I Marines in Algeri

Us marinesArticolo pubblicato su Avvenire

13 maggio 2003-07-21

di Maurizio Blondet

Quando Gioacchino Rossini compose “L’italiana in Algeri” (rappresentata a Venezia nel 1813 raccontò in chiave comico-sentimentale una tragedia plurisecolare. Il bey di Algeri , coi suoi pirati, rapiva ogni anno centinaia di italiane e italiani. Marinai, viaggiatori sulle navi europee, abitanti delle coste di Malta, Sicilia e Sardegna. E Algeri (che contava 50 mila abitanti) era soltanto la maggiore città dei pirati. In realtà, tutta la Costa di Barberìa, i 1.600 chilometri da Gibilterra alla Sirte in Libia, pullulava di pirati. Formalmente governatori provinciali dell’impero Ottomano, ma in realtà indipendenti, i bey di Algeri, Tripoli e Tunisi avevano creato una vera economia della corsa.

Vivevano largamente dei riscatti che esigevano per il rilascio degli europei rapiti, del mercato dei marinai e viaggiatori bianchi presi e rivenduti come schiavi, del saccheggio delle navi “cristiane”. Seguaci di un islam fondamentalista, trattavano gli “infedeli” catturati secondo vari gradi di barbarie. Nei momenti d’oro, Algeri poté contare oltre 25 mila schiavi europei.

Per oltre tre secoli i popoli d’Europa convissero supinamente con questa ferocia sull’altra sponda. Nacquero persino ordini pii i cui membri raccoglievano denaro per riscattare i catturati, o si offrivano di sostituirsi ad essi. Persino gli inglesi, padroni del mare, s’adattarono.

L’ammiraglio Edward Pellew, lord Exmouth, giunse a pagare 489.750 talleri di Maria Teresa per riscattare 1530 cristiani di varie nazionalità. L’Europa, insomma, si rassegnava. Non così la neonata repubblica d’America. Alla fine del ‘700, capitò che i pirati dei bey catturassero navi e marinai statunitensi in rotta nel Mediterraneo. Chiesero, come al solito, pingui riscatti. Fu allora che il presidente Jefferson, alla Casa Bianca, pronunciò la storica frase: “Milioni per la difesa, non un cent per un tributo”. Gli Usa crearono la loro prima flotta da guerra, nel 1794, proprio per battere i pirati mediterranei. Fu il primo atto in cui l’America agì come poliziotto globale. Fu il primo intervento preventivo geopolitico. E il primo sangue scorso fra l’America e l’islam.

Così nel 1805, soldati in divisa blu con bandoliere bianche che il Mediterraneo non aveva mai visto – fanti di marina, detti marines – sbarcarono in Egitto, marciarono a tappe forzate nel deserto lungo costa, e sorpresero alle spalle il bey di Tunisi, costringendolo a rilasciare i cittadini americani catturati. I barbareschi non capirono la lezione e continuarono a pirateggiare, anche contro beni galleggianti statunitensi.

Così, nel 1815, una squadra a stelle e strisce, al comando dell’ammiraglio Stephen Decatur, ripiombò su Tunisi, costrinse il bey a pagare 46 mila dollari di penale e a rilasciare tutti i bianchi catturati, fra cui non mancavano napoletani e persino danesi. Nello stesso anno in giugno, un’altra squadra americana si presentò davanti ad Algeri. Il comandante, commodoro ,William Bainbridge, segnalò con le bandiere un ultimatum: il bey aveva tre ore per rilasciare tutti i catturati americani, e pagare un enorme compenso in contanti- oro per il disturbo.

Algeri era, allora, la piazzaforte meglio fortificata del mondo, ma il bey intuì il primato tecnico occidentale. Ebbe il buon senso di capitolare. Appena la bandiera a stelle strisce scomparve all’orizzonte, i suoi pirati ripresero il mare. Ma ormai, il brutto incantesimo era rotto. Nel maggio 1816, pirati algerini massacrarono un centinaio di pescatori siciliani.

La Sicilia era, formalmente, sotto protezione britannica. Stavolta, Londra ordinò a lord Exmouth di farla finita con quei barbari. Nella torrida fine d’agosto, Lord Exmouth si presentò davanti ad Algeri a bordo dell’ammiraglia, la Queen Charlotte, forte di cento cannoni. Lo seguiva una flotta anglo-olandese adattata scientificamente alla bisogna: murate rinforzate, armamento d’artiglieria che comprendeva razzi incendiari (antenati dei missili) e bombarde a mitraglia (l’equivalente delle bombe a grappolo).

A bordo, gli ufficiali del 91° Royal Engineer avevano localizzato con precisione ognuno dei seicento cannoni nemici. Per nulla intimoriti, coraggiosi e feroci, i pirati si avventarono contro la flotta con 40 navi agili e leggere: 35 furono colate a picco in pochi minuti. Su Algeri piovvero 500 tonnellate di proiettili; i razzi incendiarono l’abitato.

Alla fine della giornata, gli algerini contarono almeno ottomila morti, gli inglesi 141. Il bey dovette consegnare 1.642 schiavi e 382 mila talleri. In America, qualcuno componeva l’inno dei marines, nel quale si esalta il corpo che ha combattuto “dai palazzi di Montezuma alle spiagge di Tripoli”. Era, come sappiamo, soltanto l’inizio.