Le Ragioni del disastro

crak_finanzaIl Timone n. 79 gennaio 2009

II recente tracollo finanziario, ancora in corso, deriva anche dal mancato rispetto di principi fondamentali di morale naturale. Senza regole trionfa l’anarchia e la violenza dei più furbi. Fino a quando il sistema implode…

di Ettore Gotti Tedeschi

Osservando i processi decisionali dei governanti del mondo per risolvere l’attuale crisi economica e finanziaria, più che andare alle vere radici del problema, si direbbe che cerchino di individuare alcune cause, disputando se le stesse sono dovute a un uso improprio della finanza o di strumenti dell’economia reale.

Nessuno di questi due aspetti è la vera origine del disastro e pertanto temo la transitorietà e l’insufficienza delle soluzioni. In realtà, la crisi è stata prodotta dal crollo dei valori dell’uomo, ridotto a strumento del ciclo economico, con l’affermazione inequivocabile della totale autonomia morale dell’economia. Più che biasimare tali dottrine economiche, bisognerebbe assicurare ai loro esponenti un premio Nobel per la diseconomia.

Ci si domanda anche se fosse stato possibile prevedere questa crisi, e perché non è stata prevista. Si risponde che gli economisti, ohimè, sanno solo prevedere il passato e che gli strumenti, troppo sofisticati, non sono stati gestiti come si sarebbe dovuto.

Quest’ultima considerazione è vera, l’aveva già prevista nell’enciclica Solllicitudo rei socialis (30 dicembre 1987) papa Giovanni Paolo II, quando avvertì che all’uomo troppo tecnologico e poco maturo spiritualmente sarebbero sfuggiti di mano gli strumenti. Grande profeta oltre che grande Papa, Giovanni Paolo II.

Questi rischi furono previsti, eccome; ma poiché le spiegazioni e le raccomandazioni furono di carattere morale, vennero ignorate e persino ridicolizzate. lo ricordo che verso la fine degli anni ’80 venivo considerato uno “sfruttatore” degli equilibri naturali, perché avevo ben 5 figli (e una sola moglie).

Ciò che è successo è dovuto alla totale affermazione dell’autonomia morale dell’economia e della finanza, autonomia che è il frutto progressivo della storia della separazione tra economia e morale da almeno trecento anni, da quando cioè l’illuminismo stabilì la “natura bestiale” dell’uomo e, conseguentemente, l’esigenza di soddisfare solo i suoi bisogni materiali, essendo quelli spirituali una pura illusione.

Così nacque la dottrina “fisiocratica”, che stabilì il governo buono della natura umana (necessario al laissez fare liberista indispensabile alla futura rivoluzione industriale), che non necessitava di regole morali suggerite dalla religione. Dopo gli eccessi “egoistici” di tale dottrina, seguirono le correzioni marxiste, anche antireligiose (rivolte, non dimentichiamolo, a una forma di capitalismo sorto in conseguenza della Riforma, non al capitalismo cattolico originale).

Dopo Marx seguì la contro reazione della dottrina utilitaristica, che produsse concentrazioni di enormi ricchezze e fu all’origine, a diverso titolo, dell’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII (1878-1903) nel 1891 e della legge antitrust, lo Sherman Act, negli USA, nel corso dell’anno precedente.

Successivamente, come reazione “laicista”, nacque la tecnocrazia, dove i tecnocrati divennero i nuovi grandi sacerdoti della società, escludendo naturalmente gli altri sacerdoti. Quindi arrivò John Maynard Keynes (1893-1946), che decretò che soltanto la scienza, e non più la morale religiosa, dovesse occuparsi dei problemi dell’uomo. E fu proprio Keynes a stabilire le regole per utilizzare la gestione della popolazione per equilibrare i cicli economici.

Quando ci domandiamo perché non c’è sufficiente visione etica in economia, dobbiamo appunto ricordare che è stata, a dir poco, censurata. Negli anni 1973-1975 le dottrine neomalthusiane produssero crollo della natalità nel mondo occidentale. Per compensare questo crollo, si inventò il consumismo edonistico, che avrebbe prodotto una giuliva crescita della domanda, prescindendo dalla scarsa crescita della popolazione.

Il resto del mondo, che magari non sapeva leggere, invece continuò a far nascere figli acquisendo sempre più potere e peso politico. Ma senza crescita di popolazione i costi fissi di una società crescono, perché diventa squilibrata la composizione della popolazione (che invecchia e provoca maggiori costi sociali contemporaneamente alla diminuzione di contribuzioni). Aumentando i costi fissi, non si possono diminuire la tasse; crollando la natalità e perseguendo una politica di consumi crollano i risparmi e la ricchezza finanziaria disponibile per investimenti.

Gli interventi correttivi fallirono, fino ad arrivare persino a correggere la scarsissima crescita (in USA si corresse con l’immigrazione da alcuni paesi latinoamericani, soluzione insufficiente perché si dovevano sostenere contemporaneamente anche i costi per lo scudo spaziale e per la guerra nel Vietnam), inventandosi la crescita del PIL attraverso il finanziamento dell’acquisto di case a chi non poteva permettersi di comprarle, indebitando così le famiglie e mettendo a rischio il sistema finanziario.

Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti noi. Vorrei a questo punto ricordare un oscuro “eroe” che predisse i misfatti di una economia a crescita demografica zero: il prof. Colin Clark (1905-1989). Nel 1973, questo professore australiano di economia quantitativa nell’università di Cambridge, inventore del concetto di PNL (prodotto nazionale lordo), scrisse un libro, Il mito della esplosione demografica (tradotto l’anno seguente dalle edizioni Ares), confutando tutte le teorie e le tecniche dimostrative neomalthusiane, ridicolizzando le previsioni catastrofiche di sfruttamento delle risorse ed esaltando, invece, la crescita della popolazione quale motore dello sviluppo, passato, presente e futuro.

In suo ricordo riporto la conclusione del suo libro citato «È del tutto evidente che i problemi del mondo scoppieranno nel secolo futuro, ma saranno politici, non economici o ecologici. Questo clamore isterico circa la crescita della popolazione che conduce alla povertà, alla carestia, all’incontrollabile deterioramento ecologico, non è solo falso, ha una colpa più grave. In realtà distrae l’attenzione dalle questioni politiche che costituiranno i problemi mondiali».

Da troppo tempo il valore di un uomo è legato a quanto può produrre e guadagnare, consumare e spendere. E a null’altro. Questo modello capitalistico si è dimostrato inconsistente e dannoso, producendo una utopia economica che ha provocato degenerazioni. Si dice che l’economia deve ritrovare una sua etica.

È quella “sua” che mi preoccupa, lo conosco una sola etica sostenibile, quella che riconoscendo la sacralità dell’uomo e affermando che la vita umana ha il senso che il suo Creatore ha voluto dargli, automaticamente investe di un “senso” anche il comportamento economico. Il resto è opera del maligno…

Ricorda«Non si può negare l’esistenza, specie nella zona Sud del nostro pianeta, di un problema demografico tale da creare difficoltà allo sviluppo. È bene aggiungere subito che nella zona Nord questo problema si pone con connotazioni inverse: qui, a preoccupare, è la caduta del tasso di natalità, con ripercussioni sull’invecchiamento della popolazione, incapace perfino di rinnovarsi biologicamente.

Fenomeno, questo, in grado di ostacolare di per sé lo sviluppo. Come non è esatto affermare che tali difficoltà provengono soltanto dalla crescita demografica, cosi non è neppure dimostrato che ogni crescita demografica sia incompatibile con uno sviluppo ordinato». (Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Sollicitudo rei socialis, 30 dicembre 1987, n. 25).