L’Onu e gli “obiettivi di sviluppo”

Ban_Ki_MoonLa Croce quotidiano 20 aprile 2016

C’è chi chiede trasparenza e un consuntivo del mega-programma 2000-2015; c’è chi al contrario celebra acriticamente il “rilancio” tentato dal Segretario Generale uscente Ban Ki-Moon. Se ne è parlato alla conferenza “Obiettivi delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile e la Finanza Responsabile”, tenutasi venerdì scorso a Roma nell’Istituto Francese “Centre Saint Louis

Giuseppe Brienza

Il mandato del Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon è in scadenza. Il suo successore sarà probabilmente scelto al Palazzo di Vetro di New York quest’estate. Dopo un decennio a capo della principale organizzazione internazionale costituita nell’ultimo dopoguerra, l’eredità del sudcoreano si preannuncia non poco difficile da gestire. Alle varie patate bollenti dovute al drammatico scenario geopolitico in atto, si aggiunge anche un ultimo passaggio critico contestato a Ban Ki-Moon proprio al termine del suo secondo mandato.

Il 31 dicembre 2015, infatti, si è concluso un progetto di cooperazione internazionale senza precedenti, il “Millennium Development Goal 8” (gli “8 Obiettivi di sviluppo del Millennio”), lanciato dalle Nazioni Unite nel 2000 e finito senza troppa pubblicità. La scadenza è stata quasi del tutto ignorata, pubblicando sul sito istituzionale dell’Onu solo uno smilzo “report” di 75 pagine, reso peraltro reperibile il 1° luglio 2015, sei mesi prima cioè della fine del progetto.

In tempi non sospetti, ho rilevato alcune tare di questo mega-programma promosso dalle Nazioni Unite, fra cui il non irrilevante uso ideologico del concetto di “diritti e salute riproduttiva”, utilizzato dai “tecnici” in chiave anti-natalista e abortista (cfr. G. Brienza, Dossier Onu e Diritti Umani. Le “Mete di sviluppo per il millennio”: un documento pro-aborto, in “Il Corriere del Sud”, anno XV, n. 15, Crotone 1/16 settembre 2006, p. 3).

Nel recente commento allo smilzo “report” finale pubblicato dall’Onu al termine del “Millennium Development Goal 8”, l’ha fatto presente anche una grande esperta di sviluppo e demografia come Anna Bono, docente di Storia e istituzioni dell’Africa e di Sociologia dei processi culturali all’Università di Torino. La prof.ssa Bono, inoltre, ha giustamente notato come nel consuntivo degli “8 Obiettivi di sviluppo del Millennio” manchi «[…] qualsiasi informazione sui capitali messi a disposizione dagli Stati che hanno aderito all’iniziativa, sul loro ammontare complessivo, sulla loro ripartizione e assegnazione a ciascuno degli otto obiettivi. Manca anche un elenco dei progetti realizzati: dove, come, a che scopo, metodi e scelte operative, a chi ne è stata affidata la realizzazione, costi sostenuti, esito» (Anna Bono, Povertà, l’ONU incassa ma non spiega, in “Il Timone”, anno XVIII, n.150, Milano marzo 2016, p. 41).

Per la portata del progetto, durato 15 anni, un rapporto conclusivo sulle attività svolte avrebbe dovuto essere oggetto, a fini di trasparenza e di doveroso consuntivo agli Stati contributori, di una serie di elaborazioni, iniziative di comunicazione, convegni universitari, sedute di governo e di giunte delle Agenzie specializzate dell’Onu ma, invece, niente.

Anche il giornale “ufficioso” della Santa Sede, di solito molto “generoso” verso l’Onu, ha osservato come l’accampato raggiungimento degli 8 Obiettivi di sviluppo del Millennio «lascia molti dubbi in diversi osservatori, soprattutto perché valutati su statistiche fornite da fonti governative non da tutti giudicate attendibili e comunque basate su parametri di economia finanziaria più che di economia sociale» (La persona umana al centro dello sviluppo, in “L’Osservatore Romano”, 27 settembre 2015, p. 3)

Nonostante queste criticità e il breve arco temporale che gli manca prima della fine del suo mandato, il Segretario Generale uscente Ban Ki-moon ha promosso la rapida approvazione, in un summit appositamente convocato il 26 settembre 2015 a New York, di 17 nuovi “Obiettivi di sviluppo sostenibile” (“Sdg”, nell’acronimo in inglese), da raggiungersi entro il 2030. I nuovi Sdg, ratificati prima dell’apertura dell’Assemblea generale dell’Onu, sono suddivisi in 169 traguardi specifici, frutto di intensi negoziati e riunioni tenute negli ultimi anni in tutti i continenti. Anche questi obiettivi dell’Agenda di Sviluppo Sostenibile 2030 toccano temi discutibili come l’«uguaglianza di genere» e il «miglioramento dei servizi sanitari», parole-talismano dietro le quali si nascondono i veri obiettivi della veicolazione dell’ideologia LGBT e della pianificazione di ulteriori interventi per facilitare l’aborto e la sterilizzazione da parte degli Stati.

In maniera molto prudente, anche perché il tema specifico era quello di legare l’idea di uno sviluppo sostenibile a quella di una finanza responsabile, di questi temi si è parlato anche nel corso della conferenza “Obiettivi delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile e la Finanza Responsabile. L’insegnamento sociale della Chiesa Cattolica alla luce del Laudato Si’” che si è svolta il 15 aprile nella sede di Roma dell’Istituto Francese “Centre Saint Louis”, organizzata da Movimento Europeo in Italia (CIME), Centro Studi sul Federalismo (CSF) e da European Partners for Environment (EPE). La tavola rotonda, che ha seguito la dichiarazione finale approvata dai promotori dell’evento sui temi della sostenibilità e che verrà inviata al premier Matteo Renzi in vista dell’assemblea Onu di New York di domani, 21 aprile, si è aperta con l’intervento introduttivo del Cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

Il cardinale ghanese ha esordito affermando che la nuova Agenda Onu va considerato un passaggio importante in quanto «segno di speranza», e che «la natura intrinseca della finanza è di utilizzare il profitto per promuovere benessere e sviluppo della persona». Ha poi proseguito sostenendo, in pieno accordo al Magistero sociale di Papa Francesco, che l’obiettivo del capitalismo «non è di fare più denaro ma di farne un buon uso», e che la finanza «ha fallito nel perseguire il suo obiettivo di collegare il presente al futuro».

Dopo aver citato vari passaggi sulla finanza dell’enciclica “Caritas in Veritate” pubblicata da Benedetto XVI nel 2009 che, ricordiamo noi, già allora raccomandava «l’urgenza della riforma sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale» (n. 67), il cardinale Turkson ha ricordato nel suo intervento che la fratellanza è «un attributo fondamentale della famiglia umana, perché siamo esseri relazionali» e, senza di essa, «è impossibile crescere in pace». Perciò, ha concluso, «è necessario connettere tutti gli attori in tutti i livelli: istituzioni, governi, autorità della società civile, famiglie, privati, singoli».

Il concetto più interessante emerso dall’intervento del cardinale africano, alla luce delle sfide e implicazioni poste dall’Agenda stilata dalle Nazioni Unite lo scorso settembre, è che per ricostituire lo sviluppo e investire in maniera etica bisogna avere fede. Ha osservato il rappresentante della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri intervenuto alla conferenza, il dott. Luigi De Chiara, che «l’Agenda, in virtù del suo carattere di universalità si impone a tutti i Paesi» ma, i suoi obiettivi, sono perseguibili solo come «sommatorie di politiche nazionali coerenti». L’Onu, insomma, non intende rivolgersi «solo ai Paesi in via di sviluppo ma a tutti», e lo dimostra l’inserimento delle priorità dell’Agenda «nei principali programmi di lavoro di tutti gli organismi internazionali, compreso il G7 italiano del prossimo anno».

Nello specifico di “investitori etici” (la traduzione inglese è più appropriata: “faith-based investors”) ha parlato il Segretario Generale della “Federazione delle Banche, delle Assicurazioni e della Finanza” (FEBAF) Paolo Garonna, che ha pragmaticamente rimarcato come ogni «investimento etico costa: si investe in denaro, formazione, campagne informative» e, in più, ciascun operatore è tenuto a «valutare come poi l’etica rende. La gente dice che nell’ambito della solidarietà stiamo vivendo un big-bang: nuovi strumenti, prestiti, mutui, cartolarizzazioni. Bisogna muovere l’imprenditorialità per aiutare i più poveri a essere più imprenditoriali, anche se nei paesi sottosviluppati solo un’azione di sussidi può essere solida. Però i governi devono rivedere la loro capacità di azione» (cit. in Francesco Gnagni, L’enciclica “Laudato Si’” spiegata agli investitori, in “Formiche.net”, 18 aprile 2016).

Mentre prosegue l’opera, intrapresa negli ultimi decenni dalle Nazioni Unite e, “in parallelo”, dall’Ue, di “espropriazione” delle sovranità nazionali dei Paesi ricchi ed economicamente sviluppati, ci chiediamo il perché nell’impostazione dei programmi di sviluppo l’Occidente lasci invece molta mano libera a governi e dittatori, spesso corrotti o incapaci, dei Paesi poveri. Qui prodest?

L’efficacia (e trasparenza) o, al contrario, dal fallimento del nuovo macroscopico programma di sviluppo globale lanciato dall’Onu, potrà potenzialmente dipendere il rilancio o l’implosione di questa grande organizzazioni internazionale. Con essa, però, a saltare potrebbe essere la strutturazione complessiva della comunità internazionale così come edificata a partire dal secondo dopoguerra.