La pornografia nel terzo millennio

pornoStoria & Identità, 14 marzo 2008

di Oscar Sanguinetti

1. In un articolo di qualche mese fa — esattamente il 9 aprile 2007 — il Corriere della Sera informava che, secondo una ricerca condotta in Belgio, nei soli Stati Uniti viene immesso «[…] ogni 39 secondi online [un] nuovo video porno».

Il foglio milanese aggiungeva: «Mentre finite di leggere questa frase, 28.258 persone stanno cliccando su una pagina web a contenuto pornografico». «La vasta ricerca del quotidiano dei Paesi Bassi “Het Laatste Nieuws” (HLN) — “Sesso sul web: le cifre nude e crude” — ha raccolto, analizzato e sintetizzato per la prima volta i dati, le statistiche e gli approfondimenti provenienti da istituzioni, agenzie stampa, emittenti e giornali a livello internazionale tra le quali ABC, AP, la Cia, BBC, China Daily, Crimes Against Children, Forbes, MSN, Nielsen/NetRatings, The New York Times, PornStudies, SEC filings, Secure Computing Corp, Yahoo!».

E ancora: «A metà del 2006 sono stati scaricati a livello mondiale 1,5 miliardi tra immagini e video a carattere pornografico — il 35 percento di tutti i downloads».

A seconda del volume d’affari prodotto da tali accessi e scaricamenti è possibile stilare un classifica dei paesi più dediti a questa pratica. Con 20,5 miliardi di euro sono in testa i cinesi, seguiti dai sudcoreani (19,25 miliardi), dai giapponesi (15 miliardi) e dagli statunitensi (9,98 miliardi). Agli ultimi posti gli italiani (soli 12 euro a testa per il sesso in rete); fanalino di coda i belgi (9 euro) e i tedeschi (6 euro).

2. Questo il fatto, ed è difficile non rilevarne la gravità oggettiva. E il fatto suggerisce qualche amara riflessione.

Si vede infatti come dai timidi esordi otto-novecenteschi sotto forma di immagini fotografiche osée, che vedevano per lo più come fruitori aristocratici annoiati, borghesi secolarizzati, studenti dal sangue ardente, soldati dalle protratte astinenze, siamo arrivati — anche grazie al Sessantotto americano, soprattutto californiano — a un autentico e grandioso business globale. Questo commercio, se non si auto-limitasse — per non perdere l’aura di «proibito» che ne propizia de facto il consumo —, invaderebbe il nostro quotidiano come un formaggino o un succo di frutta o una marca di sapone.

Tuttavia dalle botteghe dei barbieri e dal furtivo passamano si è ormai passati a forme di canalizzazione e di commercializzazione sempre più capillarmente invasive, con diversificazioni — dal più o meno «pesante», o hard, fino a forme semi-pornografiche — a seconda del target interessato.

Una diffusione sempre al passo con la tecnologia, che cresce di volume e di penetrazione a ogni evoluzione di quest’ultima, passando da un dato tipo di supporto a uno più nuovo, cioè più moderno: dai «filmini» in bianco e nero destinati ai depravati di inizio secolo — primo salto di qualità: dalle immagini fisse alle immagini in movimento, poi corredate dai «necessari» suoni, con tutto l’«arricchimento» di «effetti» che si può immaginare —, alle riviste patinate degli anni Sessanta-Ottanta — che per la prima volta si potevano trovare in libera vendita nelle edicole —, pensate per le scuole e per le caserme, alle videocassette, e poi ai canali satellitari «dedicati», e ancora ai Cd-Rom e ai Dvd, poi ai telefonini, infine — ma fino a quando? — a Internet con la possibilità di hard-core «casalingo» e le prime esperienze di sesso virtuale, con il passaggio — l’altro autentico «salto di qualità» — dalla visione alla possibilità di simulazione.

E dai motori di ricerca al passaparola l’accesso ai siti pornografici di tutte le sfumature oggi non è più un problema.

Ma anche questo non basta: il «mercato» sta passando infatti da una logica «pull» a una logica «push»: in altre parole dall’offerta all’adescamento. Sempre più spesso capita infatti che si arrivi a contenuti pornografici senza volerlo: o li si trova coperti da innocenti e-mail inviateci grazie al commercio di indirizzi di posta elettronica — che è nato partendo dalle liste degli abbonamenti ai vari provider — o si è guidati forzatamente su siti pornografici oppure, ancora, ci si imbatte in materiali pornografici coperti da titoli innocenti quando si cerca di scaricare illegalmente software o film dalla rete.

La pornografia costituisce oggi una minaccia di massa, un’alluvione, uno tsunami silenzioso ma inarrestabile di fango, un genere di consumo che ha i suoi centri di produzione, i suoi prodotti, i suoi livelli di qualità, la sua logistica distributiva, il suo marketing, le sue fiere, i suoi «saldi», ecc.

3. Quest’abnorme crescita del «fronte del porno» — parodiando il titolo, Fronte del porto, di un celebre film di denuncia sociale di Elia Kazan, con Marlon Brando — è stata costantemente accompagnata da una «copertura» intellettuale che difendeva in maniera oltranzista il diritto alla libertà di pubblicazione, di libero esercizio della sessualità e dei suoi prodromi e introduceva, così come per le droghe, divise in «leggere» e «pesanti», la sottile e devastante distinzione fra hard e soft, fra erotismo e pornografia, fra informazione sessuale e oscenità, fra letteratura e filmografia e prossenetismo di massa.

E, purtroppo, questa alluvione sta avendo effetti devastanti, non solo sui «fruitori» del prodotto pornografico, ma anche sugli «addetti» alla sua fabbricazione e induce una de-moralizzazione diffusa e sempre più radicale dell’intero corpo sociale.

Nei primi favorisce una visione dei rapporti fra essere umani — di quelli più delicati come quelli sessuali e riproduttivi — sbagliata, deformata in senso peggio che animalesco. E l’abbrutimento generato si traduce nell’aumento dei delitti a sfondo sessuale, nel dilagare sempre più sfrontato della prostituzione — di entrambi i sessi, femminile e maschile, adulta e minorile, se non infantile —, nell’abituare le coppie a un tenore di rapporti basato sul piacere e, di conseguenza, fatalmente effimero.

Sempre più numerose sono soprattutto le ricadute sul piano dei reati che della pornografia produce: sfruttamento della prostituzione, riduzione in schiavitù, diffusione degli stupefacenti, turismo sessuale, incremento della pedofilia, sempre più numerose violenze private e familiari — la cui causa non è, come alcune incredibili teorie sostengono, la famiglia in quanto organizzazione gerarchica e quindi, di suo, repressiva, ma la famiglia ridotta in condizioni pietose dall’aggressione cui la sottopongono forze che la vogliono dissolvere, in una prospettiva livellatrice. Cresce quindi il disimpegno e il solipsismo non solo materiale ma, soprattutto, psicologico.

Quanto ai protagonisti, si rileva che la crescita del volume di affari moltiplica il numero degli «addetti» e crea sempre più vittime, volontarie ma più spesso coatte, di organizzazioni, di reti e di circuiti nei quali sono regola la violenza, l’asservimento, l’abbrutimento, la necrofilia, la pedofilia, fino all’autentico sadismo omicida.

4. Ma si tratta solo di business? È sempre il profitto a far da criterio ultimo dell’«impresa»? Se togliamo il profitto, tutto si spegne? O c’è di più?

È difficile trarre delle conclusioni «scientifiche», perché tutto sommato poco si sa — ma non nulla del tutto — delle tenebrose cloache da cui tracima la profluvie di materiale osceno.

Sono però molteplici i sintomi che attestano come sia in atto un’operazione su scala globale e dagl’intenti che vanno al di là del puro guadagno. Come per la droga, la pornografia non sempre è a pagamento e comunque ce n’è «per tutte le borse» e ne esistono svariate graduazioni: dal genere «di iniziazione», alla «leggera» alla «pesante».

Abbonda in maniera straordinaria — per numero di testate, di canali, di siti, di titoli e numero di copie di Dvd e altro materiale —, la si trova ovunque: dalle edicole — forse le più spudorate nell’esibizione — ai sexy shop, ai canali locali «puliti» — autentici «dottor Jekyll», che trasmettono dibattiti e pubblicità fino alle 23, poi cambiano diabolicamente volto, trasformandosi in «mister Hyde» e veicolando un’autentica colluvie di oscenità —, alle bancarelle di libri usati, ai mercati popolari…

In questo interesse a che la pornografia divenga un «normale» oggetto di «consumo» si avverte lo stesso afflato tendenzialmente «disinteressato» che si coglie nella propaganda religiosa, nell’apostolato cristiano: qui ti regalano un santino o un opuscolo, là ti offrono il Dvd sottocosto…

5. Lasciando da parte la voce del sociologo — non perché sia inutile, ma perché credo che il fondo del problema sia altrove —, che per spiegare il fenomeno pornografico farebbe ricorso a categorie come «società dei consumi», «secolarizzazione», liberazione dai costumi patriarcali, «paradigm shift» della mentalità indotto dal processo di modernizzazione, ecc. (1), occorre puntare lo sguardo su una dimensione più profonda, utilizzare categorie analitiche che fanno riferimento a un’antropologia senz’altro religiosa, ma appoggiata su una base metafisica, naturale, che la ragione — purché non si chiuda sul mero dato sperimentale — può cogliere e legittimamente delineare.

In effetti che esista un antico legame fra la pornografia e una sorta di contro-religione para-spiritualistica quando non materialistica tout court, fra violazione intenzionale del pudore e quella che è stata chiamata la «cultura della morte» — se non vero e proprio «culto della morte» —, come punta più «avanzata» della filosofia del nichilismo moderno, è già stato messo in luce (2).

La pratica sfrenata e de-ordinata dell’attività sessuale e il suo sfruttamento è già stata ricondotta a una sorta di iniziazione alla cultura della Rivoluzione per la Rivoluzione, a quell’infrazione di ogni norma morale che teorizza e pratica l’abuso dell’eros perché non diventi agápe (amor fraterno), ma si converta in odio e in tánathos (morte), cioè in fine prematura dell’essere creato da Dio. E questa cultura di morte, che oggi traspare dalle sempre più diffuse pratiche abortistiche, eugenetiche, eutanasiche, trova nelle teorie — e nel modello esistenziale — di Donatien-Alphonse-François de Sade, meglio conosciuto come Marchese de Sade (1740-1814), il suo esponente più rappresentativo e genuino.

Non vi è dubbio che l’assenso e la fruizione della pornografia siano un elemento di sovversione interiore che s’inquadra perfettamente in quella Rivoluzione in interiore hominis che la scuola di pensiero contro-rivoluzionaria chiama «quarta Rivoluzione», in quanto si sviluppa logicamente, non solo cronologicamente, dopo quella nelle strutture, nei suoi aspetti di Rivoluzione religiosa, quindi liberale e infine socialista.

Paiono oggi avverarsi le prospettive di quelli che Paul Ricoeur chiama i «maestri del sospetto» — Sigmund Freud (1856-1939) e Friedrich Nietzsche (1844-1900), in particolare — e degli alfieri della Rivoluzione sessuale — da Georges Bataille (1897-1962) a Wilhelm Reich (1897-1957), a Georg Groddeck (1866-1934), al popolare Erich Fromm (1900-1980) —, che avevano pronosticato un’esplosione immensa — se pensiamo alla traduzione in una pratica viziata e viziosa degli stimoli naturali esasperati prodotti dalla «predicazione» pornografica —, panica, planetaria, di erotismo «selvaggio», de-finalizzato, chiuso, introverso, una eruzione gigantesca di energie «orgoniche» — per dirla con Wilhelm Reich (3) — che vengono così sprecate, sperperate, dissipate, bruciate, attuando così la rottura di ogni gerarchizzazione delle potenze che compongono l’interiorità dell’uomo, segnando, in via di metafora, la morte di Apollo, cioè della razionalità perspicace e dell’autocontrollo calmo, e il trionfo di Dioniso, l’istintualità irrazionale (4)

Si realizza così l’annullamento del confine fra spirito e materia, dell’annegamento dell’individualità — che il neo-gnosticismo, di cui la Rivoluzione sessuale trasuda(5), concepisce come negatività — in un pleroma indistinto di energie ribollenti e vane.

La pornografia, quindi, si può combattere, non solo contenendone le manifestazioni estreme come la pedopornografia, ma punendola, anche se ci si può domandare, viste le cronache, quale efficacia abbiano le misure restrittive quando le norme sono di tenore soggettivistico e de facto sono rese inerti da prassi giudiziarie quanto meno omissive, applicate per di più a una realtà che di giorno in giorno sfugge sempre più agli Stati nazionali e che ha i suoi «santuari» nelle zone del globo più destabilizzate e statualmente deboli.

In realtà anche questo non è sufficiente. La pornografia è una malattia morale — che ha i suoi untori — e va affrontata in radice come tale, cioè attraverso la cura e la «profilassi». Sotto quest’ultimo aspetto è necessaria una lotta intelligente e consapevole, di cui è essenziale che lo Stato divenga protagonista, anche se non protagonista unico, e non solo con la polizia e con la magistratura, pur benvenute.

Si tratta senz’altro di un lavoro lungo e difficile, che deve combattere la cultura di morte retrostante al fenomeno pornografico — di ieri e di sempre — e a incidere su tutto ciò che contribuisce a formare le patologie tipiche della condizione umana della nostra epoca: il vuoto esistenziale, l’assenza di mete per cui valga la pena spendersi, il solipsismo, il naturalismo e il materialismo soffocanti che imperano, l’esautorazione e il dissolvimento della famiglia, la martellante e onnipervadente proposta di messaggi e di modelli esistenziali negativi — una volta si diceva «scandali» —, non solo perché radicalmente al di fuori da ogni logica religiosa, ma perché patentemente nocivi se praticati nella vita reale.

Note

(1) Sull’influenza «ambientale» dell’industria pornografica sui modelli di comportamento sociale negli Stati Uniti è la recente inchiesta di Pamela Paul, Pornopotere. Come l’industria porno sta trasformando la nostra vita, trad. it., Orme Editori, Milano 2007; da segnalare sul tema è anche lo studio di Pietro Adamo, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Cortina, Milano 2004.

(2) Cfr. Massimo Introvigne, Pornografia e Rivoluzione sessuale, Editrice Libreria S. Lorenzo, Chiavenna (Sondrio) 1983

(3) Cfr. ibidem.

(4) Cfr. Michel Maffesoli, L’ombra di Dioniso. Una sociologia delle passioni, trad. it., Garzanti, Milano 1990.

(5) Cfr. Emanuele Samek Lodovici (1942-1981), Metamorfosi della gnosi. Quadri della dissoluzione contemporanea, Ares, Milano 1991.

(A.C. Valdera)