La storia dei campi di sterminio sovietici

GulagL’Indipendente 10 giugno 2007

Durante gli anni Trenta furono condannati 20 milioni di persone  di cui circa 3 milioni deportati nei cosiddetti insediamenti speciali…

di Livia Belardelli

Dopo Il grande terrore di Robert Conquest e Arcipelago Gulag di Aleksandr Solzenicyn una nuova opera torna a raccontare al grande pubblico la macchina dell’orrore staliniano. Storia del Gulag. Dalla collettivizzazione al Grande terrore (Einaudi) di Oleg Chlevnjuk, vincitore del Premio Cherasco Storia 2007, propone, documenti alla mano, la storia della prima fase del Gulag, dal 1929 al 1941.

Con l’apertura degli archivi sovietici dopo il crollo del regime comunista nel 1991 è diventato possibile cominciare a riscrivere un intero capitolo della storia russa, la storia della deportazione di milioni di cittadini sovietici nei campi di lavoro. Una grande opportunità offerta agli studiosi di tutto il mondo per far luce su zone oscure del passato e in particolare su quello strumento di repressione il cui funzionamento era già noto ma che trova ulteriori conferme in una dolorosa e sconvolgente documentazione.

Si tratta del Gulag, termine che ha assunto nel tempo il rango di sostantivo dalle tinte fosche ma che all’origine era usato come acronimo indicante il “Glavnoe upravlenie lagerej”, la Direzione centrale dei lager. «Il 27 giugno 1929, al fine di economizzare risorse statali, il Politbjuro prese la decisione di creare al posto del sistema di luoghi di reclusione esistente (fondamentalmente carceri) una rete di campi in cui i detenuti dovessero lavorare e mantenersi con il loro guadagno»: così Oleg Chlevnjuk inizia a raccontarci la storia dei lager staliniani, nati come campi di lavoro coatto per gli “elementi antisovietici”, sorti nelle zone più lontane e inospitali della Russia al fine di colonizzarle e sfruttarne le ricchezze naturali.

Chlevnjuk, storico e ricercatore presso l’archivio di stato della Federazione russa, già autore di una monumentale Storia del Gulag staliniano in sette volumi, ricostruisce la struttura e l’organizzazione del Gulag in una prospettiva ampia e documentata.

Con chiarezza esplosiva pubblica documenti ufficiali per tanto tempo rimasti segreti e recupera testimonianze private come le lettere dei deportati che raccontano la tragedia di milioni di esseri umani. Una documentazione abbondante ma non ancora completa, fa notare Chlevnjuk, che abbiamo incontrato a Cherasco: «L’accesso ai documenti varia in base al tipo di archivio.

Se alcuni sono ormai aperti, è il caso del Ministero della cultura, altri rimangono inaccessibili come quelli della polizia politica e del Ministero degli Esteri. Non solo, la consultazione viene permessa ad alcuni studiosi e negata ad altri». Segno che ci sono ancora molti scheletri da disseppellire negli archivi dell’Ex Unione Sovietica? Senza dubbio, dice lo storico.

Chlevnjuk, oltre a esporre le cause politiche ed economiche che portarono alla creazione dei campi, racconta la vita della “popolazione dei lager” fornendo un’interpretazione acuta del periodo del “Grande Terrore”(1937-38). Ci dice, citando la lettera di un testimone: «Sono stato colpito dal loro aspetto terribile, alcuni sono completamente ciechi, gli occhi bruciati dagli esplosivi durante la trivellazione dei pozzi, ci sono paralitici, mutilati, deformi, persone completamente senza braccia e senza gambe, ci sono tisici all’ultimo stadio, in una parola, un orrore».

Dai rapporti “segretissimi” inviati da funzionari ed ispettori alle autorità centrali, e perfino al “compagno I. V. Stalin”, emerge un esercito di ombre, maltrattato e terrorizzato. Durante gli anni ‘30 furono condannati venti milioni di persone di cui circa tre milioni deportati nei cosiddetti “insediamenti speciali”.

Si è spesso sostenuto che la motivazione economica sia stata tra le ragioni principali della nascita del Gulag. Certamente Stalin intese fare del lavoro coatto la base per l’industrializzazione del paese poiché per l’Unione Sovietica, un paese enorme bisognoso di grandi infrastrutture, la manodopera dei detenuti era una risorsa indispensabile. Ciò valeva non solo per la manodopera operaia ma in particolar modo per la “sezione intellettuale” del Gulag, ragione per cui ingegneri e specialisti venivano inviati nei campi secondo precise finalità di utilizzazione. Ma se i motivi economici ebbero un peso determinante, Chlevnjuk ci tiene a ribadire la priorità dei moventi politici.

Ne sono prova gli elenchi delle fucilazioni di massa del 1937-38 in cui uomini idonei al lavoro furono uccisi a migliaia e cancellate le loro voci che oggi, attraverso la paziente opera di recupero intrapresa dagli studiosi negli archivi sovietici, potranno ritornare a farsi sentire. Ma fino a che punto le “grandi opere” della Russia staliniana, costruite a prezzo di sacrifici incredibili, sono state veramente necessarie?

Il canale mar Bianco-mar Baltico diede risultati modestissimi rispetto alle risorse impiegate, 5000 chilometri di ferrovie furono iniziate e poi abbandonate. E cosa sta accadendo nella Russia di oggi? Chlevnjuk aggira la domanda ribadendo l’importanza dell’apertura degli archivi. Lo storico continua a guardare il passato, ma il non voler entrare nel merito della contemporaneità, quella di Putin, è segnale di dubbi, perplessità e angosce vissute da cittadino di un paese non del tutto liberatosi dalle logiche staliniste.