Niente giustizia senza carriere separate e riforma del Csm

CsmIl Foglio, 31 gennaio 2008

di Alfredo Mantovano
(responsabile Legalità e sicurezza di An)

Al direttoreI richiami sulla giustizia, che lei ha rivolto allo schieramento di centrosinistra, in qualche misura valgono per tutti e obbligano anche il centrodestra a chiedersi come affrontare il tema se, come appare probabile, vincessimo le prossime elezioni.

Premetto un dato personale, che renderà meno sospette le considerazioni che seguono: non ho mai creduto nell’utilità dello scontro fra istituzioni; conosco schiere di magistrati che lavorano con dedizione dodici ore al giorno, che sono infastiditi dall’essere accomunati a colleghi che non lavorano nemmeno dodici ore alla settimana, e che però sono indotti a una reazione “di corpo” se tutto viene messo sul medesimo piano; ho sostenuto in anni passati, e in contesti parzialmente diversi, l’inutilità della separazione delle carriere, confidando in prevalenza su interventi nell’ottica del miglioramento funzionale.

Quanto accaduto negli ultimi quindici anni mi convince però a rettificare, almeno in parte, alcune posizioni, e a sostenere la necessità di modifiche strutturali, che facciano da cornice a ipotesi di lavoro più di dettaglio.

Nell’ottica del rapporto fra magistratura (chi la rappresenta) e politica, la vicenda Mastella ha confermato quanto sia inutile un approccio della seconda alla prima nei termini “ti accordo benefici e tu mi tratti bene”.

L’ex guardasigilli ha concesso all’Anm praticamente tutto; con la sua riforma ha trionfato la visione secondo cui la magistratura è un corpo unitario comprensivo di giudici e pm, autoreferenziale, che si governa con organismi elettivi, e perciò fatalmente di derivazione sindacale. E’ un paradosso, ma il democristiano Mastella ha attuato in ambito giudiziario il principio leninista “tutto il potere ai soviet”: i soviet, cioè il Csm e i consigli giudiziari, oggi hanno in mano ogni profilo della carriera del magistrato, senza che questi possa mai considerarsi svincolato da questa dipendenza.

Se fino a ieri il magistrato appagato delle funzioni raggiunte poteva vivere tranquillo (forse fin troppo), oggi sa che a ogni quadriennio deve ottenere la conferma del suo incarico direttivo o semidirettivo, e dopo otto anni deve cercare un altro incarico. Dunque il Csm potrà delegittimarlo, ordinandogli di tornare a fare il “soldato semplice”, ovvero esaltarlo spostandolo ad altro uguale o maggiore incarico.

Mastella riteneva che il servizio reso (per cui è stato più volte lodato) lo mettesse al riparo dalle iniziative giudiziarie, almeno da quelle più scomposte. Abbiamo visto come è finita.

Che fare allora per il funzionamento della giustizia, senza contrattazioni e senza furbizie? I nodi strutturali, relativi alla giustizia civile, alla giustizia penale, ma prima ancora all’ordinamento giudiziario, vanno affrontati con coraggio, anche con modifiche della Costituzione. Ne indico un paio.

Separare le carriere. Le passate riforme dell’art. 111 della costituzione e del codice di procedura penale hanno reso completamente diverse le funzioni del giudice, che opera necessariamente come terzo fra parti contrapposte, e del pubblico ministero, che è invece una di queste parti.

Mentre prima il pm era il magistrato garante della correttezza delle indagini svolte dalla polizia giudiziaria e veniva qualificato requirente, era cioè un soggetto operante nella medesima prospettiva del giudice, oggi è invece un inquirente, che ricerca la (sua) verità, e quindi assume fatalmente l’ottica della parte, sia pur pubblica.

Da questo punto di vista i pm influenzano i giudici. A S. M. Capua Vetere l’ordinanza che ha posto agli arresti domiciliari la signora Lonardo Mastella è stata redatta da un giudice; significa qualcosa che tutti (ex ministro incluso) se la prendano invece col procuratore della Repubblica?

Si obietta che l’unità del corpo giudiziario serve a mantenere i pm nell’ottica del giudicante; oggi però si assiste al rischio opposto, e cioè che la mentalità dell’accusa si insinui acriticamente nei giudicanti. Ma quanto giova alla terzietà del giudice sapere che la sua carriera sarà decisa dal collega pm componente del Csm o del Consiglio giudiziario?

Riformare il Csm. Il governo della magistratura va portato fuori dal circuito in base al quale la valutazione, professionale o disciplinare, del magistrato viene effettuata da colleghi che sono espressione di una realtà sindacale. Dieci anni fa la Bicamerale, poi fallita, assegnò i poteri di iniziativa disciplinare a un soggetto autonomo e indipendente (indicato dai presidenti delle camere, o eletto dal parlamento a maggioranza qualificata) e il giudizio disciplinare a un collegio di probiviri (proposta avanzata da Violante, Ds, e da Caruso, An), scelti con criteri che garantiscano l’indipendenza dal potere politico (per es., l’estrazione a sorte da elenchi di soggetti qualificati, formati dal parlamento o dal capo dello stato).

Il giudizio disciplinare deve uscire dal sistema elettivo-sindacale, per il quale la protezione correntizia continua ad avere influenza. Non può proseguire l’anomalia di un organo che assomma in sé le diverse funzioni di legislatore in materia di ordinamento e di disciplina con le sue circolari, di giudice disciplinare con le sentenze dell’apposita sezione, di amministratore con i suoi poteri in materia di nomine e di trasferimenti (e quindi, per il settore di competenza è a un tempo potere legislativo, esecutivo e giudiziario), e che in più dirige la formazione dei magistrati.

Se separazione delle carriere e riforma del Csm esigono la modifica della Costituzione, è invece sufficiente la legge ordinaria per le proposte che seguono:

– organi tecnici per valutare i magistrati. Le commissioni di concorso non risolvono tutto, ma servono a ridurre il potere del Csm, che si troverebbe a decidere sulla carriera in base a pareri autorevoli che ne limiterebbero la discrezionalità e ne accentuerebbero il profilo di professionalità;

– diritto di voto agli avvocati che compongono come laici i consigli giudiziari, anche sulle valutazioni dei magistrati (altrimenti, a che cosa serve la loro presenza?);

– pulizia nel codice di procedura penale da norme inutili, stratificate negli anni, il cui solo effetto è di far perdere tempo ed energie, materiali e umane, senza aggiungere nulla in termini di garanzie (si pensi alla comunicazione di chiusura delle indagini, introdotta nel 1999, che ha moltiplicato fotocopie e notifiche, a scapito della celerità);

– disciplina seria delle intercettazioni, per evitare fughe di notizie e processi mediatici;

– revisione delle circoscrizioni giudiziarie, recuperando risorse dal taglio degli uffici inutili;

– completa informatizzazione del processo civile e delle procedure esecutive;

– giudizio delle controversie per diffamazione promosse da magistrati contro giornalisti effettuato da sezioni specializzate che includano componenti laici, magari giornalisti.

Sono certo che non pochi, a sinistra, condividono senza scandalo gran parte di quanto elencato finora. Il centrodestra deve mostrare di saperlo realizzare e di saper conquistare il consenso di chi, nell’altro schieramento, può fornire il suo contributo in tale direzione.

(A.C. Valdera)