Guerra civile nell’Islam

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Il Sole 24 Ore sabato 20 marzo 1993

Le ultime esplosioni di violenza tra musulmani si spiegano con le divisioni religiose

 L’Occidente è solo l’ultimo avversario esterno ma la resa dei conti è tra i «fedeli»

di Alessandro Corneli

L a nuova ondata di terrorismo a matrice islamica — che nelle ultime settimane ha colpito dagli Stati Uniti all’India, dall’Algeria all’Egitto, dalla striscia di Gaza all’Italia — suggerisce interpretazioni diverse che, pur non escludendosi a vicenda, devono anzitutto tener conto della novità geopolitica degli ultimi anni: l’implosione del sistema comunista russo-europeo. Prima di questo evento, infatti, l’interpretazione prevalente in Occidente era quella di un terrorismo islamico essenzialmente antioccidentale e, quindi, alleato e complice occasionale o strategico dell’Urss e di alcuni Paesi dell’Europa dell’Est.

Ronald Reagan non aveva dubbi a definire come Stati terroristici — cioè Stati i cui apparati ufficiali si servivano di gruppi terroristici o fornivano a essi aiuti e appoggi logistici — la Libia, l’Irak e la Siria. Ma come collocare in questo schema anche l’Iran, il cui fondamentalismo khomeinista preoccupava i dirigenti del Cremlino? In ogni caso, il mutamento di politica di Mosca e dei suoi satelliti fa cadere, almeno per questa nuova fase di terrorismo, quella spiegazione.

Ogni atto terroristico ha una sua dinamica e, dopo una storia lunga più di vent’anni con migliaia di episodi, è impossibile trovare una spiegazione esauriente. L’assassinio avvenuto a Roma di un dirigente dell’opposizione iraniana ha rilanciato la tesi del regolamento di conti — come anni fa era accaduto per episodi analoghi che coinvolgevano i servizi libici alla caccia degli oppositori di Gheddafì —, ma essa è riduttiva o comunque vale solo per alcuni casi. Sempre valida è la tesi della matrice palestinese, che innesta il terrorismo nella lotta arabo-israeliana, soprattutto quando si profilano negoziati. Infine, c’è la spiegazione del Grande Vecchio, dello stratega che ha dichiarato guerra mortale — e santa — all’Occidente e a tutti i suoi valori, dopo che è venuta meno anche la possibilità di un’alleanza tattica con il comunismo.

Eppure il fenomeno del terrorismo islamico ha una storia così lunga che finisce per superare tutte le varianti occasionali e ora ci si chiede in quale direzione si stia muovendo. Xavier Ranfer, in una scrupolosa indagine sulla “nebulosa” del terrorismo mediorientale, condotta cinque anni fa senza particolari tesi preconcette, ponendosi la domanda relativa a quali fossero le forze creatrici del fenomeno, rispose escludendo gli Stati della regione per il motivo che essi non hanno in generale né la coesione né la durata sufficienti per far nascere, addestrare e pilotare delle entità terroristiche con la discrezione necessaria e soprattutto sul lungo periodo. E’ vero che molti di questi Stati hanno fatto ricorso al terrorismo e talvolta l’hanno eretto a elemento della loro politica estera, ma, scriveva Raufer, «sembra tuttavia difficile vedere in essi, a priori, le matrici dei gruppi terroristici attivi».

La risposta di questo studioso era un’altra: il terrorismo mediorientale è l’emanazione diretta di comunità regionali di diversa natura. Soprattutto nelle sue varianti rivoluzionarie, esso è «il prodotto di una cultura» e a «una vocazione transnazionale». Il quadro globale cambia di prospettiva: utilizzati talvolta, e anche spesso, in operazioni antioccidentali, funzionali magari a interessi governativi contingenti, i gruppi terroristici islamici si muovono all’interno della loro cultura, cioè della problematica stessa del mondo islamico, la religione e la Umma o comunità dei fedeli, sulla quale si proiettano i riflessi degli atti terroristici stessi. ,

Un rapido sguardo alla situazione politico-religiosa, dei Paesi a dominanza islamica lo conferma. La comunità musulmana è in realtà frazionata orizzontalmente in parecchi Stati e verticalmente secondo varianti confessionali. Queste ultime sono di due specie: divisioni propriamente religiose e divisioni riguardanti i riti

La principale divisione religiosa passa tra i Sunniti (90% di un totale che sfiora i 900 milioni di fedeli nel mondo) e gli Sciiti (9%). I Sunniti seguono la Sunna (Tradizione dei detti e dei fatti del Profeta) e ritengono in generale che sia possibile adattare il Corano alle diverse situazioni delle varie epoche. Gli Sciiti, invece, presenti soprattutto in Iran, India, Pakistan, Afghanistan, Irak e Yemen, sono i legittimisti di Ali, cugino e genero del Profeta, che si opposero al califfato elettivo sostenendo quello ereditario per cui attendono il ritorno del legittimo erede che ristabilirà il regno della giustizia. Nel frattempo, gli Sciiti si affidano agli imam, depositari dei segreti di Maometto e della luce divina.

Quanto alle divisioni secondo i riti, si distinguono quattro scuole: malechita, hanafita, sciafiita e hanbalita.

Le differenze tra le scuole sono importanti e hanno sempre creato scontri violenti. Il rito malechita è il più formalista e tende a impregnare di sacro la vita giuridica e sociale: è diffuso soprattutto in Africa del Nord. Il rito hanafita, anch’esso diffuso in Africa del Nord, privilegia invece le disposizioni meno rigide della Sunna. Il rito sciafiita, diffuso in Egitto, parte dell’Arabia, Malesia e Costa orientale dell’Africa, privilegia la tradizione giurisprudenziale, la quale è lungi dall’essere unanime, ciò che consente una certa tolleranza. Il rito hanbalita è estremamente formalista e interpreta alla lettera la Chari’a (Legge); sottoposto a persecuzioni, ha dato origine al Wahabismo che si è diffuso in Palestina, Siria e Oman.

Fuori dalle due grandi ortodossie ci sono poi le eresie, cha hanno prodotto negli ultimi anni anche il Khomeinismo. Sia le divisioni religiose sia quelle relative ai riti sono poi spaccate verticalmente tra modernisti e tradizionalisti. Le applicazioni pratiche, politiche, danno quindi origine a una grande varietà di situazioni. Solo la Turchia, la cui Costituzione del 1982 ne fa uno «Stato democratico, laico e sociale», sfugge, ma dopo il crollo dei comunismo in Urss in modo sempre più difficoltoso, al richiamo islamico.

In Marocco, il re, “guida dei credenti”, è finora riuscito a comporre abilmente la monarchia costituzionale (con l’aiuto di una forte polizia) e la religione di Stato rispettosa delle credenze popolari. In Tunisia, dal 1956, il Codice dello statuto personale autorizza il matrimonio civile. In Algeria, trent’anni di dittatura del Fronte di liberazione nazionale hanno portato all’esplosione dell’integralismo del Fronte islamico di salvezza, bloccato nel gennaio dello scorso anno da un colpo di Stato. In Libia, Gheddafì separa la rivelazione coranica, l’appartenenza al mondo arabo e una legislazione che rifiata la legge islamica, ma la sintesi è sempre approssimativa e variabile.

In Egitto, Mubarak cerca di mantenere un difficile equilibrio tra uno Stato che si definisce moderno e democratico e le forze islamiche dei Fratelli musulmani L’Arabia Saudita, deposi­taria spesso contestata dei Luoghi santi, applica un rigoroso puritanesimo. La Siria e l’Irak sono rispettosi tanto dell’Islam che ispira la loro legislazione quanto di un certo pluralismo religioso. In Africa, il Sudan è uno Stato islamico che perseguita le minoranze del Sud. In Pakistan e in Bangladesh l’slam è religione di Stato. L’India, dopo l’uccisione di Rajiv Gandhi, vede ogni giorno crescere contrasti sanguinosi tra induisti, preda anch’essi di fondamentalismo, e musulmani.

L’Afghanistan è diviso tra una vecchia tendenza laicizzante e l’islamismo esaltato dalla resistenza all’invasione sovietica. Solo l’Indonesia, che è il Paese musulmano più popoloso con 170 milioni di abitanti, pratica un Islam tranquillo. La sorte delle repubbliche islamiche dell’ex Urss, attirate competitivamente dalla Turchia e dall’Iran, è ancora incerta.

Ma di fronte a tutta questa varietà permane l’esigenza fondamentale del mondo islamico all’unità. Essa deriva dall’unicità di Dio e dai precetto che i suoi fedeli debbano formare un’unica comunità: la Umma, secondo le parole del Profeta «i credenti sono tutti fratelli».

Qui si innesta l’analisi di Raufer, che può essere aggiornata alla fase successiva alla caduta del comunismo. Esaurite le lotte per l’indipendenza, falliti i nazionalsocialismi, scomparsa l’alleanza tattica con l’Urss e i suoi satelliti, a una parte almeno del mondo islamico sembra sia rimasto un solo nemico: l’Occidente. Ma esso non lo vede soltanto fuori da se stesso, cioè nei Paesi occidentali da colpire e umiliare (si pensi alle invettive di Khomeini, di Gheddafì, di Saddam Hussein), ma soprattutto in se stesso.

I più accesi accusano i più moderati, siano essi al Governo o comunque organizzati, e questi ultimi a loro volta si difendono. In altre parole, la nuova esplosione di quello che in termini occidentali appare come terrorismo potrebbe in realtà essere la manifestazione di una guerra civile che non conosce frontiere all’interno della Umma con centinaia di gruppi organizzati che si battono senza quartiere, in quanto ciascuno si sente depositario della vera fede. Una fede che deve poter trionfare in tutta l’Umma.

Si estende l’influenza sciita e Teheran guida la riscossa

L’attenzione è tornata a concentrarsi sull’Iran come la centrale, o almeno il principale centro, di irradiazione del nuovo terrorismo islamico. L’Iran è prevalentemente sciita e gli Sciiti, diversamente dai Sunniti, attribuiscono un grande valore alla sofferenza, coltivando l’idea della passione come necessaria e liberatrice. Spesso perseguitati, inoltre, gli Sciiti sono diventati particolarmente sensibili alle questioni di giustizia sociale. Ma anche gli Sciiti non sono compatti. Essi si dividono a seconda della fede che portano all’ultimo imam.

Coloro che si riferiscono al XII della serie, scomparso nell’anno 873, sono detti Duodecimani o Imamiti e sono concentrati in Iran; coloro che si arrestano al VII Ismail sono detti Ismaeliani o Settimani. Ma vi sono anche Sciiti zaiditi (i più moderati, numerosi in Yemen del Nord) e Giafanti (si fermano al VI imam e sono diffusi in Siria, ma Hafez el-Assad è Alauita o Nosairita, contestando il decimo, profeta) ed altri ancora.

La caratteristica degli sciiti è la loro fede negli imam, discendenti diretti di Ali e guide “impeccabili e infallibili”. Mentre l’imam sunnita dirige nella moschea la preghiera dei fedeli, l’imam sciita è tale grazie a una emanazione misteriosa che, da Adamo in poi, passa da un imam all’altro. Questa emanazione divina lo rende infallibile e lo garantisce contro ogni colpa. Ogni imam designa per testamento il suo successore, che deve appartenere alla discendenza di Ali. Le discussioni sulla legittimità della discendenza sono alla base delle divisioni fra gli sciiti.

I Duodecimali credono che l’ultimo imam, scomparso all’età di 7 o 8 anni, tornerà alla fine dei tempi per far regnare la giustizia per mille anni e per il momento è “nascosto”. Dal 1501 lo sciismo duodecimale è la religione della Perla, oggi Iran. Queste fede comune agli sciiti dell’ìrak (circa metà della popolazione) e del Libano meridionale. Gli Ismaeliani, combattuti dai Duodedmani, si sono scissi nel corso dei tempi in vari gruppi come i Fatimidi egiziani, gli indiani Khojas i Drusi, ecc.

Dall’infallibilità degli Imam deriva una conseguenza importante: i fedeli devono obbedire ciecamente, fino al sacrificio della vita, agli Imam poiché questo non possono mai peccare né sbagliarsi Mentre il sunnismo fa appello alla ragione umana, lo sciismo ne proclama l’impotenza. Ciò ha conseguenze politiche poiché l’adesione assoluta alla parola degli imam crea un conflitto con il potere temporale. Per questo gli Stati sunniti hanno sempre perseguitato gli sciiti (e Saddam Hussein lo fa ancora), ì quali ne hanno tratto per sé l’immagine di sofferenti e perseguitati ma fino a rovesciarla ed esaltarla.

Perseguitati, gli Sciiti sono anche persecutori, ad esempio nei confronti dei mistici del sufismo che rifiutano gli imam mediatori. Con l’avvento di Khomeini, gli Sciiti hanno rappresentato l’Islam trionfante dei poveri e degli oppressi e hanno ripreso con maggior vigore la loro battaglia contro i dissidenti, attenuando però i contrasti con i fratelli mussulmani e soprattutto contro i sunniti, in qualsiasi parte del mondo.

AI.C.