Cecità o ipocrisia. In Iraq? Non è successo niente

elezioni_IraqAvvenire 2 febbraio 2005

Un popolo si sveglia, e certa sinistra è in lutto. Forse non si è svegliato in modo politicamente corretto. Par di intuire che la sinistra italiana, lungi dal riconoscere come “suoi” gli elettori di Baghdad, non li vuol proprio vedere, o se li vede non crede che siano veri, o se sono veri sono un po’, quasi, dei collaborazionisti

di Marina Corradi

L’onestà intellettuale di dire: in qualcosa sull’Iraq ci siamo sbagliati, in qualche misura ci dobbiamo ricredere, è di pochi. È di Adriano Sofri, uno che, sembra, se ne sia stato a guardare tutte le immagini dei tg da Baghdad, con crescente commozione, e scrive: «Se la nostra sinistra è degna, se la nostra intransigenza non si esaurisce nella vanità, quei votanti sono i nostri. Si sono affacciati ai balconi, hanno messo il naso fuori dalla porta, si sono avventurati silenziosamente nelle strade.

Un popolo che si desta. Una sinistra che non si sia dimenticata di onorare il coraggio civile e la dignità sta dalla loro parte».L’onestà è di Alberto Asor Rosa: «Molti si sono trincerati dietro i pregiudizi. L’ostilità a Saddam era profonda in Iraq, aspetto ampiamente sottovalutato da coloro che si schierarono contro la guerra senza se e senza ma». E però, per il resto, la sinistra italiana, dall’Unità al manifesto a certi epigoni pacifisti, che fatica fa a riconoscere come “suoi”, suoi amici, se non proprio compagni, quegli uomini e donne in fila davanti ai seggi di Baghdad e Falluja. Pure, per votare si sono fatti chilometri, magari hanno rischiato la vita. Per votare, dopo decenni di tirannia. Niente. Certa nostra sinistra resta gelida.

Per Valentino Parlato è «come se a Roma si fosse andato a votare durante l’occupazione nazista». Come a dire quasi che gli iracheni, in odio all’occupante americano, avrebbero dovuto rifiutare la loro prima occasione democratica. È tutta un’emicrania, un bofonchiare a denti stretti, un contorcersi in titoli mosci e abbattuti, la stampa di sinistra sul voto iracheno. Al manifesto s’era pensato addirittura di aprire il giornale con un «Non è successo niente» ( afferma la cronaca di Repubblica), poi si è optato per «Iraq, anno zero», non proprio beneagurante. L’Unità annuncia fredda: «Stanno nascendo tre Iraq». Nessun cenno in prima all’ampio suffragio popolare.

Per Dario Fo questo voto è «una storia losca, e ci vuole un bello stomaco per entusiasmarsi». Il filosofo Gianni Vattimo si interroga: «Mi sarò dunque gravemente sbagliato?». Ma è, ovviamente, una domanda retorica: «Continuo – spiega subito Vattimo – a avere molti dubbi sulla veridicità dei dati che ho letto, che vengono da agenzie non immuni da influenze dell’amministrazione Usa». E quelle code ai seggi, erano di comparse.

Dove par di intuire che la sinistra italiana, lungi dal riconoscere come “suoi” gli elettori di Baghdad, non li vuol proprio vedere, o se li vede non crede che siano veri, o se sono veri sono un po’, quasi, dei collaborazionisti, o degli ignoranti che non han capito che avrebbero dovuto detestare sommamente Bush più che amare quella loro povera, magari vana speranza di un voto fra i kamikaze e i carrarmati, di un voto imbastardito nella guerra – e però di un voto, il primo dopo tanti anni. Avrebbero dovuto mandare via gli americani, far tacere i terroristi (pardon la Resistenza), mettere tutto in ordine, seggi puliti, candidati senza macchia, e finalmente elezioni comme il faut. Chissà quando, ma così avrebbero dovuto fare.

Invece, che orrore, votare coi carrarmati Usa per le strade. Così numerosi, tuttavia, gli elettori, che per non vederli bisogna avere gli occhi murati dall’ideologia. Gemono quelli di “Un ponte per”, la Ong delle Simone: «La divisione del Paese è andata in porto». Fateci capire: perché la gente ha votato? “Un ponte per”, per che cosa? Un popolo si sveglia, e certa sinistra è in lutto. Forse non si è svegliato in modo politicamente corretto.