Quando il dettato di una legge viene messo tra parentesi

Avvenire, 17 febbraio 2008

 La 194 e il «mutamento di clima» evocato da Rodotà

di Francesco D’Agostino

Nelle nuove, accanite discussioni in merito alla legge 194, l’unico – per quanto io abbia potuto percepire ­ che sia stato in grado di mettere esattamente a fuoco il problema è stato Stefano Rodotà (naturalmente non c’è da meravigliarsene, dato che la sua finezza intellettuale è straordinaria e pari soltanto all’aggressività delle sue argomentazioni).

Su ‘Repubblica’ del 14 febbraio (p. 39), Rodotà, prendendo spunto dalla recente vicenda napoletana, nella quale un magistrato, usando legittimamente dei propri poteri, ha attivato indagini in merito ad una pratica abortiva, ha rilevato di avvertire il consolidarsi nel nostro paese di un ‘mutamento di clima, che, senza bisogno di cambiare le norme in vigore, determina una vera e propria aggressione nei confronti di chi altro non ha fatto che valersi dei diritti che le riconosce la legge sull’interruzione della gravidanza’.

L’uso, da parte di Rodotà, del termine ‘aggressione’ è particolarmente forte: sarebbe stato corretto usare questa parola solo se si fosse potuto presupporre (ipotesi, questa, gravissima!) che già prima degli accertamenti il magistrato avesse la certezza che la procedura abortiva era stata portata avanti nel pieno rispetto della legge. Ma in Italia siamo oramai abituati a usi linguistici ben poco calibrati, al punto che può sembrare una vera perdita di tempo auspicare da parte di tutti (e in particolare da parte di politici, editorialisti, intellettuali) un uso attento e sobrio delle parole.

La cosa a mio avviso interessante è piuttosto un’altra. Rodotà percepisce un preoccupante ‘mutamento di clima’ nel nostro Paese: senza entrare nel merito della fondatezza di questa diagnosi, sta di fatto che egli riconosce come questo mutamento stia avvenendo ‘senza bisogno di cambiare le norme in vigore’. Stiamo parlando, ricordiamocelo, della legge 194/1978, cioè della legge sull’aborto.

Dalle parole di Rodotà emerge ciò che gli addetti ai lavori sanno benissimo, ma che probabilmente sfugge a gran parte dell’opinione pubblica: questa legge, da quando è entrata in vigore, è stata applicata in modo arbitrariamente estensivo, come se l’aborto fosse stato riconosciuto dal legislatore alla stregua di un diritto insindacabile delle donne.

Così non è: basta leggere il testo della legge, per prendere atto che l’aborto è stato sì legalizzato, ma solo a condizione da una parte che venissero accertati ben precisi presupposti (che si incentrano fondamentalmente sulla tutela della salute fisica e psichica della donna che chiede l’interruzione della gravidanza) e dall’altra che venissero rispettate altrettanto ben precise procedure.

Si aggiunga – cosa ancora meno percepita dall’opinione pubblica – che un aborto praticato in assenza dei presupposti di legge e senza il rispetto delle procedure previste resta un reato, punibile con pene rilevanti: ad esempio, l’art. 19, terzo comma, della legge punisce con la reclusione da uno a quattro anni (pene non lievi) chi pratichi l’aborto senza l’osservanza delle disposizioni dell’art. 7, che impongono al medico, quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, di adottare ogni misura volta a salvaguardarne la vita.

Non entro nel merito dell’indagine promossa dal magistrato napoletano, che aveva indubbiamente come unico obiettivo quello di verificare che nel caso concreto la legge fosse stata davvero doverosamente applicata: è anche possibile, come ipotizza Rodotà, che egli abbia mancato di prudenza, dando eccessivo rilievo ad una notizia di reato forse poco attendibile (ma anche questo è un punto su cui vorremmo tutti che venisse fatta chiarezza).

Il problema è che ormai in Italia appare ‘repressiva’ la pretesa di verificare che la 194 sia applicata per quello che propriamente dice e non per quello che la sinistra libertaria vorrebbe che dicesse (ma che la legge esplicitamente e intenzionalmente non dice). Se davvero esiste un preoccupante ‘mutamento di clima’ (come pensa Rodotà), questo ha come obiettivo esclusivamente il doveroso ripristino della legalità, che tutti auspicano e che va auspicato anche per la 194.

Nel nostro Paese non sono in pericolo ‘i diritti’, come reputa l’illustre giurista, ma ‘il diritto’ tout court, se è vero, come sembra desolatamente vero, che una interpretazione ideologica e deformante riesce da fin troppo tempo a mettere tra parentesi il dettato esplicito delle leggi.

(A.C. Valdera)