La paura della differenza

disuguaglianzaPubblicato su Alezeia (alezeia.wordpress.com),
Venerdì 17 Ottobre 2008

L’eterna illusione del comunismo. Perché la differenza fa tanto paura, specie a sinistra?

Ikzus

Sono mesi ormai che i media ci bombardano con l’allarme razzismo, almeno da quando il governo ha tentato di affrontare l’emergenza criminalità, mettendo a fuoco tra l’altro la situazione totalmente assurda degli zingari.Sappiamo tutti come stanno le cose: a parte rare eccezioni, si tratta di gente che vive spesso di espedienti, e molto più spesso di reati, ponendosi sistematicamente al di fuori della legalità anche su questioni banali quali l’abitazione e la responsabilità verso i figli.

Fa ridere confrontare un sistema giuridico sempre più arzigogolato ed utopistico (vedi le sentenze che obbligano i genitori a mantenere i figli adulti, o le ultime normative sull’ambiente) con queste centinaia di migliaia di persone che vivono in condizioni animalesche, e spediscono i figli non a scuola ma sulle strade. Ma per la sinistra dire queste cose, e cercare di affrontarle, è discriminazione, anzi, razzismo.

Allo stesso modo viene stigmatizzata la proposta della Lega di istituire classi differenziate per i bambini che non sanno l’italiano: apriti cielo! Per Liberazione si tratterebbe addirittura di una norma “fuorilegge” (come possa una legge essere fuorilegge …), mentre il Manifesto titolava in prima pagina “Razzismo in cattedra”.

Invece lo scrittore Sandro Veronesi, pur essendo di sinistra e pur non condividendo la proposta, spiegava bene questa situazione sul Corriere («Le aule per immigrati ci sono già. Capisco gli italiani che scappano»), mentre il Sole24Ore dava pragmaticamente alcune cifre: quasi 600.000 alunni stranieri, 166 nazionalità, e specie al nord classi con il 50% di bambini non italiani. Dunque il problema esiste, e come nel caso degli zingari, serve a poco ignorarlo.

Si capisce che anche questo fa parte del gran gioco della politica: se la maggioranza dice bianco, l’opposizione si sente in dovere di dir nero, specie quando scarseggiano argomenti e visioni alternative. E si capisce anche il tentativo di trasferire la lotta politica nelle piazze, visto che le aule istituzionali offrono poche chances, ed i sondaggi arrivano ormai vicini al 70% di popolarità del governo in carica.

Anche la rivolta contro la cosiddetta ‘riforma Gelmini’ (il terzo argomento che campeggia sui fogli sinistri nelle ultime settimane) risponde innanzitutto a logiche di tattica politico-demagogica. È anche vero che, in questo caso, ci sono in aggiunta almeno un paio di motivazioni squisitamente sindacali: intanto, la necessità per la CGIL di un successo d’immagine dopo la batosta Alitalia; in secondo luogo la difesa degli interessi corporativi della casta degli insegnanti.

Confesso che non so dire se oggi sia meglio il maestro unico o il team formativo (o come cavolo si chiama); so però che la mia mamma maestra, nei primi anni di insegnamento su per i monti piemontesi, spesso aveva due e anche tre classi contemporaneamente, eppure ha tirato su fior di futuri medici, ingegneri e professori.

Quando, di fronte al diminuire dei bambini per il calo demografico, il sindacato impose la moltiplicazione delle cattedre, mia madre lasciò l’insegnamento, schifata. Fu una questione esclusivamente di posti di lavoro, ed anche oggi è così; però fu anche la certificazione finale che la scuola era innanzitutto per gli insegnanti, non per i bambini; cos’, il tornare indietro ha un significato che va al di là dei posti di lavoro che si perderanno (un po’ come nel caso Alitalia, portata allo sfascio essenzialmente dal sindacato), è una vera e propria restaurazione.

E che si tratti di restaurazione, lo si vede bene da due provvedimenti della Gelmini tra i più bersagliati: l’obbligo del grembiule, ed il voto di condotta. È paradossale che la sinistra si opponga al grembiule, dal momento che è stato pensato – giustamente – per frenare l’idiozia consumistica (della madri, prima che dei figli) che ha trasformato le aule in sfilate di capi firmati; paradossale, se non fosse un ritorno al passato, un dover ammettere: “Ci eravamo sbagliati”.

Nel caso del voto di condotta c’è, oltre a questo aspetto, anche il timore del giudizio, o meglio, il rifiuto della responsabilità: è il ribaltamento completo della follia del ‘6 politico’. Anche il ritorno dai giudizi verbali alla votazione numerica da fastidio, sempre per lo stesso motivo. Per alunni, genitori e insegnanti invece è una benedizione – d’ora in poi eviteremo penose richieste di traduzione della pagella: “Cosa intendeva, cara signora maestra, con ‘obiettivo didattico quasi pienamente raggiunto?” – “Otto e mezzo, signora”.

Ecco, il punto è questo: le differenze ci sono, eccome, e mascherarle o fingere di non vederle non cambia la realtà. Gli uomini – dal cristianesimo in poi, e dove il cristianesimo si è fatto civiltà – sono uguali in dignità; e diversi in tutto il resto. Per la sinistra, invece, l’uguaglianza assoluta ha il valore di un dogma intoccabile, è un vero mito fondativo.

Per questo la meritocrazia è inaccettabile; per questo, ad esempio, la scuola ha sempre rifiutato ogni tentativo di valutazione degli insegnanti – ed analogamente il sindacato in tutti gli altri ambiti lavorativi. Si tratta di una specie di ‘discriminazione negativa’, un non accettare la differenza per principio.

Naturalmente, per sostenere questa posizione è necessario negare la realtà, ed avviarsi verso una deriva utopistica; così, ad esempio, il problema non sono i bambini zingari agli incroci delle strade, ma il ‘razzismo’ di chi non accetta questa situazione: perché i bambini, si sa, sono tutti assolutamente uguali!

Allo stesso modo, si preferisce lasciare i rom a marcire nelle loro bidonville, pur di non ammettere che la loro emarginazione è voluta e dovuta soprattutto a loro – in una parola: che sono DIVERSI! E se un bambino – poniamo cinese – arriva in prima media senza sapere l’italiano, che facciamo? Chiudiamo gli occhi e le orecchie?

Per assurdo, il rifiuto della responsabilità personale può portare davvero al razzismo, o alla xenofobia: infatti, tra gli immigrati ci sono dei delinquenti, ma anche tanta brava gente: occorre distinguere, appunto, DISCRIMINARE.

Se ciò non è permesso, dal momento che certamente ci sono degli immigrati delinquenti, logica conseguenza è che TUTTI gli immigrati sono delinquenti! Ma niente paura, anche a questo c’è rimedio: basta eliminare il concetto stesso di delinquente; tanto, è sempre colpa della società.