Osservazioni psicologiche sul problema della pedofilia

pedofilia_2La Civiltà Cattolica n.3837 – 1 maggio 2010

Giovanni Cucci s.i. – Hans Zollner s.i.

Le cronache recenti hanno ampiamente dato spazio agli abusi sessuali perpetrati su minori da parte di membri del clero della Chiesa cattolica, particolarmente in Irlanda e Germania. In seguito a tali fatti Benedetto XVI ha recentemente scritto una lettera pastorale ai cattolici irlandesi (1).

La nostra rivista si è già occupata a più riprese di questo annoso problema (2). Tuttavia, a motivo della gravita della questione e della sua nuova triste attualità, intendiamo svolgerne una trattazione questa volta soprattutto sotto il profilo psicologico-sociale.

Caratteristiche psicologiche della pedofilia

La fenomenologia pedofilica presenta alcuni elementi comuni che la avvicinano a quello che in psicologia viene indicato con i termini di «perversioni», «devianze», «parafilie». Con questi termini si intende un disturbo nella modalità dell’eccitamento sessuale, che si desta solamente in occasioni del tutto particolari, come la vista di oggetti e indumenti (feticismo), indossare abiti dell’altro sesso (travestitismo), guardare rapporti sessuali compiuti da altri (voyeurismo), mostrare le proprie nudità ad altri (esibizionismo), infliggere umiliazioni, violenze, fino alla morte del partner (sadismo, stupro), o infine molestare, infliggere violenza, avere rapporti sessuali nei confronti di bambini e adolescenti (pedofilia, efebofilia).

La quarta edizione rivista del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV-TR), pubblicata nel 2000 dall’Associazione Psichiatrica Americana (AFA), seguendo le precedenti edizioni del 1994 e del 1987 (DSM IV; DSM III-R), tralascia i termini «perversioni» e «deviazioni», perché ritenuti giudicanti e moralistici, in altre parole non «scientifici», per mantenere il solo termine di «parafilie». I medesimi criteri di valutazione si trovano anche nella decima edizione deU’Intemational Statistical Classification of Disease and Related Health Problems (ICD-10), pubblicato a Ginevra nel 1992.

Le parafilie vengono classificate tra i disturbi «clinici» (i cosiddetti disturbi dell’Asse I), intendendo con questo termine i «disturbi che di solito esordiscono nella prima, nella seconda infanzia, o nell’adolescenza» (3). Essi influiscono in modo significativo sulla dinamica psichica generale dell’individuo, fino alla psicosi: tra di essi si trovano la schizofrenia, i disturbi affettivi, i disturbi d’ansia, i disturbi dissociativi, i disturbi da uso di sostanze e la demenza.

La pedofilia in particolare viene definita come una specifica attività sessuale o fantasia sessuale che abbia per oggetto bambini inferiori a 13 anni per un periodo di almeno 6 mesi, compiuta da un soggetto di età non inferiore a 16 anni: «II decorso è di solito cronico, specie in coloro che sono attratti dai maschi. Il tasso di recidive dei soggetti con pedofilia con preferenza per i maschi è all’inarca doppio rispetto a coloro che preferiscono le femmine» (4)

Le vittime sono per il 60% maschi; la pedofilia è correlata ad altre caratteristiche proprie delle parafilie, come l’esibizionismo, il voyeurismo, la violenza sessuale, l’abuso di alcool (5).

Un elemento importante dal punto di vista della psicodinamica generale è dato dalla grande scarsità di relazioni alla pari: il pedofilo si interessa a persone più piccole, perché più deboli e remissive. Ciò rivela il suo livello di inferiorità: «II segno più chiaro di salute psicologica è l’esistenza di relazioni alla pari intime e soddisfacenti» (6).

Anche la sua maniera di «volere bene» (un ritornello costante addotto per giustificare questi comportamenti) ha ben poco a che vedere con le caratteristiche mature dell’amore e dell’affetto, come il rispetto, la non possessività e il riconoscimento dell’unicità dell’altro. La verità è che il pedofilo «non si affeziona al bambino, ma solo alla possibilità di esercitare un potere su di lui. Quando il bambino diventa adulto l’ “amore” scompare, perché egli si sente a suo agio soltanto con i bambini, verso i quali può esercitare un potere» (7).

Il problema non è dunque dovuto alla frequenza del tempo trascorso con i bambini e nemmeno al fatto di essere genuinamente interessati a loro; ciò è richiesto per svolgere qualsiasi compito educativo, professionale, ministeriale da parte di genitori, insegnanti, animatori sportivi e di comunità, sacerdoti. Tale frequenza può diventare preoccupante se la persona adulta non conosce altri tipi di relazioni, e soprattutto se si sente a disagio e isolata tra gli adulti, rivelando che il suo mondo interiore, i suoi interessi e inclinazioni sono altrove: «Una domanda chiarificatrice è “Con chi spendi il tuo tempo libero e le vacanze?” I pedofili ed efebofili tendono a trascorrerlo soltanto con minori. Gli adulti sani trascorrono il loro tempo libero con altri adulti […]. Durante la valutazione psicologica per riconoscere abusatori di bambini, io chiedo al soggetto chi è il suo migliore amico. Non di rado, essi menzionano un minore. Allo stesso modo, posso chiedere quali relazioni personali siano state più significative. Di nuovo, qualcuno parla delle sue relazioni con minori»; questa difficoltà si accompagna spesso a uno stile di personalità passiva, chiusa, dipendente, falsamente docile e remissiva, ma in realtà preoccupata di compiacere i superiori e mantenere coperte le proprie insicurezze (8).

Un altro importante segnale prognostico, specie nell’età della crescita, è dato da comportamenti di tipo antisociale, tendenti alla violenza, e una sessualità precoce, manifestata anche nel modo di parlare, immaginare, relazionarsi. Chi è stato abusato tende, per lo più in consciamente, a comportarsi in modo seduttivo, perché è spesso l’unica modalità conosciuta di relazionarsi ed essere considerato: «Esiste il comune convincimento che il “comportamento sessualizzato” nei bambini sia uno dei “campanelli d’allarme” nel prevedere se il minore sarà un probabile candidato a manifestazioni abusanti.

Per comportamento sessualizzato o inappropriato si intende: un rapporto sessuale con giocattoli o animali, una fissazione su argomenti di natura sessuale, la masturbazione compulsiva e un alterato rapporto con gli atti sessuali» (9). Tale ipersessualizzazione emerge purtroppo a scapito degli affetti, che rimangono come ibernati e rendono difficile una relazione non sessualizzata, all’insegna cioè dell’intimità, della tenerezza e del dono di sé. Questo perché il sesso è diventato l’unica modalità di presentazione e comunicazione di sé.

La personalità del pedofilo

È molto difficile delineare in modo preciso la personalità propria del pedofilo, perché raramente chi compie abusi rivela le proprie tendenze e i propri modi di pensare; va anche detto che molti casi di violenza restano segreti e non rivelati, per vergogna o per paura delle conseguenze. Dalle ultime ricerche compiute sembra che l’abusatore sia per lo più di sesso maschile: secondo i dati del Censis, la stragrande maggioranza degli abusi (84-90%) avviene in famiglia, e per il 27% da parte di un familiare stretto, si tratta cioè di incesto10. Un altro dato che emerge dalle ricerche è che la maggioranza dei casi di abuso sessuale denunciati riguarda per il 30% casi di pedofilia, per il 30% di efebofilia, per il restante si tratta di vittime maggiorenni (11).

Una ricerca svolta da Seympur e Hilda Parker su un gruppo di 54 padri incestuosi (28 padri biologici e 26 patrigni), raffrontati con un gruppo di padri non abusatori, mostrano tratti comuni nella personalità dell’abusatore, come, ad esempio, un rapporto sempre problematico con i loro genitori (in termini di lontananza, assenza, violenza o abuso), la mancata relazione di attaccamento affettiva, intesa anche come mancanza di un contatto fisico con i propri figli, povertà di relazioni, specie con adulti, l’alcolismo o l’abuso di sostanze: «I padri abusatori possono differire dai non abusatori nel come percepiscono i loro bambini […]. In modo particolare gli studi hanno mostrato come i genitori abusanti tendano a interpretare negativamente il comportamento dei bambini rispetto ai non abusanti, anche quando esso rientra nelle norme ordinarie dello sviluppo.

Similmente altri studi hanno mostrato che i genitori abusanti hanno attese più irrealistiche circa ciò che dovrebbe essere un comportamento appropriato da parte dei figli. I genitori abusanti tendono a vedere il comportamento dei figli come più stressante dei genitori non abusanti» (12). Altrettanto problematica può essere una relazione di appiattimento affettivo, legata a una violenza subita o ad un abbandono precoce, specie in alcune fasi delicate dello sviluppo psichico come quelle dello svezzamento, con ricadute problematiche circa la relazione con il proprio corpo e la sconfitta edipica.

I padri non incestuosi avevano invece stabilito con i propri figli una relazione anche tattile, che li rendeva attenti e premurosi nei loro confronti. Così l’elemento focale decisivo è la modalità con cui viene vissuto il ruolo parentale, e la situazione «malata» che si viene a creare; in tal modo il «sistema familiare» padre/madre viene scalzato dal «sottosistema» in cui i figli si trovano a dover assumere, loro malgrado, i ruoli di vice-marito e di vice-moglie: «Sebbene la responsabilità sia sempre individuale, la dinamica psicologica di questo caso può essere compresa considerando i fattori “predisponenti”, ossia il distacco della moglie dal coniuge e (precocemente) dalla figlia, il progressivo abbandono dei ruoli coniugali da parte di entrambi i membri della coppia, la trasformazione del ruolo parentale del padre sempre meno genitore e sempre più “compagno” della figlia […]. La casistica mostra che, in quasi metà dei casi, al verificarsi dell’incesto padre-figlia (o patrigno-figlia) l’armonia della coppia era compromessa e i rapporti coniugali erano sospesi da tempo. L’incesto diventa così un potente regolatore dei problemi della coppia» (13).

Un altro punto assodato dalla ricerca è che il pedofilo è stato spesso vittima a sua volta di abuso, per lo più da un uomo: anche se sposato, non sente di essere amato dalla propria moglie (14). Per questo va alla ricerca di bambini della medesima età in cui ha subito violenza, una sorta di flashback, di «coazione a ripetere», un tentativo più agito che deciso di ritornare al passato, alla «scena del delitto», per poterla rivivere diversamente, ottenendo un momentaneo sollievo alla propria angoscia.

La percentuale degli abusatori che a loro volta erano stati abusati da bambini è quasi tripla rispetto alla media statistica dei reati di questo tipo (15;) una proporzione simile viene rilevata nei comportamenti criminali, insieme a un impressionante aumento di problemi di salute mentale e ad un più alto rischio di comportamenti suicidari. Da qui le profonde e gravi ferite, fisiche, psichiche e cognitive presenti in chi è stato abusato da bambino (16).

Se la gran parte degli abusatori sono stati a loro volta vittime di abusi, anche, ma non solo sessuali (come un ambiente familiare all’insegna della violenza, fisica e verbale, o di mancanza di affetto e comunicazione), non tutti gli abusati diventano a loro volta abusatori. Molto sembra dipendere dall’età, dal contesto in cui è avvenuto l’abuso, se isolato o ripetuto, da parte di sconosciuti o di una figura affettivamente rilevante; infine dipende soprattutto da come il soggetto rilegge le conseguenze del trauma.

Se la struttura psichica della vittima è sufficientemente forte ed equilibrata, se presenta la capacità di affrontare e resistere a situazioni gravemente destabilizzanti e stressanti, se soprattutto ha un ambiente familiare in cui può trovare comprensione, o riferirsi a una figura esterna affettivamente significativa, con cui condividere quanto accaduto, egli potrà rielaborarlo, prendendone le distanze. Questo è ciò che in psicologia viene chiamato resilienzall, la capacità di affrontare le difficoltà in modo adattativo; in questo modo l’evento potrà essere «metabolizzato», spezzando il circolo vizioso e mostrando differenti possibilità. Le variabili da considerare sono certamente molte, complesse e diversificate, non è quindi possibile, neppure in questi casi, pensare a un mero rapporto di causa/effetto (18).

La pedofilia tra i preti della Chiesa cattolica

Dal 2001 al 2010 sono stati denunciati alla Congregazione per la Dottrina della Fede circa 3.000 abusi compiuti da preti cattolici negli ultimi 50 anni. Di questi casi, come ricorda mons. Charles J. Scicluna, promotore di giustizia della Congregazione, «nel 60% si tratta più che altro di atti di efebofilia, cioè dovuti ad attrazione sessuale per adolescenti dello stesso sesso, in un altro 30% di rapporti eterosessuali e nel 10% di atti di vera e propria pedofilia, cioè determinati da un’attrazione sessuale per bambini impuberi. I casi di preti accusati di pedofilia vera e propria sono quindi circa trecento in nove anni» (19).

Analizzando i dati, si ritrovano diversi degli elementi riscontrati sinora. Una ricerca su 36 sacerdoti abusatori, di cui il 69% cattolici, mostrava che per la stragrande maggioranza le vittime erano maschi minori (83%), per il 19% femmine minori e per il 3% ambedue. Gli abusati erano per quasi la metà (48%) inferiori ai 14 anni (20). Un altro elemento comune è che la maggior parte degli abusatori avevano a loro volta subito abusi (21). Nella diocesi di Boston, una delle più segnate dalle accuse di pedofilia, il numero di sacerdoti accusati, prima dunque dell’accertamento della loro effettiva colpevolezza, si aggirava intorno al 2% della totalità dei preti cattolici della diocesi (22).

Perché dunque le notizie di questi ultimi mesi hanno parlato quasi esclusivamente dei casi accaduti all’interno della Chiesa cattolica, pur costituendo poco più del 3 % della totalità dei casi denunciati (23)? Una risposta può venire dal particolare significato che riveste la figura del prete, in sede religiosa, educativa e morale. Un simile delitto, anche se più raro, desta giustamente maggiore scalpore e indignazione e pone pesanti obiezioni circa la credibilità del suo ministero e, data la caratteristica essenzialmente simbolica della sua figura, della credibilità del prete qua talis (24).

Si possono tuttavia individuare anche altre motivazioni, espresse del resto in modo esplicito da alcuni quotidiani e periodici. È indubbio che la posizione della Chiesa in tema di morale e sessualità non è condivisa da molti, che ne temono l’influenza sulla gente e vorrebbero metterla a tacere, screditandola. L’insistenza quasi univoca data ai crimini da parte di alcuni preti cattolici significa insinuare che anche la dottrina da loro rappresentata non ha alcun valore e deve essere annullata (25).

Di fronte a questi fatti molti chiedono che i sacerdoti cattolici colpevoli di pedofilia, oltre alla condanna, vengano ridotti allo stato laicale, accusando il Vaticano di non aver proceduto in tal senso. Certo, questa può anche essere una procedura doverosa, prevista dal Codice di Diritto Canonico (26), ma non è detto che sia la cosa migliore per le potenziali vittime, i bambini, e per lo stesso abusatore, che spesso ritorna in società senza alcun controllo e, lasciato a se stesso, torna a commettere abusi. Questo è stato il caso di James Porter, sacerdote della diocesi di Fall River (Mas-sachusetts): una volta dimesso, non fu affatto perseguito dalle autorità civili, si sposò e poco dopo venne incriminato per le mole­stie commesse verso la baby sitter dei suoi figli (27).

L’importanza di una formazione integrata

Di fronte agli abusi compiuti da sacerdoti cattolici ci si è chiesto come sia stato possibile che queste persone fossero giunte all’ordinazione o alla professione religiosa. In realtà resta molto difficile a tutt’oggi individuare con precisione un futuro potenziale pedofilo: troppi elementi restano oscuri e richiedono ulteriori studi e ricerche. Spesso lo si rileva soltanto dopo che si è verificato e accertato un caso di abuso.

Va anche aggiunto che chi è affetto da parafilie e da altri disturbi clinici, come appunto la pedofilia, non sempre chiede di entrare in seminario o nella vita religiosa per cercare potenziali vittime; molti sono tormentati da queste inclinazioni e vedono nel sacramento dell’ordine o nella consacrazione una sorta di magica guarigione.

Ben presto però il pensiero magico si scontra con la realtà, con conseguenze tragiche, come emerge dall’esperienza di chi si è occupato di queste tristi storie: «I candidati che credono che un impegno verso una vita celibe li aiuterà a buttarsi alle spalle le loro difficoltà sessuali sono ossessionati dal problema. Quanti abusatori su bambini mi hanno detto che pensavano che nel ministero, nel celibato le loro battaglie sessuali avrebbero trovato un riparo! Molti di loro non hanno avuto problemi per i primi dieci o quindici anni di ministero. Prima o poi, comunque un problema irrisolto nell’area sessuale emergerà» (28).

Da queste tristi vicende si possono comunque ricavare alcuni preziosi insegnamenti:

1) Lo scandalo degli abusi è doloroso, ma necessario e importante, forse anche purificante, per i pastori e per coloro che si preparano a diventarlo. Molte vittime possono dopo tanti anni comunicare finalmente il loro dramma, il dolore, le angosce, la rabbia e la vergogna, e possono così aprirsi alla possibilità di una maggiore riconciliazione. Certo nessun processo o risarcimento potrà mai sanare queste ferite devastanti. Alcuni gesti possono però risultare ugualmente importanti. Per questo è di grande valore e significato la decisione di accogliere e ascoltare le vittime degli abusi, come ha più volte fatto Benedetto XVI.

2) E importante che la Chiesa riconosca la gravita di quanto accaduto, non soltanto punendo gli abusatori, ma soprattutto chiedendosi quali preti vuole avere e come fare per formarli in modo sano, rendendoli idonei ad essere apostoli, capaci di chinarsi sulle ferite e le sofferenze delle persone a loro affidate. Ciò richiede di saper scegliere con cura e attenzione i possibili candidati e accompagnarli in modo adatto affinchè possano vivere il celibato. È anche necessario affrontare la sfida spirituale sottostante: che cosa sta al centro della fede?

3) La Chiesa, quando comunica con sollecitudine e trasparenza il suo rammarico per le vittime, il suo impegno per l’aiuto terapeutico e la sua disponibilità a collaborare con le autorità civili, può aiutare a una maggiore chiarezza e ragionevolezza nella discussione pubblica (cfr il procedimento seguito nelle arcidiocesi di Monaco, Colonia e Bolzano dove i vescovi hanno assunto un atteggiamento che si potrebbe definire «proattivo», cioè preventivamente collaborativo nei confronti delle autorità e dei media).

4) Celibato e pedofilia non sono connessi in modo causale. Ciò è mostrato, come abbiamo detto, dal fatto che coloro che hanno compiuto atti di pedofilia sono per lo più sposati e con figli; anche coloro tra i sacerdoti che si sono macchiati di simili atti non vivevano nella castità (29).

5) Un altro insegnamento, più generale, legato a questa tristissima vicenda è che i preti prendano maggiore consapevolezza del ruolo pubblico che sono chiamati comunque a svolgere, e le ripercussioni delle loro scelte, così come delle loro opinioni e giudizi.

Premesso questo va senz’altro aggiunto che tale dolorosa vicenda richiede un attento screening, nonché una preparazione adeguata, da parte di formatori e superiori che hanno la responsabilità di coloro che chiedono di diventare religiosi o sacerdoti, poiché tale richiesta può essere la copertura di difficoltà gravi nell’area della sessualità e della personalità in genere. Si tratta di conoscere il candidato anche nella sua dimensione umana, specialmente nell’area affettiva e sessuale. Più in generale, dal punto di vista delle scienze umane, si tratta di verificare la maturità affettiva e il generale equilibrio e la padronanza dei propri impulsi, requisiti fondamentali per l’uomo di Dio, come i documenti della Chiesa, anche recenti, hanno più volte ricordato (30).

Da qui l’importanza di un incontro tra intelletto, affetti e volontà a proposito dell’esperienza di fede, secondo ciò che Giovanni Paolo II indicava come caratteristica fondamentale del sacerdote formato: «La promessa di Dio è di assicurare alla Chiesa non pastori qualunque, ma pastori “secondo il suo cuore”. Il “cuore” di Dio si è rivelato a noi pienamente nel cuore di Cristo buon Pastore. […]. La gente ha bisogno di uscire dall’anonimato e dalla paura, ha bisogno di essere conosciuta e chiamata per nome, di camminare sicura sui sentieri della vita, di essere ritrovata se perduta, di essere amata, di ricevere la salvezza come supremo dono dell’amore di Dio: proprio questo fa Gesù, il buon Pastore» (31).

In tale ritratto appassionato dell’ideale, proprio dell’uomo di Dio, un indubbio segno di onestà e rettitudine può consistere nel riconoscere e lavorare con umiltà e desiderio di crescita su eventuali ostacoli che rendono più difficile la libera risposta a una tale chiamata. E questo è appunto il compito di una formazione integrata.

Note

1) Cfr BENEDETTO XVI, «Lettera pastorale ai cattolici irlandesi», in Civ. Catt. 2010 II 62-72.

2) Cfr G. GHIRLANDA, «Doveri e diritti implicati nei casi di abusi perpetrati da chierici», in Civ. Catt. 2002 II 341-353; G. MARCHESI, «La Chiesa cattolica negli Stati Uniti scossa dallo scandalo della pedofilia», ivi, 2002 II 477-486; «II problema della pedofilia», ivi, 2002 IV 107-116; G. MARCHESI, «L’impegno della Chiesa degli Stati Uniti contro gli abusi sessuali sui minori», ivi, 2003 I 169-178.

3) ASSOCIAZIONE PSICOLOGICA AMERICANA, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-FV), Milano, Masson, 2000 -4, [111], 51.

4) Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM-IV-TR, Milano, Masson, 2001, [F.65.4], 610 s. WORLD HEALTH organization, The ICD-10 Classification of Mentaland Bebavioural Disorders, Geneva, Author, 1992, [302.2].

5) Cfr H. KAPLAN – B. SADOCK, Psichiatria. Manuale di scienze del comportamento e psichiatria clinica, vol. I, Torino, Centro Scientifico Internazionale, 2001, 704. G. ABEL – M. MlTTLEMAN – J. BECKER, «Sexual Offendere: Results of assessment and recom-mendations for treatment», in H. BEN-ARON – S. HUCKER – C. WEBSTER (eds), Clinical criminology: The Assessment and treatment of Criminal Behaviour, Toronto, Clarke Institute of Psychiatry, 1985, 191-205; R. LANVEGIN – P. FEDROFF, Report to the Ontano Mental Health Foundation: A 25-year follow up study of sex offender recidivism, Phase I, 2000; D. PAITICH – R. LANVEGING ET AL, «The Clarke SHQ: A clinical sex history questionnaire», in Archives of Sexual Behaviour 6 (1977) 421-436.

6) S. ROSSETTI, «Some Red Flags for Child Sexual Abuse», in Human Development 15 (1994) n. 4, 8.

7) R. HANSON, «Prognosis. How Can Relapse Be Avoided – Discussion», in K.

8) S ROSSETTI «Some Red Flags for Child Sexual Abuse»,, CIT., 7-8 E 10

9) A. SALVATORI – S. SALVATORI, L’abuso sessuale al minore e il danno psichico. Il vero e il falso secondo la rassegna della letteratura internazionale, Milano, Giuffrè, 2001, 187. Cfr R. LUSK – J. WATERMAN, «Effects of sexual abuse on children», in K. MAC-FARLANE – J. WATERMAN (eds), Sexual abuse of young children, New York, Guilford, 1986, 15-29; A. SALTER, Treating child sexual offenders and their victims: a practical guide, Beverly Hills, Sage, 1988; J. WRIGHT (ed.), Child sexual abuse within the family: assessment and treatment, New York, Guilford, 1988. HANSON – E PFÀFFLIN – M. LUTZ [eds], Sexual Abuse in the Catholic Church. Scientific and Legal Perspectives, Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, 2004, 149.

10) Cfr R. BLANCHARD – P. KLASSEN ET AL., «Sensitivity and specificity of the phallometric test for pedophilia in nonadmitting sex offenders», in Psychological As-sessment 13 (2001) 118-126; R. LANGEVIN – R. WATSON, «Major factors in the assessment of paraphilics and sex offenders», in Sex Offender Treatment 23 (1996) 39-70. Dati simili si riscontrano in Italia: «Nel 1999, sul totale di 522 persone denunciate, 357 erano conosciute dalla vittima; tra queste 338 appartenevano al suo nucleo familiare: nei restanti 165 casi l’autore del reato non era conosciuto dal minore. Nell’anno 2000, su un totale di 621 persone denunciate, 476 erano conosciute dalla vittima; di queste, 449 appartenevano al suo nucleo familiare; nei restanti 145 casi l’autore del reato non era conosciuto dal minore» (M. PlCOZZl – A. ZAPPALA, Criminal profiling. Dall’analisi della scena del delitto al profilo psicologico del criminale, Milano, McGraw-Hill, 2002, 228). Cfr A. OLIVERIO FERRARIS – B. GRAZIOSI, Pedofilia. Per saperne di più, Roma – Bari, Laterza, 2004, 39 s. I dati del Censis sono stati richiamati anche in occasione del convegno «Pedofilia e Internet: vecchie ossessioni e nuove crociate» organizzato dai Radicali il 27 ottobre 1998 (cfr la Repubblica, on-line, 27 ottobre 1998).

11) I dati si riferiscono al Canada che riscontra un ammontare di reati sessuali, complessivamente considerati, di 90 ogni 100.000 abitanti. Cfr CANADIAN CENTRE POR JUSTICE STATISTICS, Sex Offenders, Ottawa, Statistics Canada Juristat, 1999, 19 (3), Catalogue n. 85-002-XPE. I termini «efobofilia» e «efibilia» usati per indicare la specifica attrazione sessuale verso adolescenti, rispettivamente maschi o femmine, sono stati introdotti da K. FREUND (cfr «Experimental analysis of pedophilia», in Behaviour research and Therapy 20 [1982] 105-112).

12) R. EMERY – L. LAUMANN-BILLINGS, «Child Abuse», in M. RUTTER – E. TAYLOR (eds), Child and adolescent psychiatry, Oxford, Blackwell Publishing, 1994, 328 s. Per la ricerca di SEYMPUR e HILDA PARKER (riportata da D. GLASER – S. FROSH, Child sexual abuse, London, Macmillan, 1988) cfr A. OLIVIERO FERRARIS – B. GRAZIOSI, Pedofilia, cit, 91 s.

13) A. OLIVIERO FERRARIS – B. GRAZIOSI, Pedofilia, cit., 93-94 e 97.

14) Cfr G. GABBARD, Psichiatria psicodinamica, Milano, Cortina, 1995, 316.

15) «Circa il 30% dei molestatori sessuali (offendersi hanno subito a loro volta violenza sessuale quando erano bambini» (P. TAYLOR, «Beyond Myths and Denial. What Church Communities Need to Know About Sexual Abusers», in America, Aprii 1 2002, 9).

16) Cfr R. HANSON – S. SLATER, «Sexual victimization in thè history of sexual abusers: A review», in Annals of Sex Research 1 (1988) 485-500; R. LANGEVIN – P. WRIGHT- L. HANDY, «Characteristics of sex offendere who were sexually victimized as children», ivi 2 (1989) 227-253.

17) La ricerca attuale individua alcune precise componenti, tipiche della resilienza: un umore tendenzialmente ottimista, una buona affiliazione con una figura affettivamente significativa (all’insegna cioè del rispetto e della fiducia), sviluppate capacità cognitive, una ricca espressività (cfr J. OLDHAM – A. SKODOL – D. BENDER, Trattato dei disturbi di personalità, Milano, Cortina, 2008, 337).

18) In un libro, che presenta una panoramica complessiva degli studi e ricerche compiuti tra il 1965 e il 2000 circa la possibilità che l’abusato possa diventare a sua volta abusatore, risultano significativi i seguenti parametri: «Essere di sesso maschile, essere stato abusato da un parente stretto o da più persone, in modo grave e con l’uso della forza, per lungo tempo e ripetutamente. Più bassa l’età (in particolar modo sotto gli otto anni), più grave l’impatto, e di conseguenza maggiore fa probabilità di diventare a propria volta un abusatore». Gli autori parlano tuttavia di «ragionevole probabilità di un evento» e si sentono in dovere di concludere: «Non si deve dimenticare che la realtà è molto più complessa […]. Rimane da rispondere a una domanda: “Tutti quei parametri sopra riportati hanno un solido potere predittivo?”» (A. SALVATORI – S. SALVATORI, L’abuso sessuale al minore e il danno psichico, cit., 188 s).

19) G. CARDINALE, «Chiesa rigorosa sulla pedofilia», intervista a mons. Ch. Scicluna, in Avvenire, 13 marzo 2010, 5. La maggioranza dei casi segnalati giunge soprattutto dagli Stati Uniti, «che per gli anni 2003-2004 rappresentavano circa I’80% del totale di casi. Per il 2009 la percentuale statunitense è scesa a circa il 25% dei 223 nuovi casi segnalati da tutto il mondo. Negli ultimi anni (2007-2009), infatti, la media annuale dei casi segnalati alla Congregazione da tutto il mondo è stata proprio di 250 casi. Molti Paesi segnalano soltanto uno o due casi. Cresce quindi la diversità e il numero dei Paesi di provenienza dei casi ma il fenomeno è assai ridotto. Bisogna ricordare infatti che il numero complessivo di sacerdoti diocesani e religiosi nel mondo è di 400.000. Questo dato statistico non corrisponde alla percezione che si crea quando questi casi così tristi occupano le prime pagine dei giornali» (ivi).

20) Cfr R. LANVENGIN, «Who Engages in Sexual Behaviour with Children? Are

21) Nel centro S Luke, in Silver Spring (Maryland – Usa), mirante al recupero di sacerdoti affetti da gravi problemi, quali gli abusi sessuali, i 2/3 dei preti accusati di molestie erano stati a loro volta molestati (cfr S. ROSSETTI «Some red Flags of Child Sexual Abuse», cit., 9; C. BRYANT, «Psychological treatment of Priest Sex Offenders» in America, 1 aprile 2001, 14-17)

22) L’indagine compiuta dalla Congregazione per il Clero  rileva come la percentuale di coloro che sono stati accusati di abuso sessuale tra il clero si aggira intorno all’1 per cento del totale (cfr CH. SCICLUNA, «Sexual Abuse of Children and Young People by Catholic Priest and Religious: Description of the Problem from Church Prospective», in K HANSON – F. PFAFFLIN – M. LUTZ [eds], Sexual Abuse in the Catholic Church cit. 23). Dati pressoché identici sono stati riportati in un precedente articolo: «Nell’arcidiocesi di Boston negli ultimi 50 anni hanno operato circa 3.000 sacerdoti e negli stessi anni circa 60 preti sono stati accusati di abusi sessuali, ossia circa il 2 per cento. Cos’ pure nell’arcidiocesi di Filadelfia, a partire dal 1950, hanno prestato servizio  2.154 preti e nello stesso periodo sono stati avanzate “prove credibili” contro 35 di essi, ossia l’1,4 per cento. Una percentuale leggermente superiore a quest’ultima si riscontra nell’arcidiocesi di Chicago.: negli ultimi 40 anni, su 2.200 sacerdoti in servizio pastorale sono state inoltre rimostranze contro circa 40 preti, ossia l’1,8 per cento dei sacerdoti» (G. MARCHESI, «La Chiesa cattolica negli Stati Uniti scossa dallo scandalo della pedofilia», cit., 481)

23) «Negli Usa, nel 1988 ci sono state 2 milioni e 178 mila denunce di violenze con­tro i minori, praticamente il 3 per cento di tutti i bambini del Paese. Secondo alcune statistiche recenti, una ragazza su tre e un giovane su sette subiscono violenze sessuali prima di diventare maggiorenni» (la Repubblica, 24 agosto 1989, 16). Situazione simile in Gran Bretagna: negli anni 1987-89, 2.000 bambini sarebbero stati oggetto di violenza sessuale da parte di appartenenti a circa 200 gruppi di organizzazioni pedofile (cfr ivi, 20 ottobre 1990, 20). Secondo i dati forniti dal Governo austriaco, su 527 denunce pervenute per casi di abuso sessuale 17 riguardavano religiosi (cir II Foglio, 16 marzo 2010, 2). In Germania, secondo il criminologo C. Pfeiffer i sacerdoti coinvolti variano tra lo 0,1% e lo 0,3% (cfr Siiddeutsche Zeitung,  15 marzo 2010; http://www.liborius.de/nachrichten/ansicht/artikel/pfeiffer-ki.html 16.03.2010).

24) Cfr la testimonianza di un prete statunitense in proposito: «Adesso, anche se solo il 4% dei preti è accusato di abusi, tutti i preti sono sospetti agli occhi del pubblico. Questo significa che il solo fatto di indossare un collare rende sospetti» (J. MARTIN, «Come è stato possibile? Per un’analisi dello scandalo degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica», in M. FRAWLEY-O’DEA – V. GOLDNER [eds], Atti impuri. La piaga dell’abuso sessuale nella Chiesa Cattolica, Milano, Cortina, 2009, 169).

25) «Fino a che la Chiesa cattolica non avrà affrontato la questione del posto della sessualità nel suo concetto di persona umana, difficilmente riuscirà a contenere il ripresentarsi non occasionale dei fenomeni di abusi sessuali. Nel frattempo, sarebbero opportune maggiore cautela e autocritica nel presentarsi come magistra vitae e nel dare lezioni sulla “buona sessualità”, la “buona famiglia” e la “giusta identità di genere”» (C. SARACENO «La chiesa e l’educazione», in la Repubblica, 14 marzo 2010, 31).

26) Cfr Codice di Diritto Canonico, cann. 695; 729; 746; 1395.

27) S. ROSSETTI, «The Catholic Church and Child Abuse», in America, 22 aprile 2002, 13.

28) ID., «Some Red Flags for Child Sexual Abuse», cit., 11. Stessa conclusione giunge da un altro studio clinico: «Per alcuni di questi uomini che hanno infine intrapreso i strada del sacerdozio — per quanto sinceri possano essere stati il loro coinvolgimento e la loro vocazione — il fatto di aderire alfa regola dell’astinenza sessuale ha costituito parte del tentativo di risolvere i loro conflitti. Chiaramente, i sacerdoti che hanno realizzato le loro fantasie e i loro desideri efebofili hanno fallito nei loro sforzi» (G. KOCHANSKY – M. COHEN, «Sessualizzazione dei minori», in M. FRAWLEY-O’DEA – V. GOLDNER [eds], Atti impuri, cit., 59).

29) «La ricorrenza del fenomeno della pedofilia tra i ministri di culto nelle comunità protestanti negli Stati Uniti (mormoni, battisti, metodisti ed episcopaliani), come anche tra ortodossi, ebrei e musulmani sarebbe tra il 2 e il 5%, un dato allarmante, ma ancora inferiore alla percentuale della popolazione adulta nel suo complesso, dove il ricorso alla pedofilia si aggirerebbe sull’8%» (G. MARCHESI, «La Chiesa cattolica negli Stati Uniti scossa dallo scandalo della pedofilia», cit., 482).

30) Cfr, ad esempio, CONCILIO VATICANO II, Decreto Perfectae caritatìs, 28 ottobre 1965, n. 12; PAOLO VI, Lettera enciclica Sacerdotali coelibatus, 24 giugno 1967, nn. 60-64; GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis, 25 marzo 1992, n. 43; Io,, Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata, 25 marzo 1996, n. 65 s.; Codice di Diritto Canonico, cann. 642,1029; CONGREGAZIONE per GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, La vita fraterna in comunità, 2 febbraio 1994, n. 37; ID., Potissimum institutioni, 2 febbraio 1990, n. 43; pontificia OPERA PER LE VOCAZIONI ECCLESIASTICHE, Nuove Vocazioni per una nuova Europa, 6 gennaio 1998, n. 37; CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio, 29 giugno 2008.

31) GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis, cit., n. 82.