«Il Pci non ha mai voluto fare autocritica»

comunistiAvvenire 14 ottobre 1999

Vittorio Strada: l’intellighentia di sinistra non ha la forza morale per una revisione storica

Marina Corradi

Milano. Che peso ha, dal punto di vista di uno storico, il dossier Mitrokhin? Cosa e quanto cambiano, nella ricostruzione degli ultimi trentanni in Italia, quelle pagine? Risponde Vittorio Strada, studioso di Est e storia sovietica.

«Innanzitutto, in una prospettiva storica, credo che il primo passo di una commissione d’inchiesta parlamentare dovrebbe essere il richiedere alle autorità dell’odierna Federazione russa tutti gli originali riguardanti l’attività del Kgb – servizio segreto della defunta Urss – in Italia. Poi, è possibile che quanto emerge da questi documenti non cambi sostanzialmente molto, rispetto a quanto già sapevamo. Il ruolo di Cossutta nei rapporti con Mosca per esempio non può essere una sorpresa per nessuno. Rimane però una questione molto seria, quella dell’analisi storica di alcuni decenni in Italia, con un approccio critico che non c’è finora stato da parte della sinistra».

Achille Occhetto in un’intervista al “Corriere” ha detto che la Quercia non ha mai voluto fare i conti col proprio passato…

Infatti. Manca nella sinistra di oggi una volontà di revisione storica. Eppure il Pci aveva continuato ad essere filosovietico fino agli anni di Gorbaciov, appoggiando la perestrojka senza vederne per tempo le molte conseguenze disastrose. In questi ultimi otto anni nessuno tra gli eredi del vecchio Pci ha sentito il bisogno di avviare un’autocritica, di prendere nettamente le distanze dal passato.

Quando la sinistra con l’Ulivo vinse le elezioni, Luigi Berlinguer disse in tv: erano cinquant’anni che aspettavamo questo momento…

Una frase evidentemente scappata dal fondo del cuore, che conferma l’incapacità di revisione storica di cui parlo. Ma neanche l'”intellighentia” di sinistra ha saputo elaborare un’autocritica. Non ne ha le forze morali. Non vedo nemmeno i nomi di chi potrebbe avviare un simile processo. Mancano gli uomini e le energie. E il risultato è il clima culturale grigio, stagnante, in cui viviamo.

Il dossier Mitrokhin riporta agli anni Settanta, all’egemonia della cultura della sinistra sui giornali come nelle università. Le sembra credibile che quest’egemonia avesse origine in rapporti organici col Kgb?

Certamente esistevano istituzioni culturali sovietiche legate al Kgb che arruolarono – anche a pagamento – degli intellettuali italiani. Ma a questi “agenti d’influenza” si allinearono un gran numero di intellettuali fedeli a posizioni filosovietiche. E questi operavano spontaneamente, non c’era alcun bisogno di arruolarli o pagarli. Credevano nel mito sovietico. Cosi come poi avrebbero creduto in quello della rivoluzione cinese, e dopo in quello cubano. Questa cultura dominante è passata di mito in mito, senza riuscire a rinnegare mai autenticamente lo stalinismo.

Eppure negli anni Settanta le voci di Sacharov e Solzenycin arrivarono chiare in Occidente…

Ma non furono raccolte. Niente scalfiva, in Italia, il mito del marxismo occidentale; che era poi una versione apparentemente più gradevole, più “liberal”, di quello sovietico. Di questa cultura dominante ci resta addosso ancora oggi l’onda lunga. Quanto è stato, e quanto giustamente, ripetutamente condannato il nazismo. Ma quanto poco s’è parlato dei gulag.

Da molti il dossier Mitrokhin è stato messo in burla, quasi fosse, l’efficienza dei servizi sovietici, una sciocca idea degli anticomunisti.

Il Kgb era un sistema di controllo capillare, una macchina quasi perfetta, anche se con i suoi limiti. Le vere spie, però, non erano molte. C’era invece una grande massa di informatori che semplicemente riferivano del “clima” in un certo ambiente, come per esempio in un’università. Altri “amici” operavano all’interno dei partiti per sostenere la politica estera sovietica. Quanto a quest’ultimo gruppo di “collaboratori “, mi sono spesso domandato come è possibile che il Kgb sia rimasto estraneo a un fenomeno come il terrorismo.

Secondo lei, oggi gli italiani hanno coscienza di cosa avrebbero rischiato, se si fosse finiti nell’orbita dell’Urss?

Credo che non se ne rendano affatto conto. Non sanno quanto di lutti e disastri era appena a poche centinaia di chilometri dal nostro confine. In questa mancata coscienza, molto ha pesato la stampa, e la scuola. Dove quello che io chiamo “antifascismo stalinista” si è così diffuso, da diventare una sorta di senso comune.