Cento anni ma non li dimostra

Pascendi dominaci gregisIl Timone, settembre-ottobre 2007

Lodata da Benedetto Croce e Giovanni Gentile, temuta dai cattolici in odore di eresia, limpida come un manuale. E’ la magistrale Pascendi dominaci gregis, l’enciclica con cui l’8 ottobre 1907 Papa Pio X condannò duramente il Modernismo

di Alessandro Gnocchi

Il 13 settembre 1907, cinque giorni dopo la pubblicazione della “Pascendi dominici gregis”, il laicissimo Benedetto Croce firmava sul Giornale d’Italia un elogio dell’enciclica con cui Papa Pio X condannava il modernismo. Don Benedetto, coerente con il fatto di non potersi non dire cristiano pur continuando a non esserlo, aveva titolato l’articolo “Insegnamenti cattolici di un non cattolico”.

In ogni caso, arrivava al sodo circa il destino dei modernisti, ai quali non rimaneva che «andare innanzi o tornare indietro. Ossia, o ricongiungersi ritardatari alle schiere dei pensatori non confessionali: o, dopo essersi dibattuti vanamente per qualche tempo, ricadere nel cattolicesimo tradizionale».

Giovanni Gentile, l’altro sommo esponente dell’idealismo italiano, nel volume Il modernismo e i rapporti fra religione e filosofia, faceva altrettanto, se non di più, e scriveva: «in verità l’enciclica “Pascendi dominici gregis” è una magistrale esposizione e una critica magnifica dei principi filosofici di tutto il modernismo. (…). L’autore dell’enciclica ha visto fino in fondo e interpretato esattamente, da critico enunctae naris (“di naso fino”, ndr), la dottrina giacente nelle esigenze filosofiche, teologiche, apologetiche, storiche, critiche, sociali dell’indirizzo modernista».

Sarebbe stato difficile non riconoscere l’importanza di quel documento, data la sua chiarezza da manuale. Sul piano filosofico, spiega San Pio X, il modernismo ritiene impossibile esaminare il problema di Dio. «Tutto il fondamento della filosofia religiosa – scrive nella Pascendi – è riposto dai modernisti nella dottrina, che chiamano dell’agnosticismo.

Secondo questa, lai ragione umana è ristretta interamente entro il campo dei fenomeni, che è quanto dire di quel che apparisce e nel modo in che apparisce: non diritto, non facoltà naturale le concedono di passare più oltre. Per lo che non è dato a lei d’innalzarsi a Dio, nel di conoscerne l’esistenza, sia pure per intromessa delle cose visibili. E da ciò si deduce che Dio, riguardo alla scienza, non può affatto esserne oggetto diretto; riguardo alla storia non deve mai riputarsi come soggetto istorico».

Dunque, secondo i modernisti, la fede nascerebbe da un semplice bisogno esistenziale e non sarebbe altro che un sentimento. La rivelazione stessa sarebbe un sentimento elaborato dal credente. Su questo piano, Cristo è solo il modello più riuscito: è l’individuo la cui coscienza ha prodotto un sistema al quale i cristiani ritengono di dover sottostare.

«Né credasi già che diversa sia la sorte della religione cattolica – dice ancora Pio X. – Anzi in tutto pari alle altre: imperocché non altrimenti essa è nata, che per processo di vitale immanenza nella coscienza di Cristo, uomo di elettissima natura, quale mai altro simile si vide né mai si troverà. Nell’udir tali cose Noi trasecoliamo di fronte ad affermazioni cotanto audaci e sacrileghe!».

Per il modernista la realtà divina ha un senso solo nell’anima del credente, non ha carattere oggettivo. E in proposito Pio X scrive: «Nel sentimento religioso, si deve riconoscere quasi una certa intuizione del cuore; la quale mette l’uomo in contatto immediato colla realtà stessa di Dio, e tale gl’infonde una persuasione dell’esistenza di Lui e della Sua azione sì dentro, sì fuori dell’uomo, da sorpassar di gran lunga ogni convincimento scientifico.

Asseriscono pertanto una vera esperienza, e tale da vincere qualsivoglia esperienza razionale; la quale se da taluno, come dai razionalisti, è negata, ciò dicono intervenire perché non vogliono porsi costoro nelle morali condizioni, che son richieste per ottenerla. Or questa esperienza, poi che l’abbia alcuno conseguita, è quella che lo costituisce propriamente e veramente credente.

Quanto siamo qui lontani dagli insegnamenti cattolici!». L’enciclica esamina anche i rapporti tra scienza e fede e mette subito il dito sulla piaga. Secondo i modernisti, la scienza è libera di fronte alla fede, che ne è invece soggetta. Ciò per il semplice fatto che Dio è immanente all’uomo e le rappresentazioni della realtà divina sono simboliche.

«Così dunque-spiega l’enciclica – si evince essere la scienza affatto libera dalla libera fede; la fede invece, tuttoché si decanti estranea alla scienza, essere a questa sottoposta. Le quali cose tutte, Venerabili Fratelli, sono diametralmente contrarie a ciò che insegnava il Nostro Antecessore Pio IX: “Essere dovere della filosofia, in materia di religione, non dominare ma servire, non prescrivere ciò che si debba credere, ma abbracciarlo con ragionevole ossequio, né scrutar l’altezza dei misteri di Dio, ma piamente ed umilmente venerarla” (Breve al Vescovo di Breslavia, 15 giugno 1857). I modernisti invertono del tutto le parti».

Il lavoro minuzioso sui singolari errori condotto nella “Pascendi” non deve far perdere di vista che il nucleo del modernismo, secondo Pio X, consiste in una sovversione che li somma e li supera tutti: il cambiamento radicale della nozione di verità, mediante l’accettazione del principio di immanenza che sta a fondamento del pensiero moderno.

La conseguenza di quest’errore è la professione della variabilità della dottrina in ciò che essa ha di immutabile. Che fare? «La prima cosa adunque per ciò che spetta agli studi – risponde l’enciclica – vogliamo e decisamente ordiniamo che a fondamento degli studi sacri si ponga la filosofia scolastica.

Bene inteso che, “se dai Dottori scolastici furono agitate questioni troppo sottili o fu alcun che trattato con poca considerazione; se fu detta cosa che mal si affaccia con dottrine accertate dei secoli seguenti, ovvero in qualsivoglia modo non ammissibile; non è nostra intenzione che tutto ciò debba servir d’esempio da imitare anche ai di nostri” (Leone XIII, Enc. Aeterni Patris).

Ciò che conta anzi tutto è che la filosofia scolastica, che Noi ordiniamo di seguire, si debba precipuamente intendere quella di San Tommaso di Aquino: intorno alla quale tutto ciò che il Nostro Predecessore stabilì, intendiamo che rimanga in pieno vigore, e se è bisogno, lo rinnoviamo e confermiamo e severamente ordiniamo che sia da tutti osservato.

Se nei Seminar! si sia ciò trascurato, toccherà ai Vescovi insistere ed esigere che in avvenire si osservi. Lo stesso comandiamo ai Superiori degli Ordini religiosi. Ammoniamo poi quelli che insegnano, di ben persuadersi, che il discostarsi dall’Aquinate, specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno». I successivi insegnamenti del Magistero, che hanno arricchito e approfondito il solco tracciato da Pio X, confermano l’attualità della “Pascendi dominici gregis”. Che ha cento anni e non li dimostra.

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«Alcuni, confidando nel proprio giudizio in ispregio dell’autorità della Chiesa, giunsero a tal punto di temerità che non esitarono a voler misurare colla loro intelligenza perfino le profondità dei divini misteri e tutte le verità rivelate, e a volerle adattare al gusto dei nostri tempi. Sorsero di conseguenza i mostruosi errori del Modernismo, che il Nostro Predecessore giustamente dichiarò «sintesi di tutte le eresie» condannandolo solennemente». (Benedetto XV, Enciclica Ad Beatissimi Apostolorum, 1 novembre 1914).

(A.C. Valdera)