Tutti i bambini defunti giungono alla visione beatifica? (1)

limboFides cattolica n.2-2009

di Brian W. Harrison, O.S.

Il dato indiscutibile contenuto esplicitamente nella Rivelazione è che senza il battesimo non si è ammessi al Regno dei cieli. Per questa ragione la Chiesa nel suo magistero ha insegnato infallibilmente la fede nell’esclusione dalla vita eterna di coloro che non sono stati giustificati mediante il battesimo o almeno che ne hanno avuto il desiderio. Di conseguenza ha insegnato la dottrina del limbo, comune nella Chiesa fino al XX secolo.

Non di un luogo intermedio o stato fra il Cielo e l’inferno, ma essenzialmente di una condizione di assenza della visione di Dio per quei fanciulli morti senza il battesimo che non hanno raggiunto l’uso di ragione. Nel XX secolo i teologi riscoprendo la volontà salvifica universale di Dio hanno voluto sottolineare il concetto di speranza per la salvezza di questi bambini.

Una delle tesi che giustificherebbe questa speranza è quella secondo cui Dio potrebbe illuminarli e farli raggiungere la beatitudine eterna? Questo però diventerebbe un motivo in più per dubitare: siamo proprio sicuri che tutti i bambini diranno di sì alla salvezza offerta loro da Dio? L’A., sottomettendo il suo giudizio alla Chiesa, fa presente che un pronunciamento magisteriale non potrebbe esplicitamente negare la dottrina del limbo.

II tema del limbus puerorum acquistò rilevanza nella stampa verso la fine del 2005. Era ampiamente noto che la Commissione Teologica Internazionale aveva condotto un nuovo studio su questo tema discusso, e avrebbe suggerito al Supremo Pontefice la pubblicazione di un nuovo documento sostenendo che tutti coloro che muoiono prima dell’uso della ragione, battezzati o meno, giungono alla gloria celeste, la visione beatifica (2).

Questo breve articolo sarà abbastanza arrogante da mettere in discussione la correttezza dottrinale di un tale suggerimento. Dico “dottrinale” piuttosto che “teologica”, perché non tenterò di mettere in discussione sulla base dei loro meriti intrinseci, i vari argomenti teologici che stanno alla base dei tentativi contemporanei di giustificare il profondo ottimismo circa il destino eterno di un bambino non battezzato.

Tale modo di ragionare implica, naturalmente, profondi e difficili problemi, quali ad esempio come dobbiamo comprendere precisamente i misteri rivelati della volontà salvifica universale di Dio, l’opera redentiva di Cristo (circa la sua applicazione e le implicazioni), la Divina provvidenza, il peccato originale, la possibilità concreta (o altrimenti) di un’esistenza umana nello “stato di natura”, la relativa “facilità di accesso” alla salvezza per i bambini rispettivamente sotto l’antica e nuova alleanza, ed anche cosa intendiamo, esattamente, per “salvezza” e “dannazione”.

Piuttosto che cercare di affrontare alcune di queste questioni in dettaglio, e nel modo a loro proprio, svilupperò due punti relativamente facili. Prima di tutto, desidero sottolineare che il problema dottrinale centrale qui in causa non è tanto il problema se il limbus puerorum, come tale, esista o meno (questo è il modo in cui in cui i mass-media presentavano la questione verso la fine del 2005), ma piuttosto, il problema, distinto ma connesso, posto all’inizio quale titolo del presente studio.

Secondo, sosterrò che, qualunque possa essere il merito intrinseco o plausibilità delle ragioni teologiche a favore di una risposta affermativa a tale interrogativo, tali possibili meriti sono semplicemente sorpassati o “calpestati”, per così dire, dalla stragrande maggioranza delle ragioni in contrario che risultano evidenti dalla tradizione (inclusa la bimillenaria lex orarandi) e dal magistero, che da una risposta incredibilmente negativa.

In seguito poi concluderò offrendo rispettosamente l’opinione per cui la Chiesa non può mai insegnare positivamente che tutti i bambini morti, sia non battezzati che battezzati, raggiungano la visione beatifica.

Bisogna riconoscere alla fine che questa posizione classica non è assolutamente popolare, anche fra i cattolici più tradizionali. Dopo tutto, umanamente parlando, chi non sarebbe contento di poter dire che tutti questi piccoli vanno immediatamente alla presenza diretta e alla gioia soprannaturale eterna del Creatore? In effetti, sin da quando uscì il Catechismo della Chiesa Cattolica con la posizione – nuova per quanto riguarda l’insegnamento magisteriale – che noi possiamo almeno sperare che vi sia un qualche modo in cui possano salvarsi (n. 1261), molti cattolici altrimenti conservatori, ora hanno del tutto rigettato il Limbo (e non solo) in favore di una salvezza universale di coloro che muoiono durante l’infanzia.

Difatti c’è stato detto ripetutamente, anche di recente, che il Limbo non è stato mai più di una mera “ipotesi” – con l’assunto per cui non vi sarebbe nessun punto della dottrina Cattolica ad essere compromesso o violato se tale teoria dovesse essere ora scartata. Sfortunatamente, come dimostrerò, un onesto sguardo all’insegnamento tradizionale sia patristico che magisteriale rivela che la teoria che “II Limbo è un’ipotesi” è solo una mezza verità. È piuttosto pericolosa da questo punto di vista.

Il principale argomento teologico contro il Limbo non è, ovviamente, che tali bambini, secondo giustizia, hanno un “diritto” alla visione beatifica. Nessuno infatti, neppure quanti sono già stati purificati dal peccato originale, ha il diritto di stretta giustizia a questo dono dell’amore di Dio del tutto soprannaturale e gratuito. E per quel che lo riguarda, bisogna dire che neppure vi è ingiustizia da parte di Dio se alcune anime non giungono al Paradiso anche senza aver mai avuto nessuna possibilità sulla terra di esserne capaci.

Piuttosto, il principale argomento sollevato contro il Limbo si basa sulla verità rivelata che, di fatto, Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi. Ma ciò che spesso sembra dimenticato è che questo desiderio non è semplice e incondizionato. In realtà, sarebbe più esatto dire che Dio vuole che tutti noi ci salviamo, ma a patto che vi siano certi requisiti. Ora, fra questi prerequisiti, che sono materia rivelata esattamente quanto lo è la Sua stessa volontà salvifica, vi è il Battesimo, o almeno il suo desiderio (implicito o esplicito). Ma in assenza del summenzionato sacramento, il suo ultimo surrogato va oltre la capacità dei bambini.

Neppure uno dei primi Padri della Chiesa sia Orientale che Occidentale insegnò o almeno suscitò la speranza, che (dopo la proclamazione del Vangelo) i bambini che muoiono senza Battesimo sacramentale possano avere il peccato originale rimesso in qualche altro modo e così raggiungere la visione beatifica. Loro non presentarono tale esclusione dal Paradiso come una mera opinione o probabilità, ma quale verità certa.

Sant’Agostino, ad esempio, asserisce: «Chiunque affermi che i bambini vengono rivivificati in Cristo, anche quando si dipartono da questa vita senza essere partecipi del suo sacramento [il battesimo], si oppone certamente all’insegnamento apostolico e condanna l’intera Chiesa, che si affretta ad amministrare il battesimo, in quanto senza dubbio è creduto diversamente che non possono essere vivificati totalmente in Cristo» (3).

Egli inoltre ci ammonisce con forza: «Se vuoi essere cattolico, non credere, non dire, non insegnare, che i bambini portati via dalla morte prima del battesimo possono conseguire la remissione del peccato originale» (4) Le parole non potrebbero essere più forti di queste.

Tale conclusione viene rafforzata se si prende in considerazione l’attuale magistero della Chiesa circa i bambini non battezzati. Già nel 385 l’epistola di papa san Siricio al vescovo Imerio mostrò che si sentiva gravemente legato in coscienza, sia per la propria salvezza che per quella del vescovo, nell’ammonire quest’ultimo ad insistere sul battesimo dei bambini come pure degli adulti nella sua diocesi, «…altrimenti la nostra anima sarebbe in pericolo se, a causa del diniego del fonte battesimale, …uno di loro, nel lasciare il mondo, perde sia la vita [eterna] che il regno dei cieli» (5).

Con rispetto, non sarebbe saggio che qualsiasi altro Papa – nell’interesse della propria salvezza – seguisse il vigilante esempio di san Siricio, se vi fosse qualsiasi dubbio che un non battezzato possa raggiungere il Cielo?

Poi, nel 417, papa sant’Innocenzo I scrisse ai Padri del Sinodo di Milevi, insistendo che: «L’idea che ai bambini possa essere concesso il dono della vita eterna senza la grazia del battesimo è del tutto folle» (6).

L’insegnamento del Concilio Ecumenico di Firenze (la Bolla Cantate Domino del 4 febbraio 1442) è più enfatica. Essa dice (il corsivo è mio):

Per quanto riguarda i bambini, a causa dei pericoli della morte, che spesso può aver luogo, dal momento che non vi è altro mezzo per soccorrerli che il sacramento del battesimo, attraverso il quale essi sono sottratti al dominio del diavolo e adottati quali figli di Dio, [la Sacrosanta Romana Chiesa] raccomanda che il santo battesimo non si posponga per quaranta o ottanta giorni, ma lo si conferisca appena può essere fatto convenientemente (…) (7).

Ancora altamente pertinente è l’insegnamento definitivo del Concilio di Trento sulla giustificazione. Prima di tutto, il Concilio definisce la “giustificazione” in modo da includere deliberatamente la remissione del peccato originale nei bambini (come pure il peccato mortale negli adulti): la giustificazione è detta essere «la transizione dallo stato in cui l’uomo è nato quale figlio del primo Adamo, allo stato di grazia e “adozione come figlio” di Dio [Rm 8,15]» (8). I Padri di Trento procedettero allora ad asserire che questa giustificazione «non può aver luogo senza il lavacro della rigenerazione [battesimo] o il suo desiderio» (9).

Alcuni anni più tardi il Catechismo del Concilio di Trento espose autenticamente la dottrina conciliare. Dopo aver chiarito la legge divina per cui «il battesimo è a tutti necessario per la salvezza» (10), il catechismo immediatamente continua: «Che tale legge vada intesa non solo per gli adulti, ma anche per i bambini, e che la Chiesa ha ricevuto ciò dalla tradizione apostolica, è confermato dall’attuale dottrina e autorità dei Padri» (11).

Ed inoltre, continua col ricordare ai fedeli la loro «enorme colpa» se non battezzano i loro bambini subito dopo la nascita, dal momento che «non rimane alcun altro mezzo per ottenere la salvezza per i bambini se non il battesimo» (12). Più di recente, papa Pio XII parlando della «vita soprannaturale che il neonato bimbo riceve con il battesimo», riafferma questa dottrina senza ambiguità: «Nella presente economia [cioè, sotto la Nuova Alleanza] non vi è nessun altro modo di comunicare tale vita al bambino ancora privo dell’uso di ragione» (13).

Non v’è nessun altro mezzo umano, di certo. Ma non potrebbe forse Dio stesso intervenire in qualche modo straordinario? Dobbiamo forse noi supporre (come hanno speculato alcuni recenti teologi) che Dio miracolosamente “accelera” lo sviluppo mentale di questi bimbi (e di persone più adulte ma gravemente ritardate) nell’istante prima della morte, seguito da una speciale illuminazione così da renderli capaci di un desiderio almeno implicito del battesimo?

Ma i miracoli non possono essere postulati gratuitamente, così noi non potremo mai essere sicuri, in assenza di qualche verità rivelata nella Scrittura o Tradizione, che ciò è quanto di fatto Dio fa. E anche supponendo che Egli lo faccia, ciò ancora non garantirebbe la salvezza di tali bambini. Di fatto, lungi dall’essere capaci di rassicurare genitori addolorati di qualcosa di meglio del Limbo per i loro bambini defunti, tale ipotesi aprirebbe la scioccante possibilità che lui o lei possa essere forse condannato al fuoco dell’inferno! Poiché al raggiungimento dell’uso di ragione il bambino conseguirebbe anche l’uso della libertà, e pertanto la capacità, specialmente sotto il peso del peccato originale, di rigettare, come di accettare, la morte offerta per la sua giustificazione. Ciò significherebbe morire in stato di peccato mortale!

In effetti, anche nella ancor più gratuita ipotesi che Dio renda capaci queste anime di tale scelta dopo la morte (14), sarebbe lo stesso. Così, indipendentemente da dove ci volgiamo per un “piccolo angoletto”, il Concilio di Trento ci impedisce di conseguire qualsiasi certezza che qualche bambino morto senza battesimo possa essersi salvato.

Ed è importante sottolineare che raggiungere il Limbo non significa giungere alla salvezza. La parola limbus, che letteralmente significa “orlo”, “bordo”, “margine” fu adottata per indicare che il Limbo si trova sull'”orlo” dell’Inferno, non del Cielo. Ciò è evidente sia dai due Concili di Lione II (15) e di Firenze, che dalla lettera del papa Giovanni XXII del 1321 agli Armeni  (16).

Tutte queste autorità insegnano – di fatto il Concilio di Firenze lo definì infallibilmente (17) – che le anime di quanti muoiono nel peccato originale soltanto (e tali anime sarebbero necessariamente quelle dei bambini e dei ritardati mentali che non giungono mai all’uso di ragione) «subito scendono nell’inferno» (mox in infernum descendfuntj), ove, comunque, soffrono «punizioni diverse» (poenis disparibus) da coloro che muoiono col peccato mortale attuale. In altre parole, se l’Inferno è definito in modo ampio come eterna esclusione dalla visione beatifica, il Limbo è, di fatto, il “bordo” o l’orlo” più esterno dello stesso Inferno.

L’apparente implicazione di questo insegnamento papale e magisteriale è che la sola pena di coloro che muoiono con la sola macchia del peccato originale è l’esclusione eterna dalla visione beatifica, la quale è compatibile, comunque, con una puramente naturale (distinta dalla soprannaturale) felicità. La “pena del senso” – o almeno, una pena abbastanza severa da essere giustamente definita come “il tormento del fuoco dell’Inferno” – è riservata solo a coloro che muoiono nel peccato mortale. Questo è l’insegnamento di papa Innocenze III in una lettera dell’anno 120118.

Inoltre, sembrerebbe incredibile che lo Spirito Santo abbia permesso alla Chiesa di definire infallibilmente (come fece a Firenze) che “solo tutti coloro che muoiono in peccato mortale” sono esclusi dal Paradiso, se conosce tutte le volte in cui di fatto nessuno mai muore “solo nel peccato originale”! Ciò ridicolizzerebbe il magistero solenne (19).

Ovviamente non è assoluto quanto avevano in mente i Padri del Concilio di Firenze nel definire la verità in questione. Il verbo che usano per “morire” (decedunt) è al modo indicativo, non al congiuntivo, rendendo chiara la loro intenzione d’affermare che alcuni davvero muoiono nello stato di peccato mortale, e che alcuni davvero muoiono col peccato originale soltanto. E tuttavia la lettura contrariamente distorta e artificiale del dogma di Firenze – come se fosse meramente condizionale (cioè, “se qualcuno morisse nel peccato mortale, o soltanto col peccato originale, allora tale sarebbe la loro rispettiva sorte”) – è esattamente ciò su cui gli odierni difensori della salvezza universale dei bambini dovrebbero insistere se voglio­no evitare la completa eresia.

Che il Limbo non debba essere inteso come luogo “intermedio” o stato fra il Cielo e l’Inferno, fu ancora già confermato da papa Pio VI nel 1794, nel condannare un’opinione del Sinodo giansenista di Pistoia.

Per comprendere tale condanna, bisogna prima rendersi conto che ben più di mille anni prima, il Concilio regionale di Cartagine (418), successivamente confermato da papa Zosimo, aveva condannato con “anatema” l’opinione pelagiana secondo cui i bambini morti senza Battesimo sono destinati a tale stato “intermedio” (20). Ora, i Giansenisti di Pistoia avevano denunciato la comune tesi cattolica del limbus puerorum come null’altro che una “fiaba pelagiana”.

Loro pretesero che tale luogo o stato fosse null’altro che quello che il Concilio di Cartagine aveva così enfaticamente insegnato che non esiste. Ma questi giansenisti, rigettando in tal modo il Limbo, non agivano da liberali che pretendono che i bambini non battezzati vanno dritti al Cielo, ma come rigoristi che seguono la tetra visione agostiniana per la quale vanno all’Inferno in senso pieno, cioè, a soffrire la “pena del senso” (anche se solo molto mitigatamente), come pure sono esclusi dalla visione beatifica.

Papa Pio VI censurò questa esclusione giansenista del Limbo, qualificandola come “falsa, insensibile e ingiuriosa verso le scuole cattoliche”. Ma mentre così sosteneva il Limbo, affermò chiaramente che egli sosteneva anche il rigetto da parte del Concilio di Cartagine di ogni destino umano intermedio fra cielo e terra. Egli fece ciò, logicamente, seguendo l’insegnamento del Concilio di Lione II e Firenze: vale a dire, includendo il Limbo quale in se stesso parte (la parte più esterna “più estrema”) dell’Inferno. Nelle sue parole papa Pio condannò

«… la dottrina [Giansenista] che rigetta come favola pelagiana quel luogo delle regioni inferiori [“locum illum infernorum“] (che i fedeli designano generalmente come limbo dei bambini) in cui le anime di coloro che si dipartono con la sola colpa del peccato originale sono puniti con la punizione della condanna, che esclude la pena del fuoco, proprio come se, solo per questo fatto, questi che rimuovono la pena del fuoco introdussero quel luogo intermedio e stato libero di colpa e punizione fra il regno di Dio e la dannazione eterna, come quello di cui i pelagiani parlano oziosamente» (21).

Bisogna notare, inoltre, che l’insegnamento di Pio VI qui non giunge al punto da condannare o rigettare come non cattolica la visione giansenista che i bambini non battezzati nell’aldilà di fatto soffrono (benché molto mitemente) la “pena del senso”. Dopo tutto sant’Agostino e diversi altri Padri latini, come pure ben rispettati teologi del XVI e XVII sec. come Silvio, Patavio, Natale, Alessandro e Bossuet, avevano sostenuto quell’opinione; e il papa Pio non aveva intenzione di condannare tutti questi Santi e studiosi come non ortodossi.

Ciò che egli rigetta non è la rigida visione giansenista della sorte dei bambini non battezzati, ma soltanto la loro denuncia dell’accettata visione alternativa – Limbo – come pelagiana e pertanto non ortodossa. In effetti, questo Pontefice sottintendeva che la Chiesa permette ambedue le ipotesi circa quanto accade ai bambini non battezzati dopo la morte; ma egli insegnò che ogni cattolico che sceglie la rigida ipotesi agostiniana, non ha il permesso di impiegare fra le sue prove per quella scelta, la falsa ed ingiusta calunnia che il Limbo è soltanto una “favola pelagiana” già condannata dal Concilio di Cartagine.

Cosa ha avuto da dire il magistero circa il destino dei bambini abortiti in particolare? Dopo la ritrattazione di papa Giovanni Paolo II (22) nella versione finale e definitiva dell’Evangelium Vitae, 99 dell’affermazione nella versione iniziale che i bambini abortiti “ora vivono nel Signore” (un’espressione che suggerisce fortemente il Cielo), appare che la sola affermazione pontificia a menzionare espressamente il destino dei bambini abortiti sia quella di papa Sisto V, la cui Costituzione Effroenatam del 29 ottobre 1588 non solo si astiene dal suscitare qualche speranza che essi possano conseguire la visione beatifica, ma enfaticamente afferma che non la conseguono.

Il fine principale di questo documento fu quello di rinforzare le sanzioni civili e canoniche contro coloro che compiono aborti e sterilizzazioni negli stati pontifici; giunge al punto di prescrivere la pena di morte per ambedue queste offese. Il Papa inizia affermando la necessità di più strette misure di sicurezza da prendersi contro «la barbarie … di coloro che non si astengono dal compiere le più crudeli carneficine di feti che ancora devono maturare nel rifugio dei grembi materni» («…eorum immanitatem … qui immaturos foetus intra materna viscera adhuc latentes crudelissime necare non verentur»). Papa Sisto allora continua, a modo di esplicazione (la traduzione è mia, come pure la sottolineatura):

«Chi non detesterebbe un crimine esecrabile come -. questo? Infatti, il suo risultato certo è che non solo corpi, ma – ancor peggio! – anche anime, sono sacrificate a caso. L’anima del bambino non nato reca l’impronta dell’immagine di Dio. È un’anima per la cui redenzione Cristo versò il Suo prezioso sangue, un’anima capace della beatitudine eterna e destinata alla compagnia degli angeli. Chi, dunque, non condannerebbe e punirebbe con la più grande severità la dissacrazione commessa da uno che ha escluso tale anima dalla visione beatifica di Dio? Tale persona è tanto responsabile per un’anima umana quanto lo può essere un essere umano nell’impedire a tale anima il conseguimento del trono preparatele in cielo, e ha deprivato Dio del servizio della Sua propria creatura» (23)

Cosi, quattro volte in un paragrafo, in modi diversi, il Papa afferma che i bambini abortiti sono esclusi dalla visione beatifica. E a lui preme affermare che la perdita di queste anime non è solo una presunzione, speculazione o probabilità, ma è piuttosto un risultato “certo” dell’aborto (animarum certa iactura sequitur). Egli sta ovviamente prendendo per certa la tesi più ampia per cui i bambini che in generale muoiono senza Battesimo sono similmente esclusi.

Sarebbe anche gratuito, in forza del vigore del suo linguaggio e del suo uso della parola “eterna”, come pure dell’intera tradizione anteriore della Chiesa, ipotizzare che forse Sisto V intese insegnare qui che questa “esclusione” certa di tali bambini dal Paradiso potrebbe essere solo temporanea; o almeno che egli non stesse escludendo tale possibilità. Le espressioni del Papa certamente non costituiscono una definizione ex cathedra, ed infatti, la Costituzione in se stessa è prima di tutto un atto legislativo – un esercizio dell’autorità di governo del Papa piuttosto che quella di insegnamento.

Nondimeno, in vista della chiarezza e forza dell’insegnamento del Pontefice in tale preambolo alle sanzioni penali del documento, sembrerebbe implausibile suggerire che egli la stesse presentando come mera opinione, piuttosto che come dottrina autentica.

In fine il venerabile principio lex orandi, lex credendi è qui di altissimo rilievo. La tradizionale, di fatto bimillenaria, assenza di qualsiasi rito liturgico o preghiera per il funerale o seppellimento dei bambini non battezzati parla da sé. II preconciliare Rituale Romanum, nella sezione De exequiis parvulorum (“Esequie per i bambini”) raccomanda di preparare una speciale sezione del terreno benedetto, «in cui non bisogna seppellire nessuno se non gli infanti o bambini che morirono prima della ricezione dell’uso di ragione e che furono battezzati».

Anche nel nuovo Messale e Rituale, che include per la prima volta tali riti in quasi duemila anni, i testi prescritti per i funerali dei bambini non battezzati sono estremamente riservati. La sola lettura evangelica prescritta è una tristezza (Mc 15,33-46, la morte e sepoltura di Gesù); e i riti approvati di fatto non «ci invitano…a pregare per la loro salvezza» – come ci vien detto che fanno nella sezione “in breve” o “sommario” del Catechismo della Chiesa Cattolica che tratta questo argomento (cf. n. 1283). Ciò, bisogna onestamente riconoscerlo, è un errore di fatto da parte del Catechismo, sia rispetto al suo testo precedente e principale sui bambini non battezzati, cioè n. 1261 (che il n. 1283 dovrebbe riassumere), sia rispetto alle rilevanti preghiere liturgiche stesse.

II n. 1261 difatti non dice nulla di alcuna supposta preghiera liturgica “per la salvezza” di questi bambini. Esso nota soltanto che i riti esequiali della Chiesa «li raccomandano alla misericordia di Dio». Questa espressione è perfettamente compatibile con il tradizionale insegnamento e più sobri parametri della Chiesa, che incoraggiano confidenza o “fiducia”, non che tali bambini godranno il Paradiso piuttosto che il Limbo, ma solo che godranno il Limbo piuttosto che soffrire minimamente l’Inferno. Di più, la sicura resurrezione dei corpi nell’ultimo giorno di quanti sono nel Limbo, i quali saranno anche loro partecipi dell’opera redentiva di Cristo, sarà un’ulteriore manifestazione della misericordia di Dio per le anime: la morte anche per loro sarà eternamente sconfitta, anche se in un modo che non giunge alla visione beatifica.

II nuovo rito delle esequie nell’insieme si prende cura di scoraggiare ogni maggiore ottimismo del presente. Per le richieste in questo rito di fatto prega solo per i parenti addolorati e per la famiglia (affinchè possano trovare speranza e conforto nella misericordia di Dio), non per il bambino defunto (25). Effettivamente, tali preghiere per il bambino sarebbero teologicamente assurde, perché le preghiere per i defunti suppongono sempre che le anime in questione siano in Purgatorio.

Ma il Purgatorio, di tutti i luoghi o stati possibili post mortem, è il solo in cui, come hanno sempre sostenuto tutti i cattolici, di certo non vi si trovano bambini non battezzati. Inoltre, il sacerdote o diacono che presiede è esplicitamente avvertito nel nuovo rituale: «Quando si celebrano funerali di questo tipo, bisogna porre attenzione nella catechesi acciocché la dottrina della necessità del battesimo non venga oscurata nella coscienza dei fedeli» (26). (Questa ammonizione è stata preservata nella terza editto typica del Messale Romano del post-concilio, pubblicato 10 anni dopo il Catechismo) (27).

Dovrebbe essere chiaro da quanto su accennato sui principali insegnamenti cattolici, che quanti ora parlano di Limbo come di qualcosa che è stata sempre un'”ipotesi”, distinta dalla dottrina della Chiesa, danno un resoconto molto fuorviante dello status queestionis. Tali discorsi lasciano l’impressione che la Chiesa ha sostenuto tradizionalmente, o ha almeno implicitamente ammesso, che vi sia un’altra “ipotesi” accettabile per i bambini non battezzati, secondo la quale conseguono la salvezza eterna. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. II Limbo per i bambini fu effettivamente solo una “ipotesi” teologica; ma la sola ipotesi alternativa non era il Paradiso, bensì una “pena dei sensi” molto mite nell’Inferno, come pure l’essere eternamente privati della visione beatifica.

In breve, il fatto di quella privazione, in se stesso, fu tradizionalmente dottrina cattolica, non una mera ipotesi. Come tale fu considerata per circa duemila anni dal consenso di auctores probati, alcuni dei quali, come il fidato consigliere di Leone XIII il Card. Camillo Mazzella, concluse che la dottrina era de fide (28).

Questa tesi dottrinale comunque necessita di una precisazione. L’eterna esclusione di tali bambini dalla visione beatifica è stata sempre fermamente insegnata dalla tradizione cattolica almeno come regola generale, vale a dire, come loro destino ordinario. Ma il magistero non escluse mai la possibilità che Dio nella sua sovranità possa talvolta dispensare dalla legge divina positiva in tal materia. L’opinione del Gaetano, per cui la preghiera e il desiderio dei parenti cristiani possa ordinariamente o regolarmente fungere da sostituto salvifico garante per il Battesimo dei loro figli, quando il sacramento non potesse essere amministrato prima che la morte giunga, trovò un’accoglienza molto negativa fra i Padri del Concilio di Trento.

Di fatto, qualsiasi pratica del genere – per la quale una persona sarebbe capace di conferire la grazia santificante ad un’altra ex opere operato – sarebbe un “ottavo sacramento” piuttosto sconosciuto alla rivelazione cristiana. (Papa san Pio V successivamente ordinò che il passaggio esprimente tale opinione fosse estrapolato da future edizioni delle opere del Gaetano) (29).

In ogni caso, molto prima di questo, san Bonaventura, che scrisse in modo piuttosto esteso per difendere la realtà del limbus puerorum (30), di passaggio incluse delle parole per riconoscere che Dio stesso, quale “speciale privilegio”, possa occasionalmente rendere possibile ad un bambino la giustificazione senza Battesimo. Rispetto agli adulti, egli dice, che possono fare un atto di volontà nel desiderare il Battesimo, un bambino, essendo incapace di un tale atto, non si salverà se muore senza il sacramento,

«… nella misura in cui, privato del battesimo di sangue, egli manca della grazia dello Spirito Santo. Infatti, a prescindere dal battesimo, egli non può, secondo la legge comune [di Dio], divenire disposto alla grazia. Egli non può, cioè, a meno che Dio non compie ciò per uno speciale privilegio, come nel caso di quanti sono santificati nel grembo». (31)

Bonaventura evidentemente ha in mente l’antica tradizione che il non nato Giovanni il Battista, all’istante della visita di Maria, ricevette la grazia santificante, come, forse, il profeta Geremia (32) (senza citare la Vergine stessa). Questa passeggera e breve osservazione di un Santo e Dottore della Chiesa, con la sua apparente implicazione che, per quanto ne sappiamo, Dio possa a volte concedere un privilegio simile ad altre anime dì bambini non battezzati, non fu mai censurata in alcun modo dal magistero, e questo è stato senza dubbio uno dei tanti fattori fra altri ad incoraggiare le recenti speculazioni di teologi cattolici – raramente nel XIX sec., e con crescente frequenza dalla metà del XX sec. in poi – che hanno cercato di giustificare un maggiore ottimismo circa il destino dei bambini non battezzati.

Comunque, uno speciale e raro privilegio, per definizione, non può essere una regola o norma. Si comprende, dunque, perché la crescente tendenza teologica dopo la Seconda Guerra Mondiale per cui tale “privilegio” possa di fatto essere più “normale” di quanto i cattolici hanno normalmente supposto ricevette un ammonimento da Roma nel 1958 per essere “senza solide fondamenta” (33), ma non fu condannata del tutto. Questo piccolo elemento di flessibilità magisteriale o concessione aprì la strada, sembrerebbe, alla nuova affermazione del Catechismo secondo cui si “consente di sperare” (non “obbligati” a sperare, e molto meno, obbligati a “sostenere“) che vi sia una “via di salvezza” per questi bambini.

Per essere sicuri, l’esclusione (almeno come regola generale) dalla visione beatifica non fu mai definita dommaticamente. Comunque, la forza combinata dell’insegnamento patristico, pontificio, conciliare e liturgico che abbiamo qui sorvolato mi sembra dimostrare che le condizioni per un insegnamento infallibile per il magistero universale e ordinario (34) a tal fine siano adempiute, molto prima che si sollevasse la recente marea di ottimismo.

Che possibilità, dunque, potrebbero esservi, nel contemplare un’ipotetica futura decisione magisteriale su questo problema? Primo, mi apparirebbe non solo sbagliata, ma strettamente impossibile, per qualsiasi “sviluppo” dottrinale asserente la salvezza di tutti i bambini morti, promulgata da qualsiasi papa o concilio con il solenne tenore che caratterizza una definizione infallibile (ex cattedra).

In forza delle sue promesse a Pietro e ai suoi successori, semplicemente non credo che Dio possa mai permettere una tale catastrofe. Ogni definizione papale ex cathedra è stata in armonia con la precedente tradizione e deve necessariamente essere tale. Il Concilio Vaticano I sottolinea che il carisma d’infallibilità non è concesso per inventare nuove dottrine, ma solo per spiegare e custodire l’originaria dottrina di Cristo e degli Apostoli. Ma la proposizione, “tutti i bambini che muoiono senza battesimo giungono alla visione beatifica” sarebbe una dottrina del tutto nuova e veramente rivoluzionaria.

Secondo, anche una dichiarazione magisteriale meno solenne ed enfatica con lo stesso fine – una proposta come meramente “autentica” piuttosto che infallibile – mentre forse non sarebbe del tutto impossibile, apparirebbe lo stesso ad un errore serio. In effetti, in vista della nostra impossibilità di essere capaci di conoscere infallibilmente che qualsiasi bambino non battezzato giunga al Paradiso, qualsiasi dichiarazione non infallibile, come di fatto avviene, sembrerebbe imprudente al punto da essere gravemente illecita.

Essa aumenterebbe inevitabilmente la già esistente tendenza di molti genitori cattolici ad essere rilassati e negligenti circa il battezzare prontamente i loro bambini dopo la nascita, così da divenire parzialmente ma gravemente responsabili di aver ostacolato l’ingresso in Paradiso di innumerevoli anime, nel caso che la dottrina tradizionale si rivelasse dopo tutto corretta.

Effettivamente, anche un prolungato silenzio magisteriale, di fronte all’ampia pubblicità data ai risultati di teologi recenti, potrebbe avere lo stesso “effetto cruento” sul Battesimo dei bambini. Già nel 1958, con l’approvazione esplicita di Pio XII, la Santa Sede pubblicò un Monitum ammonendo specificamente che «certe opinioni… circa il destino eterno dei bambini che muoiono senza battesimo» tendevano a fomentare la deplorevole pratica fra i cattolici di ritardare il battesimo dei loro neonati. Il Sant’Ufficio affermò che queste opinioni sono «senza solide fondamenta» (35).

In tal modo, quali scelte positive potrebbero essere prese in considerazione ora dal magistero? Il Concilio di Trento ci fornisce due precedenti per la definizione di una verità dommatica quale regola generale, mentre si permettono le possibili eccezioni (36). Così sembrerebbe possibile alla Chiesa definire, anche infallibilmente, le seguenti proposizioni:

Sotto la Nuova Alleanza di nostro Signore Gesù Cristo, coloro che muoiono senza battesimo (37) prima di raggiungere l’uso di ragione non raggiungono mai la visione beatifica, eccetto, forse, in casi particolari dove Dio potrebbe scegliere di dispensare dalla Sua legge positiva circa la necessità del battesimo per la salvezza.

Tale dichiarazione chiarificherebbe il tipo di “speranza” per la loro salvezza – una speranza molto limitata – che il Catechismo permette al n. 1261. Un’altra formula con un’enfasi epistemologica piuttosto che teologica – potrebbe forse impiegare il modo di parlare che adottò già Giovanni Paolo II nella Ordinatio Sacerdotalis quando dichiarò infallibilmente che la Chiesa «non ha l’autorità» di ordinare le donne sacerdoti, lo sostengo che la seguente espressione esprime un insegnamento già definitivo del magistero ordinario e universale che potrebbe essere solennemente definito

La Chiesa non ha, e non potrà mai avere, nessun genere di autorità per affermare, sotto la Nuova Alleanza di Nostro Signore Gesù Cristo, che uno che muore senza battesimo prima di giungere all’uso di ragione raggiunga la visione beatifica

Non meno della formula precedente, questa lascerebbe aperta la possibilità di eccezioni note solo a Dio, o forse rese note ad individui attraverso rivelazioni private.

lo concluderei queste osservazioni semplicemente affermando la mia ferma lealtà e obbedienza alla Santa Madre Chiesa, al cui infallibile giudizio, se si pronunciasse in tale materia, io molto volentieri sottometterò il mio proprio.

Note

1) Ovunque l’autore del presente articolo facesse riferimento a se stesso circa la traduzione di alcuni passi con l’espressione “traduzione mia” o un’equivalente, dovrà intendersi in riferimento al traduttore del presente articolo. L’originale è in lingua inglese, Deceased Infants reach the Beatific Vision?, pubblicato in Divinitas, 3 (2006) 324-340, che ringraziamo per la gentile concessione. La traduzione italiana è di P. Girolamo M. Pica, FI.

2) Questo documento è stato pubblicato dalla CTI nel 2007, ricevendo l’approva­zione di Benedetto XVI, il 19 gennaio 2007. Il titolo è La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza battesimo, in La Civiltà Cattolica, 158/2 (2007) 250-298 (n.d.t.).

3) “Item quisquis dixerit quod in Christo vivificabuntur etiam parvuli qui sine Sacramenti eius participatione de vita exeunt, hic profecto et centra apostolicam predicationem venit, et totam condemnant Ecclesiam, ibi propterea cum baptizandis parvulis festinantur et curritur, quia sine dubio creditur aliter eos in Christo vivificare omnino non posse”. Lettera 166, a San Girolamo, 7, 21; PL 33: 730, enfasi nostra.

4) «Noli credere nec dicere, nec docere infantes antequam baptizantur morte preventos pervenire posse ad originalium indulgentiam peccatorum, si vis esse catholicus», III De anima, PL 44: 516, enfasi nostra.

5) «… ne ad nostrarum perniciem tendat animarum, si negato … fonte salutari exiens unusquisque de saeculo et regnum perdat et vitam», Denzinger-Schonmetzer 184 (traduzione mia). Ciò non lo si trova in edizioni precedenti del Denzinger.

6) «…parvulos aeternas vitae prasmis etiam sine baptismatis gratia posse denari, perfatuum est», DS 219.

7) Denzinger 712 = DS 1349. Il testo originale latino delle parole su evidenziate è: «… cum ipsis non possit alio remedio subveniri, nisi per sacramentum baptismi, per quod eripiuntur a diaboli dominatu et in Dei filios adoptantur».

8) «translatio ab eo statu, in quo homo nascitur filius primi Adae, in statum gratiae et “adoptionis filiorum” [Rom. 8, 15] Dei», D 796 = DS 1524 (la traduzione è mia come pure l’enfasi

9) «… sine lavacro regenerationis aut eius voto fieri non potest», ibid.

10) Cf. Il, II, 30.

11) II, II, 31 (sottolineatura mia).

12) Il, II, 33 (sottolineatura mia)

13) Allocuzione ad un congresso dell’Associazione delle Ostetriche Cattoliche Italiane, 29 Ottobre 1951 (enfasi mia).

14) Alcuni teologi hanno pensato che ciò potrebbe forse accadere al momento della risurrezione finale nell’ultimo giorno.

15) Cf. D 464 = DS 858.

16) Cf. D 493a = DS 926.

17) «Illorum autem animas, qui in actuali mortali peccato vel solo originali decedunt, mox in infernum descendere, poenis autem disparibus puniendas». D 691, 693 = DS 1302, 1306.

18) Cf. 0410 = DS 780.

19) Un’approvazione ufficiale di tale opinione sembrerebbe anche dare molta più rispettabilità a quei teologi che ci chiedono insistentemente di adottare un’ermeneutica identica per coloro che muoiono nel peccato mortale. Loro dicono: “Si, naturalmente, la nostra fede – solennemente definita a Firenze – ci chiede di credere che tutti coloro che muoiono in peccato mortale soffrono le pene dell’Inferno. Ma noi possiamo anche sostenere, o almeno ragionevolmente sperare, che di fatto nessuno mai muore nel peccato mortale”. Questa ipotesi d’una teoria dell’ “Inferno vuoto” mi sembra una sofisticheria. Nostro Signore, diciamocelo, è meno ottimistico (cf. Mt 7,21-23; Le 13,23-27).

20) Cf. DS 224 = D 102: 4.

21) Cf. DS 1526 = DS 2626 (traduzione mia, mia la sottolineatura).

22) Cf. AAS, 87(1995), 515.

23) «Quis enim non detestetur, tam execrandum facinus, per quod nedum corporum, sed quod gravius est, etiam animarum certa iactura sequitur? Quis non gravissimis suppliciis damnet illius impietatem, qui animam Dei imagine insignitam, prò qua redimenda Christus Dominus noster pretiosum Sanguinem fudit, aeternaa capacem Beatitudinis, et ad consortium Angelorum destinatam, a beata Dei visione exclusit, reparationem coelestium sedium quantum in ipso fuit, impedivit, Deo servitium suae creaturae ademit?» (ibid.). II testo della Costituzione può rinvenirsi in Gasparri (ed.), Codex luris Canonici Fontes, vol. I, p. 308.

24) «… In quibus non sepeliantur nisi infante velpueri, qui ante usum rationis obie-rint et baptizati fuerint» (enfasi mia).

25) Cf The Rites of the Catholic Church Pueblo Publishing Co., New York 1976, 719-720

26) Cif. Ibid., 688. Ho alterato la traduzione così da rendere più letteralmente l’originale latino, riptrodotto sotto alla nota 25.

27) Il Messale include testi per una Messa che potrebbe essere offerta per la consolazione dei membri della famiglia addolorata non in suffragio dell’anima del loro bambino non battezzato. La rubrica ricorda al celebrante: «In catechesi autem advigilandum est, ne doctrina de necessitate baptismi in mentibus fidelòium obscuretur» Missale Romanorum, 3° editio typica, Civitas Vaticana 2002, p.1197.

28) Cf. C. Mazzella, De Deo Creante (4° ed.), Rome, Typog. Forzani, 1896, 756. Mazzella insegnò teologia dogmatica nel seminario Romano per molti anni verso la fine del XIX sec.

29) Cf. la critica della posizione del Caietano in billot, De Ecclesia Sacramentis, vol. I, Rome, Typografia Pontificia, 1914, pp. 259-261.

30) Cf. la riproduzione e commento degli scritti di san Bonaventura su questo argomento in Attilio Carpin, Il limbo nella teologia medievale, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2006, 90-118.

31) «… quia privatus baptismo aquae caret gratia Spiritus sancti; quia aliter ad gratiam non potest disponi, quantum est de iure communi, nisi Deus faciat de privilegio speciali, sìcut in sanctificatis in utero», San Bonaventura, Commentarium in quartum librum Sententiarum, d. IV, a. 1. q. I, ad 3um (citato da Carpin, op. cit., 113, n. 101).

32) Cf. Le 141; Ger 1,5.

33) Cf. n. 33 sotto e il corrispondente testo principale.

34) Cf. Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, 25.

35) «… Cui dilatione favere queunt nonnullae sententiae, solido quidem fondamento carentes, de sorte aeterna infantium sine baptismate decedentium», AAS 50 (1958), 114 (enfasi mia), Canone 867, nn. 1-2, nel Codice di Diritto Canonico del 1983 riafferma l’obbligo dei genitori, come fa il Catechismo, 1250.

36) Cf. i canoni XVI e XXIII del Concilio sulla giustificazione. Il primo è: ” Se qualcuno dirà che egli avrà di sicuro… quel gran dono della perseveranza sino alla fine, a meno che non avrà appreso ciò per una speciale rivelazione, sia anatema.” D 826 = DS 1566. Il secondo è: “Se qualcuno dirà … che può evitare ogni peccato, anche veniale, per tutta la sua vita, eccetto che per uno speciale privilegio di Dio, come la Chiesa sostiene sia avvenuto per la Vergine Maria, sia anatema” D 833 = DS 1573 (enfasi aggiunta in ambedue i casi).

37) La parola “sbattezzato” è da prendersi qui con il significato di senza battesimo sacramentale o “battesimo di sangue”. Il secondo avrebbe luogo – come il consenso dei teologi ha a lungo sostenuto – nel caso di bambini (nati o prima della nascita) martirizzati insieme ai loro genitori in odio a Cristo. Potrebbe anche accadere almeno in alcuni casi di aborto.