di Federico Cenci

Papa Francesco la chiama “colonizzazione ideologica”. In Africa, ma non solo, ai Paesi poveri in cambio di aiuti allo sviluppo viene imposta da parte di organizzazioni internazionali una visione della vita che mina la natura con l’ideologia gender e con la promozione dell’aborto. Tanti africani, tuttavia, insorgono contro questo tipo di ingerenza.

Tra loro, un numero consistente di donne. Come le cinque che hanno parlato lo scorso 19 marzo all’Onu, nel corso di un dibattito co-patrocinato dall’osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, sulla promozione dello sviluppo integrale delle donne e delle ragazze di zone rurali dell’Africa.

La nigeriana Obianuju Ekeocha, fondatrice di Culture of Life Africa, e altre quattro ragazze keniane sono intervenute per denunciare “lo squilibrio di potere innegabile, incontrovertibile tra i nostri donatori e coloro che li ricevono” è – ha affermato la Ekeocha, come riporta LifeSiteNews – “la porta verso il neo-colonialismo”. La donna ha rilevato, inoltre, che gli africani “credono che l’aborto rappresenti la distruzione diretta della vita umana”. Eppure – ha aggiunto – “i donatori stanno spendendo esattamente per l’opposto”.

“Bullismo ideologico”

La realtà è stata fotografata da Akech Aimba, che si occupa di fare consulenza post-aborto inKenya. Lei ha parlato di “bullismo ideologico” delle organizzazioni occidentali che istituiscono “cliniche per aborti illegali” nelle aree rurali del Kenya e addestrano i giovani medici di Nairobi a fare aborti “per ottenere denaro facile”. Inoltre, “per ottenere una clientela per gli aborti, escono e commercializzano comportamenti sessuali irresponsabili” distribuendo preservativi e contraccettivi, ha aggiunto Aimba. E quando le ragazze rimangono incinte, “diventano clienti di queste cliniche per aborti nelle aree rurali”.

Aimba stessa ha avuto due aborti, all’età di 18 e 22 anni, che le hanno procurato un tale “danno emotivo e psicologico” da indurla al suicidio. La ragazza keniana ne è uscita solo attraverso un percorso. “L’aborto deruba la donna africana, e tutte le donne, della sua vocazione naturale, che è la maternità”. Come ha rilevato Joy Brenda Mdivo, avvocato di Nairobi, la “colonizzazione ideologica” in Africa avviene anche sotto forma di una “educazione sessuale” che incoraggia i più giovani alla sperimentazione sessuale in segreto, “lontano dai genitori”.

Il Canada

Nel corso dell’evento è stato puntato il dito nei confronti del Canada, diventato – accusano – “uno dei maggiori finanziatori e promotori dell’aborto all’Onu e in tutto il mondo, anche nei Paesi in cui è ancora illegale”. A dimostrazione dell’attitudine pro-aborto del Paese nord-americano, nei mesi scorsi il primo ministro Justin Trudeau e il suo Governo liberale hanno deciso di imporre alle organizzazioni no-profit e alle piccole imprese di firmare un attestato in cui si dichiarano favorevoli alla pratica dell’aborto e ai diritti dei transessuali. La firma nero su bianco è necessaria per poter ricevere dei sussidi statali che consentono di assumere studenti-lavoratori durante il periodo estivo.

L’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, ha detto che “il sistema di sviluppo non dovrebbe mai essere usato come cavallo di Troia per attaccare i valori culturali e religiosi delle nazioni in via di sviluppo”.