E ora ci vorrebbe il DDT

18 gennaio 2005

Dopo il devastante tsunami si paventano migliaia di altre vittime anche a causa delle malattie trasmesse dagli insetti che prolificano nelle acque stagnanti. Ci vorrebbe un uso massicchio del DDT, che a differenza delle campagne allarmistiche non ha mai palesato effetti nocivi di rilievo per l’uomo. Ma gli ambientalisti si oppongono…

di Alessandra Nucci

Nella guerra tra l’uomo e la zanzara, negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, grazie al DDT, aveva quasi vinto l’uomo: l’America e l’Europa si erano liberate dalla malattia e i Paesi del terzo mondo erano sulla buona strada. Poi sono subentrati gli scrupoli ecologisti, la paura che il DDT potesse nuocere alla salute e all’ambiente, e così lo spray che aveva salvato milioni di vite umane scomparve dal mercato.

La malaria, naturalmente, dove non era ancora stata debellata, riprese piede, e le stime oggi dell’Organizzazione mondiale della Sanità parlano di un milione di morti all’anno. In questi giorni, però, grazie allo tsunami che ha puntato i riflettori del mondo sui Paesi del Sud Est asiatico, il capitolo è stato riaperto dal Wall Street Journal e dal New York Times.

La carneficina è stata spaventosa, ha scritto l’8 gennaio il New York Times, ma ogni anno la malaria uccide 20 volte le persone che sono state uccise dallo tsunami: perché dunque non tornare a spruzzare il vecchio affidabile DDT? Il DDT era stato messo al bando nel 1972 dalla “Agenzia per la Protezione dell’Ambiente” statunitense. Incredibilmente però, sempre a quell’epoca, un giudice esperto della stessa agenzia aveva certificato la sua innocuità: “Il DDT non è una minaccia cancerogena per l’uomo,” aveva scritto, “Il DDT non è una minaccia mutagenica o teratogenica per l’uomo… L’uso del DDT secondo le debite regole non ha un effetto deleterio sui pesci d’acqua dolce, sugli organismi degli estuari, sugli uccelli selvatici o su altra fauna selvatica.”

L’innocuità del DDT è stata sostenuta da riviste scientifiche come il British Medical Journal, e come prova pratica e concreta dell’innocuità e l’efficacia del DDT l’esperto di statistiche Steve Milloy, studioso del Cato Institute, cita la dose massiccia di DDT di cui furono letteralmente inzuppati gli ex prigionieri dei campi di concentramento, dopo la seconda guerra mondiale, per liberarli dai parassiti. Questo bagno non provocò in loro alcun effetto dannoso, come non si riscontrarono effetti tossici né sulle persone addette a spruzzare il DDT, né in chi abita le case trattate con il DDT per prevenire la malaria.

Negli anni cinquanta fino a 80.00 tonnellate di DDT all’anno venivano spruzzate sulle piante alimentari americane, senza conseguenze. I dati a favore del DDT ormai sono  pressoché unanimi. Anche l’Oms conferma che irrorare gli ambienti di DDT è il metodo più sicuro ed economicamente conveniente per prevenire e controllare la malaria, e la lista ufficiale delle sostanze tossiche da mettere al bando nel mondo, stilata nel 2001 dagli esperti riuniti dalle Nazioni Unite, non comprendeva affatto il DDT.

Come si è arrivati dunque a far sparire il DDT dagli scaffali e dalla mente? Interpellati al riguardo dal New York Times, i responsabili del WWF e di Greenpeace hanno affermato che effettivamente è accertato che il Ddt salva vite umane, quindi anche per loro nulla osta.  Rimane però l’ostacolo dell’inerzia burocratica. E qui l’edificante gara di solidarietà fra chi riesce a dimostrarsi più generoso con i popoli del Sud est asiatico può servire a farci riflettere sulle dimensioni del potere che  viene consegnato, insieme alla gestione degli aiuti, alle tante  organizzazioni che si candidano a lavorare nei Paesi in via di sviluppo.

L’ONU e la maggior parte delle agenzie umanitarie occidentali si rifiutano di finanziare programmi e rimedi anti-malaria che usano il DDT. E’ questo, in  sostanza, che garantisce che il DDT in quei Paesi non verrà mai usato.