Le nuove forme del peccato sociale

Gianfranco Girotti

Monsignor Gianfranco Girotti

L’Osservatore Romano, 9 marzo 2008

A colloquio con il reggente della Penitenzieria a conclusione del Corso per confessori

di Nicola Gori

Manipolazioni genetiche; inquinamento ambientale; sperequazioni sociali; insostenibile ingiustizia sociale:  ecco le nuove forme di peccato affacciatesi all’orizzonte dell’umanità, quasi come corollario dell’inarrestabile processo di globalizzazione. Una sfida nuova anche per un dicastero, quello della Penitenzieria Apostolica, che fa fatica a riaffermare persino il proprio ruolo in un’epoca in cui viene meno la stessa percezione del peccato.

Monsignor Gianfranco Girotti, vescovo reggente della Penitenzieria, ne parla in questa intervista rilasciata a “L’Osservatore Romano”, all’indomani della conclusione del corso per confessori.

La Penitenzieria Apostolica sembra un oggetto misterioso per l’opinione pubblica, ma anche per buona parte dei fedeli.

Quanto afferma, purtroppo, ha un riscontro nella realtà. Pur essendo attualmente il più antico organismo della Curia romana – dopo la soppressione della Dataria, avvenuta nel 1967 e della Cancelleria, avvenuta nel 1973 – è poco conosciuto persino da grande parte del clero. Il motivo forse va ricercato nel fatto che la sua attività rifugge da quella visibilità che è più legata ai compiti degli altri dicasteri.

La Penitenzieria Apostolica, tra i dicasteri della Curia romana, infatti, è quella che svolge, in maniera sempre diretta, un’attività propriamente spirituale, la più consona con la missione fondamentale della Chiesa, che consiste nella salus animarum. È l’organo universale ed esclusivo del Pontefice in materia di foro interno.

Si ricorre al foro interno non solo per i peccati, le censure e le irregolarità, ma in genere per situazioni occulte, come ad esempio dispense, sanazioni, convalide di atti nulli derivanti da circostanze occulte. Esamina, inoltre, e risolve i casi di coscienza che le vengono proposti. Risolve dubbi in materia morale o giuridica, quando si tratta di circostanze occulte o di fatti concreti individuali.

Qual è il valore delle vostre risposte?

Si tratta propriamente di un valore autoritativo – a seconda dei casi, precettivo o liberatorio – solo per le circostanze reali e singolari che vengono proposte e non invece per gli altri casi, ma che agli altri quelle risposte possono estendersi come criterio prudenziale. Cioè gli orientamenti dottrinali e disciplinari inclusi nelle soluzioni stesse possono essere con prudenza applicati dal sacerdote che si è prestato a fare il ricorso, per analogia, in un ambito più largo, in nessun caso però è permesso di divulgare quelle risposte.

Ha ancora un senso un organismo come la Penitenzieria dal momento che sembra creare dei problemi a livello ecumenico?

Trovo difficile cogliere le ragioni e i motivi obiettivi di questo presunto disagio che la Penitenzieria creerebbe sul piano ecumenico. Se si intende riferirsi all’errore storiografico circa il perdono, che fin dall’epoca rinascimentale non ha agevolato certo la corretta discussione ecumenica, basterebbe confrontarsi con la recente e ricca documentazione di insospettabili studiosi che fanno emergere assai onestamente la funzione di questo dicastero, ritenuto la vera “fonte di grazia”, privo di qualsivoglia interesse.

L’attenzione al peccato parte da una sensibilità alle esigenze della società moderna o si muove sulla base di riferimenti del tempo passato?

Il riferimento è sempre la violazione dell’alleanza con Dio e con i fratelli e i riflessi sociali del peccato. Se ieri il peccato aveva una dimensione piuttosto individualistica, oggi esso ha una valenza, ha una risonanza, oltre che individuale, soprattutto sociale, a causa del grande fenomeno della globalizzazione. In effetti, l’attenzione al peccato si presenta più urgente oggi di ieri, proprio per i suoi riflessi che sono più ampi e più distruttivi.

La Penitenzieria serve ancora?

Senza dubbio. In un’epoca caratterizzata dall’immagine e dalla pubblicità, in cui tutto diventa pubblico, un dicastero, come la Penitenzieria Apostolica, attento al mondo interiore, nel suo versante più delicato e meno visibile, credo che, nel quadro articolato della vita della Chiesa, sia uno strumento molto prezioso.

Quali questioni attirano maggiormente la vostra attenzione?

Sono quei delitti di cui, per la loro gravità, la Santa Sede si è riservata l’assoluzione:  l’assoluzione del proprio complice in peccato contro il VI comandamento (canone 1378); la profanazione sacrilega del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia (canone 1367); la violazione diretta del sigillo sacramentale (canone 1388, 1); la dispensa da irregolarità ad recipiendos Ordines contratta per procurato aborto (canone 1041, 4); la dispensa da irregolarità ad exercendos Ordines (canone 1044 1).

Come interpreta la meraviglia che l’opinione pubblica prova di fronte a tante situazioni di scandalo e di peccato nella Chiesa?

Non si può sottovalutare l’oggettiva gravità di una serie di fenomeni che sono stati di recente denunciati e che portano con sé i risvolti della fragilità umana e istituzionale della Chiesa; al riguardo, però, non si può non constatare come essa, preoccupata del grave danno infertole, ha reagito e continua a reagire con rigorosi interventi ed iniziative a tutela della immagine della Chiesa stessa e per il bene del popolo di Dio. Tuttavia, occorre però anche denunciare l’enfatizzazione loro data dai mezzi di comunicazione, che, nel quadro di una mondanizzazione, gettano discredito sulla Chiesa.

A volte l’indulgenza della Chiesa e il perdono cristiano non vengono compresi dalla gente. Perché secondo lei?

Oggi sembra che la penitenza venga colta come apertura di sé all’altro nella soluzione di problemi che si impongono all’attenzione entro quel raggio sociale, all’interno del quale si esprime la propria esistenza, offrendo il proprio contributo di chiarimento, di sostegno a chi è in difficoltà. La penitenza, dunque, oggi viene colta prevalentemente in dimensione sociale, dal momento che le relazioni sociali si sono indebolite e complicate al tempo stesso a causa della globalizzazione.

Quali sono i nuovi peccati secondo lei?

Vi sono varie aree all’interno delle quali oggi cogliamo atteggiamenti peccaminosi nei riguardi dei diritti individuali e sociali. Innanzitutto l’area della bioetica, all’interno della quale non possiamo non denunciare alcune violazioni dei fondamentali diritti della natura umana, attraverso esperimenti, manipolazioni genetiche, i cui esiti è difficile intravedere e tenere sotto controllo.

Un’altra area, propriamente sociale, è l’area della droga, attraverso cui si indebolisce la psiche e si oscura l’intelligenza, lasciando molti giovani al di fuori del circuito ecclesiale. Ancora:  l’area delle sperequazioni sociali ed economiche:  nelle quali i più poveri diventano sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi, alimentando una insostenibile ingiustizia sociale, l’area dell’ecologia, che riveste oggi un rilevante interesse.

Il frequente ricorso alle indulgenze non incentiva una mentalità magica nei confronti della colpa e della pena?

Per non cadere in una tale pericolosa e falsata visione, ritengo anzitutto che sia assolutamente necessario conoscere e comprendere la retta dottrina della pratica delle indulgenze, intesa dalla Chiesa come espressione significativa della misericordia di Dio, che viene incontro ai suoi figli per aiutarli a soddisfare le pene dovute ai loro peccati “ma anche e soprattutto per spingerli ad un maggior fervore di carità”.

La Chiesa è mossa in primo luogo dal desiderio di educare, più che alla ripetizione di formule e di pratiche, allo spirito di preghiera e di penitenza e all’esercizio delle virtù teologali. La riforma del servo di Dio Paolo VI, attuata con la Costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina del 1° gennaio 1967, elimina , in qualche misura, quanto poteva indurre il fedeli verso una mentalità magica.

Tale dottrina espone chiaramente i presupposti teologici delle indulgenze, tratta della solidarietà che vige tra gli uomini in Adamo e in Cristo, della comunione dei santi, del tesoro della Chiesa, consistente nelle espiazioni e nei meriti di Cristo, della Beata Vergine Maria e dei santi, che sono messi a disposizione dei fedeli. Le indulgenze, infatti – viene sottolineato – non possono essere acquistate senza una sincera conversione e senza l’unione con Dio, a cui si aggiunge il compimento delle opere prescritte.

Non le sembra che le condizioni per ottenere l’indulgenza siano lievi?

Se, insieme alle condizioni solitamente imposte – confessione sacramentale non oltre 15 o 20 giorni prima o dopo, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Pontefice – si pensa che per acquisire l’indulgenza viene richiesto un grado di purezza eminente e segni di ardente carità, il cui successo rimane difficile alla nostra fragilità, allora riterrei che quanto stabilito non sia proprio da minimizzare.

Ci sono dei peccati che voi non potete assolvere?

La Penitenzieria è la longa manus del Papa nell’esercizio della potestas clavium. Pertanto, per realizzare le funzioni che tiene assegnate nel foro interno, possiede tutte le facoltà necessarie, con la sola eccezione di quelle che il Pontefice abbia dichiarato espressamente al cardinale penitenziere di voler riservare a sé. Può di conseguenza, compiere, nell’ambito del foro interno, tutti gli atti di competenza dei restanti dicasteri della Curia romana.

Sull’aborto si ha la sensazione diffusa che la Chiesa non tenga in considerazione la difficile situazione delle donne.

Mi pare che una siffatta preoccupazione non tenga in alcun conto l’atteggiamento che invece la Chiesa costantemente manifesta proprio nel salvaguardare e tutelare la dignità e i diritti della donna. Molteplici, infatti, sono le iniziative che organismi cattolici e movimenti ecclesiali, con impegno coraggioso ed intelligente, non cessano di promuovere, al fine di contrastare le odierne tendenze culturali e sociali contro la donna, aiutando, in maniera efficace le madri nubili, adoperandosi per l’educazione dei loro bambini messi al mondo per imprevidenza e facilitando perfino l’adozione.

(A.C. Valdera)