Quel vizio antico di ritenersi i migliori

politiche_2008 Avvenire – 17 aprile 2008

Sinistra è bello, democratico, giusto. Destra, è fascista e ignorante. Cattolico poi è, ovviamente, oscurantista – a meno che non sia cattolico “democratico” e progressista, meglio ancora se in conflitto con le gerarchie della Chiesa. E’ il leit motiv del pensiero unico “progressista”, che questa volta ha avuto un pessimo risveglio.

di Marina Corradi

Dopo il vertice del Pd, l’ex ministro Gentiloni sintetizza l’analisi del voto: «Non abbiamo intercettato il consenso del Nord perché è prevalso un sentimento diffuso di risentimento soprattutto nei confronti dei provvedimenti del governo, che non sono stati capiti». Dove ciò che colpisce, e che d’altronde ricorre con qualche variante come un leit motiv nei commenti politici, è che quelli che «non hanno capito» so­no sempre gli elettori.

Non hanno capito Prodi, e nemmeno Veltroni; o, lamenta la Sinistra Arcobaleno, «ci hanno interpretati come un residuato ». Errori di ‘interpretazione’, equivoci, misundertanding, per la sinistra sconfitta stanno tutti dalla parte degli elettori. Che, pare di comprendere, in certe valli e città del Nord – e anche del Sud – devono essere un po’ ottusi. O peggio.

Le lettere su ‘Repubblica’, trasudano amarezza. «Accorgersi che l’ignoranza è il più letale dei mali, e che in Italia abbonda, e che l’Italia ha trovato qualcosa di più divertente da fare che onorare i valori della Resistenza», geme una lettrice. «Mi aspettavo più coscienza. Credo che tutti abbiano votato chi prometteva più furberie, più scappatoie», scrive un’altra. Come a dire che la maggioranza degli italiani si è rivelata, il 13 aprile, ignorante, incosciente, fascista e furbetta. La supponenza di essere – cultura e politica della sinistra – superiore, per definizione e per sempre.

A fronte di ciò, il pessimo ri­sveglio davanti alla vittoria di Berlusconi, e all’esplosione addirittura della Lega. Incredibile. Nei giornali giusti, fra le grandi firme, non se ne era avuto sentore. Anzi: Eugenio Scalfari, grande maestro del giornalismo democratico e corretto, aveva annunciato un suo presentimento: «Con avversari di questo livello non si può perdere. Gli elettori cominciano a capirlo. Io sono pronto a scommetterci». Intanto, gli elettori andavano convincendosi esattamente del contrario.

Le maggiori testate italiane da molto tempo sono ispirate da un pensiero pressoché unico. È un fatto anche generazionale: buona parte degli uomini e delle donne che oggi dirigono questi giornali o ne firmano i commenti più autorevoli, si sono formati negli anni Settanta. Magari poi da quella cultura hanno preso le distanze, ma ne mantengono un imprinting indelebile: sini­stra è bello, democratico, giusto. Destra, è fascista e ignorante. Cattolico poi è, ovviamente, o­scurantista – a meno che non sia cattolico ‘democratico’ e progressista, meglio ancora se in conflitto con le gerarchie della Chiesa.

Questo spiega lo sbalordimento collettivo dopo il referendum sulla legge 40. E anche un po’ quello di oggi, quando si scopre che in certi paesi veneti o lombardi han preso il 20, 30, an­che 40% quegli ‘zotici’ della Lega. Che sono sempre stati considerati – ammette ‘l’Unità’ – «commercianti in odore di evasione, valligiani spaesati, capitalisti molecolari terrorizzati dalla globalizzazione». Ma che devono essersi allargati, se han preso il 10% a Sesto San Giovanni, la ex Stalingrado d’Italia. E che, se pure a guardarli dai salotti corretti sono dei poveri selvaggi, tuttavia devono avere delle ragioni che non sono state comprese.

Un’informazione allineata sulle sue certezze ideologiche non aiuta a capire la realtà. Serve piuttosto a confortare, in uno specchio autore­ferenziale, la classe politica cui fa riferimento. Che a sua volta vuol credere che gli editoriali di Scalfari siano il pensiero degli italiani. Lunedì sera ci è venuta in mente la Conferenza nazionale sulla famiglia promossa dal governo Prodi, a Firenze, un anno fa.

«Question time con le domande delle famiglie», fu annunciato. Ma non era che uno si alzava, e domandava al premier ciò che voleva. Gli interventi e le domande era­no stati preventivamente preparati. Un garbato dibattito fra amici. Nessuno in aperto dissenso. Poi, le famiglie italiane sono andate a votare.