I nemici della liturgia tradizionale

liturgiaCorrispondenza Romana  n.1098
del 25 giugno 2009

La Lettera Apostolica “Summorum Pontificum” pubblicata già 2 anni fa (il 7 luglio 2007) ha avuto in tutto il mondo cattolico delle magnifiche conseguenze spirituali. Basti pensare all’aumento nelle vocazioni registratosi presso quegli Istituti sacerdotali e religiosi che fanno uso della liturgia tradizionale, alla nascita di gruppi e circoli che ad esso si ispirano (come l’Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum di padre Vincenzo Nuara o.p.) e al rinnovato fervore dei fedeli laici che frequentano gli ambienti in forte crescita della cosiddetta “messa in latino”.

Ma non si è colta forse fino in fondo la dimensione culturale della Lettera di Benedetto XVI e la sua influenza sul ceto propriamente intellettuale, cattolico e non. Il rapporto tra le forme bimillenarie della liturgia cattolica e il patrimonio culturale, artistico, pedagogico e musicale della nostra tradizione è al centro di un libro appena tradotto in italiano (M. Mosebach, Eresia dell’informe.

La liturgia romana e il suo nemico, edizioni Cantagalli, € 17,90). L’autore è uno scrittore tedesco molto affermato come romanziere e saggista, giornalista e osservatore della cultura e della società tedesca ed europea, sensibile ai valori della tradizione in rapporto alla secolarizzazione della società e all’“autoeutanasia del cattolicesimo” (l’espressione è di Augusto Del Noce). È indubitabile, secondo Mosebach, che la secolarizzazione, nata fuori dalla Chiesa con l’illuminismo settecentesco e in polemica con essa, e dilagata nel corso del ’900, abbia trovato delle sponde culturali interne alla comunità ecclesiale, prima fra tutte forse la Riforma liturgica di Paolo VI.

Se il Messale del 1962, liberalizzato da Benedetto XVI, conteneva in sé tutta la tradizione liturgica e dottrinale della Chiesa latina ed anche segnalati elementi delle divine liturgie orientali, il Novus Ordo Missae è derivato da una Commissione di esperti che di fatto ruppero, almeno in parte, con questa tradizione sia per innovarla (e magari avvicinarla alla pseudo riforma luterana) sia paradossalmente per depurarla, riportandola ad una pretesa purezza originaria (e qui emerge l’insano archeologismo denunciato da Pio XII): due tendenze contrarie dalla cui mistura è uscito quel novum che non poteva accontentare né la pietà dei fedeli, né la scienza liturgica dei migliori specialisti in materia da Klaus Gamber a Joseph Ratzinger.

Se la liturgia tradizionale era stata il veicolo della creazione di un’arte, di una musica e di una cultura cristianamente ispirate, la nouvelle liturgie al contrario, si ispirò al mondo contemporaneo e alle sue forme artistiche e di pensiero secolarizzato per entrarci in dialogo e collaborazione. I risultati spirituali appaiono al Mosebach persino peggiori di quelli artistici visibili nelle chiese innalzate per il nuovo rito negli ultimi 30 anni. «La liturgia riformata e ciò che essa produce decorativamente, non potrà mai divenire un fatto culturale fondamentale nella vita dei popoli, per il fatto che essa è troppo incolore, troppo artificiale, troppo poco religiosa, troppo informe» (p. 129).

Se le chiese fatte sotto l’ispirazione della riforma liturgica non giovano né all’arte né alla spiritualità cristiana, le stesse chiese tradizionali (dalle basiliche romane alle cattedrali gotiche fino alle rustiche cappelle di campagna) sembrano decadere quando non vengono più animate dallo spirito per cui furono costruite. «In un primo momento apparve come un colpo mortale il fatto che la liturgia [tradizionale] fosse stata scacciata dalle antiche splendide chiese, che erano state create per essa. Ma in seguito si vide che erano le chiese a morire quando lo spirito sacro da esse spariva» (p. 129).

Occorre allora ritornare di cuore alla Tradizione liturgica e dogmatica, perché come mostra sempre più il naufragio del progressismo “senza Tradizione non c’è futuro”!