Dominus Iesus. Il dialogo non è un compromesso

Dominus_IesusEditoriale del settimanale Tempi

Lo scopo del dialogo cattolico con le altre religioni non è un compromesso circa quello che si crede, ma la collaborazione per la difesa della persona e della libertà da ogni potere, sia esso di establishment religioso o di Stato laicista. Un canonista cattolico, di origini ebraiche e passaporto israeliano, confuta le critiche alla dichiarazione della Santa Sede: la verità, dice, è che si vuole negare ai cattolici la libertà di credo.

Colloquio di Rodolfo Casadei con David Jäger.

Con la Dominus Iesus, la Chiesa cattolica dice di aver inteso ribadire i fondamenti della propria fede, la verità in cui crede, il significato della propria missione nel mondo. Ma allora perché tanto scandalo fra molti commentatori?

In realtà non esiste nessuna ragione per uno scandalo. La Dominus Iesus non fa altro che ripetere la fede cristiana e cattolica di sempre, e cioè che Gesù Cristo è la rivelazione vera, completa, definitiva e salvifica di Dio. E che il modo in cui Dio vuole che tutti gli uomini partecipino di questa salvezza è precisamente l’incorporazione in Cristo mediante la Chiesa, suo corpo mistico, e ciò attraverso la fede e il sacramento del battesimo.

Negli Atti degli apostoli parlando l’apostolo Pietro ammonisce che “non c’è altro nome sotto il cielo dato agli uomini per mezzo del quale possano essere salvi” se non quello di Dominus Iesus, unico mediatore tra Dio e gli uomini.

Si è parlato di tradimento del Concilio Vaticano II…

L’insegnamento specifico del Concilio Vaticano II sottolinea da una parte la necessità di un dialogo tra cristiani – cioè tra i cattolici e i fratelli separati- come mezzo preferito per ottenere il ritorno dei fratelli separati all’unità della Chiesa; dall’altra auspica il dialogo interreligioso, riconoscendo che nelle religioni dell’umanità ci sono elementi di verità e invitando i cattolici a tessere rapporti con i seguaci delle altre religioni per promuovere insieme valori comuni come la pace e l’amicizia tra popoli.

Il problema è che questa apertura al dialogo è stata interpretata come se la Chiesa avesse abbandonato la propria certezza, fede e missione, accettando un certo duplice relativismo religioso: un certo relativismo corrente nel mondo cristiano – e coerente tra alcuni protestanti – il quale ritiene che la Chiesa di Cristo non esiste più, che si è frantumata nelle varie cosiddette denominazioni esistenti e che l’unità della Chiesa è una cosa tutta da costruire ricongiungendo i frammenti o le parti divise; e poi un relativismo procedente da alcuni protagonisti delle religioni non cristiane, i quali sarebbero stati indotti a pensare che la Chiesa abbia accettato di ritenere che la verità definitiva su Dio non si può conoscere e quindi di dialogare per mettere insieme le nostre separate intuizioni.

Ecco, tanta gente, cristiani e non, sono caduti in questo errore, anche a motivo dell’irenismo dei dialoganti cattolici che non andavano più ripetendo il presupposto del loro dialogare, cioè la verità sull’unità e unicità di Cristo e della Chiesa.

Dunque, in un certo qual modo si potrebbe parlare di uno “scandalo salutare”…

Sì, d’altra parte il cristianesimo non è forse stato uno scandalo fin dal primo momento? In parte le persecuzioni contro i cristiani nel mondo greco-romano si spiegano così: che a diferenza di ogni altra religione, i cristiani non solo non accettavano l’annessione del loro Dio fatto uomo al pantheon politeistico, ma insistevano nello stesso modo in cui insiste oggi la Dominus Iesus nel sostenere che l’unico salvatore è Gesù Cristo.

Lei dice che questo scandalo è scontato per un aspetto e ingiustificato per un altro, perché la Chiesa ha sempre detto queste cose. Ma non c’entra qualcosa il Concilio Vaticano II?

Nei testi del Concilio Vaticano II non c’è alcuna ambiguità. Che ognuno vada a rileggersi la Lumen Gentium, il decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio, la dichiarazione sulle religioni non cristiane Nostra Aetate: vi troverà precisamente tutto quanto la Santa Sede ha sempre ribadito. Solo una crassa ignoranza dei documenti conciliari può giustificare le attuali critiche alla Dominus Iesus.

Detto ciò, si deve pure ammettere che da parte di alcuni cattolici ci sono stati atteggiamenti ambigui e forieri di malintesi. Io stesso ne sono testimone: ho passato tre anni della mia vita nel consiglio di direzione di un istituto ecumenico abbastanza celebre che raccoglieva teologi cattolici e protestanti e ho constatato personalmente sia le interpretazioni da parte di alcuni amici protestanti, sia le ambiguità, gli errori e le incertezze da parte dei colleghi cattolici. Per questo la Dominus Iesus è rivolta anzitutto ai cattolici per insegnare loro che cosa la Chiesa crede e insegna e le conseguenze pratiche che ne derivano.

Alcuni commentatori osservano però che in un mondo in via di globalizzazione, un mondo multiculturale e pluralista, un certo relativismo è necessario per rendere possibile la convivenza tra religioni e popoli diversi, mentre l’affermazione di una sola verità sarebbe foriera di violenze e di conflitti…

Un’affermazione del genere è illogica. Che legame c’è tra l’affermazione della verità su Dio e sull’uomo e l’istigazione alle guerre e alla violenza?

Pace, amicizia e libertà sono precisamente le condizioni nelle quali ciascun partecipante al dialogo può liberamente esprimere quello in cui crede: mentre si riconosce che in materia di opinione circa la verità ultima la coscienza umana gode di autonomia e di libertà e non può mai essere sottoposta ad alcuna coercizione o pressione in nome della verità stessa, – che è il contenuto della grande dichiarazione della Dignitatis Humanae del Vaticano II – una società fraterna, libera e pacifica è proprio quella in cui i cristiani possono liberamente spiegare le ragioni della loro speranza e i contenuti della loro fede, così come lo possono fare ebrei, musulmani, induisti, buddisti e membri di qualunque altra religione, senza che ciò possa procurare pressioni da parte della società, o dello stato, o alcuna interferenza da parte del potere civile.

Alcuni esponenti del mondo protestante e del mondo ebraico hanno detto che dopo la Dominus Iesus non è più possibile il dialogo perché in questo documento si troverebbe un’idea di dialogo inteso come preparatorio alla conversione altrui e comunque tra soggetti che non sono in condizioni di parità, perché uno dice di possedere la verità anche per l’altro. Come si commentano queste posizioni?

Quelli che sollevano queste strane obiezioni dicono in altre parole che la condizione del dialogo è che essi possano dettare alla Chiesa cattolica cosa deve credere per poter dialogare con loro. Non le sembra il colmo dell’assurdità?

Mi pare del tutto ragionevole che la Chiesa cattolica si presenti al dialogo dicendo: «io credo così, io credo in Dominus Iesus, unico mediatore tra Dio e l’uomo, credo nella necessità del Battesimo e dell’incorporazione alla Chiesa per la salvezza, credo che la Chiesa che Gesù Cristo ha fondato sussiste pienamente nella Chiesa cattolica e solo in questa. Questo è quello che io credo, naturalmente tu credi diversamente, altrimenti saresti cattolico.Tu ebreo, ad esempio, non credi che Gesù sia il verbo di Dio incarnato. Quindi neghi che in Gesù il primo Testamento trovi compimento, questo è quello che tu credi.

Tu credi che la prima Alleanza non sia ancora compiuta, che il Messia non è ancora venuto, quindi le nostre credenze sono diverse e in parte contrapposte». Questa è la premessa del dialogo. Se non fosse così non ci sarebbe bisogno di parlare: è proprio perché non siamo d’accordo sulla verità che abbiamo deciso di entrare in dialogo. Il dialogo ci chiede di identificare con precisione su cosa siamo in disaccordo e su che cosa, invece, siamo d’accordo.

Per esempio, nel dialogo con gli ebrei ci troviamo d’accordo che l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio ed è quindi dotato di una dignità eminente, alla quale sono inerenti diritti ed esigenze che è giusto soddisfare. Ora naturalmente io cattolico che dialogo con te ebreo non posso nasconderti la mia speranza che, in qualche modo, io direi “per grazia divina”, l’esperienza del dialogo abbia un influsso su di te e faciliti la tua conversione. Non è che io passo il tempo del dialogo esortandoti alla conversione – il dialogo ha altri contenuti che ho appena descritto – però è certo che la mia speranza è che tu ti converta.

Perché questa è la missione della Chiesa, questo è il cristianesimo: un invito a tutti gli uomini a riconoscere Gesù come il Salvatore nostro e a diventare membri del suo Corpo, la Chiesa. Se questa speranza ti disturba al punto di non voler più dialogare con me, è una tua decisione autonoma che io rispetterò. Ma non potrai dire che io non voglio dialogare. Con il protestantesimo il dialogo ecumenico è molto diverso, in quanto parte dalla constatazione che i fratelli separati hanno credenze diverse da quelle della Chiesa cattolica, però le cose che ci uniscono sono più importanti di quelle che ci dividono.

Il dialogo ecumenico dice così: «Cerchiamo di risalire alle grandi fondamenta della fede che ci uniscono e a partire da queste pensiamo gli argomenti che ci dividono».

Naturalmente noi ci presentiamo francamente al dialogo ecumenico dicendo: »Noi non crediamo che la Chiesa sia ancora da fare, noi crediamo che la Chiesa c’è e che siete voi che vi siete separati dalla Chiesa e noi speriamo che al termine del cammino dialogale anche voi possiate essere d’accordo con noi». Analogamente loro si presentano al dialogo ecumenico dicendo : « Noi crediamo che la Chiesa non esiste, come realtà organica, societaria in questo mondo, e vogliamo ripercorrere la via della rivelazione con voi cattolici nella speranza che facendolo, voi vi rendiate conto che noi abbiamo ragione».

E’ per questo che c’è dialogo: perché noi diciamo di avere ragione e loro dicono di avere ragione. La posizione è simmetrica. E’ vero che una confessione protestante che viene al dialogo non dice «io sono la Chiesa e solo io lo sono» come diciamo noi. Ma ugualmente possiede una certezza analoga alla nostra al contrario, la certezza che la Chiesa non c’è.

In conclusione, sommando tutte queste critiche infuriate alla Dominus Iesus dovremmo, forse dedurre che i cattolici devono essere privati del diritto di libertà di religione perché credono in quello in cui credono? O che la Chiesa dovrebbe autonomamente privarsi della libertà di esprimere pubblicamente la propria fede?

Se ci si pensa un momento, si vede che è proprio questo che -come ai tempi dell’antichità greco-romana- alcuni vorrebbero dai cristiani: che accettassero una volta per tutte di annettere il loro Dio al pantheon dei tanti déi. Ma è proprio questo ciò che non è accaduto e non accadrà mai. Proprio nelle prime pagine dell’ultimo libro di don mons. Luigi Giussani, “L’autocoscienza del cosmo”, si legge questa critica a un certo tipo di dialogo interreligioso.

«Tutto l’ecumenismo di adesso, che poggia la sua argomentazione sul fatto che tutte le religioni sono simili, che tutte le espressioni religiose si equivalgono, che tutto l’affermarsi del cuore dell’uomo ha lo stesso valore, dimentica semplicemente che Dio è nato bambino, è nato come un uomo e che è seguendo questo uomo che si capisce cos’è il cuore, il senso religioso, la ragione, il destino, cos’è tutto».

Non è proprio questo che dice la dichiarazione Dominus Jesus, che dice il Nuovo Testamento, che dice il cristianesimo dal primo momento in cui è entrato nel mondo? Dio, l’Eterno, è voluto nascere nel mondo come un bambino, ed è proprio seguendo questo bambino – che cresce e diventa uomo, insegna, soffre, ride e piange, muore e risorge- che si sa chi è Dio; è seguendo Lui che si sa tutto su Dio e sull’uomo.

E’ proprio questo che ha attirato al cristianesimo e alla Chiesa tutte le sfrenate persecuzioni, – sanguinose in passato, incruente come queste critiche oggi – perché osiamo credere che Dio s’è fatto uomo ed è entrato in persona nella storia degli uomini.