Migrazione emergenza planetaria

immigrati 2Il Timone n. 146 – settembre-ottobre 2015

L’attuale ondata di profughi che si riversa in Europa via mare e via terra è solo la punta di un fenomeno mondiale molto più ampio. Che richiede decisioni e scelte politiche capaci di andare alla radice del problema. E di rendere più semplice anche l’intervento umanitario

di Robi Ronza

Al di là di ogni specificità, quello delle migrazioni “non programmate” è oggi un fenomeno di dimensioni planetarie alla cui origine stanno due elementi di fondo. In primo luogo l’attuale enorme squilibrio di risorse e di qualità della vita che si registra fra i Paesi più sviluppati e quelli che lo sono di meno. In secondo luogo l’attuale accesso generalizzato istantaneo all’informazione audio-visiva grazie al quale in ogni angolo del mondo si ha notizia del tenore di vita dei Paesi più ricchi, in forma peraltro molto edulcorata.

Tramite le tv satellitari e Internimmigraz_tab_1et si diffonde nel globo per suoni e per immagini un’idea del Nord industrializzato come di un gigantesco paese del Bengodi. Trattandosi infatti di un’informazione in sostanza mossa dalla pubblicità, i prezzi e i costi in termini di formazione professionale nonché di sacrificio personale e sociale restano in ombra. Il segnale di fondo è che nel Nord industrializzato del mondo in pratica ogni cosa è gratis e a portata di mano, e tutti hanno diritto a tutto.

Quanto più dunque (relativamente al luogo) non si è un povero diavolo ma un “ceto medio”, tanto più in situazioni di crescente povertà e crescente insicurezza diventa spesso irrefrenabile l’idea di raggiungere ad ogni costo un Paese sviluppato. I poverissimi invece non si muovono: non soltanto in terre segnate dalla fame ma anche in terre dilaniate dalla guerra restano comunque sul posto. Magari sfollano o migrano all’interno, ma non tentano di andare all’estero perché mancano sia delle risorse che delle informazioni necessarie.

Chi paga anche 2000 dollari il passaggio su un gommone con cui termina un viaggio clandestino spesso intercontinentale costato qualche altro migliaio di dollari, tanto più rispetto al tenore di vita del Paese d’origine, non è affatto un proletario. Gli abiti che queste persone indossano sembrano povera cosa a noi, ma a casa loro sono indumenti costosi che non tutti si possono permettere. Per i Paesi da cui fuggono è un dissanguamento particolarmente grave: in modo disperato e temerario partono persone che più di altre, se ce ne fossero le condizioni, potrebbero molto meglio impegnare in patria le proprie competenze e le proprie risorse economiche.

Migranti per motivi economici e rifugiati politici: una distinzione ormai quasi impercettibile Non foss’altro poi perché al di sotto di un certo grado di sviluppo non è comunque possibile offrire gratuitamente a tutti un’assistenza medica di qualità, chi cerca di migrare da un Paese povero a un Paese con un moderno sistema socio-sanitario perciò stesso non è soltanto un migrante per motivi economici ma anche qualcuno che fugge da una situazione in cui la vita sua e dei suoi familiari è relativamente in pericolo. Al di sotto di un certo grado di sviluppo la vita diventa ad ogni modo più insicura in generale. Maggiore è la corruzione, minore il rispetto della legge, meno efficace la lotta al crimine.

Per tutti questi motivi diventa quindi sempre più difficile distinguere tra migrante per motivi economici e potenziale titolare di un diritto d’asilo. Facciamo ad esempio il caso estremo dell’Eritrea da un lato e della Svizzera dall’altro, che hanno rispettivamente un reddito prò capite annuo circa di 644 e di 81.300 dollari. Tenuto conto del diverso costo della vita il reddito eritreo aumenta poi circa del 20 per cento e quello svizzero invece quasi si dimezza, ma ciononostante la distanza tra l’uno e l’altro resta siderale. Analoga è comunque la distanza fra il tenore e la qualità della vita in un Paese come l’Italia e rispettivamente in qualsiasi Paese “in via di sviluppo”.

In molti casi a tale disagio di base viene poi ad aggiungersi la tragedia della guerra, ma anche in assenza di guerra gli squilibri socio-economici sopra ricordati basterebbero comunque a mettere in moto questo esodo, che secondo dati forniti all’Alto Commissariato dell’Orni per i Rifugiati oggi riguarda nel mondo quasi 60 milioni di persone, per oltre 1*86 per cento originarie per l’appunto di Paesi in via di sviluppo. Il grosso di tale esodo riguarda la regione euro-mediterranea, ma nessun altra parte del mondo ne viene risparmiata.

L’accoglienza definitiva indiscriminata non è una soluzione ragionevole

immigraz_tab_2Come affrontare in modo non casuale ed estemporaneo questo gigantesco fenomeno? Dovrebbe innanzitutto essere evidente che l’accoglienza definitiva indiscriminata di chiunque intenda trasferirsi dal Terzo Mondo nei Paesi più industrializzati non è una soluzione ragionevole; a lungo termine è anzi catastrofica sia per le terre da cui i migranti partono che per le terre in cui mirano a trasferirsi.

Come sempre in casi del genere la risposta deve articolarsi su due livelli: quello per così dire del… pronto soccorso e quello invece della soluzione strutturale del problema. Confondere questi due livelli, come oggi spesso accade anche in ambiente cattolico, è un grosso equivoco. Se qualcuno è così disperato da mettersi temerariamente in mare su gommoni stracarichi, o è pronto ad aprirsi a mani nude dei varchi al di sotto di barriere di filo spinato pur di entrare nel territorio dell’Unione Europea, costui va soccorso, rifocillato, se necessario curato.

immigraz_tab_3Da tutto questo però non può derivare il riconoscimento de facto di un presunto indiscriminato diritto all’immigrazione. Altrimenti, come oggi sta accadendo, si diventa complici di organizzazioni internazionali di passatori criminali che prosperano su tale traffico. Si facilita poi l’immigrazione di squilibrati e di criminali comuni, che per sfuggire a controlli di polizia hanno ovviamente tutta la convenienza a mischiarsi con migranti irregolari bona fine. Inoltre, non si riescono più a verificare efficacemente le condizioni di salute di migranti spesso provenienti da Paesi ove sono diffuse malattie contagiose (ad esempio la tubercolosi) che da noi erano ormai scomparse, e che dunque occorre fare subito oggetto di adeguate cure. Infine, si manca di rispetto per quegli immigranti stranieri regolari che hanno seguito e seguono tutte le procedure legali stabilite per vivere e lavorare legalmente nel nostro Paese.

In subordine si diventa poi subalterni al progetto politico di circoli di sinistra rivoluzionaria e di circoli neo-anarchici che guardano con simpatia in particolare all’afflusso crescente e incontrollato in Italia e in Europa di migranti musulmani, o comunque di tradizione non cristiana, poiché incautamente sperano che ciò contribuisca a sgretolare la società italiana, a renderla più disponibile a lasciarsi riorganizzare nel modo da loro desiderato. Sarebbe auspicabile che su tutto ciò aprissero finalmente gli occhi quei laici ed ecclesiastici benintenzionati che, con assiduità degna di miglior causa, ne sono araldi inconsapevoli in sacrosante trasmissioni televisive di grande ascolto come ad esempio “Il tempo dello spirito”, la rubrica che precede l’Angelus domenicale del Papa.

Che cosa si può fare?

Il pronto soccorso deve pertanto andare di pari passo con una lotta degli Stati contro le organizzazioni internazionali dei passatori criminali di cui si diceva. La Conferenza internazionale finalmente convocata dall’Onu alla fine di settembre non sarà stata inutile soltanto se da essa I  si uscirà con un impegno efficace di tutti i governi coinvolti, compresi,  quelli dei luoghi di esodo (se sono in I grado di farlo), a tagliare la catena del traffico di migranti in più punti, ma innanzitutto dai suoi primi anelli. Lo si potrà fare in poco tempo, se soltanto le grandi potenze lo vorranno. Frattanto, si tratterà di gestire il flusso residuo di migranti già in viaggio, che a questo punto diventa un problema relativamente semplice. La questione grossa è invece quella dell’affronto delle cause strutturali del fenomeno.

E’ invece patetica e segno di una persistente incomprensione del problema, la pretesa dell’Unione Europea di risolvere adesso ogni cosa distribuendo i migranti “non programmati” fra tutti i Paesi membri. La massima parte di loro mira a raggiungere la Germania o altrimenti i Paesi scandinavi. Gli sfortunati (si fa per dire) eventualmente assegnati alla Slovacchia allena possibile prenderebbero un treno per la Germania e, on forza del trattato di  Shengen, nessuno glielo potrebbe vietare.

Un volano immediato di questi esodi sono, dicevamo, alcune guerre in corso. In primo luogo quella in corso in Siria da dove proviene attualmente oltre il 40 per cento dei migranti-profughi che si dirigono via mare o via terra verso l’Europa. O dunque le grandi potenze si accordano per porre termine alla guerra in Siria e ad altri conflitti, dei quali tutti tengono le redini, o gli esodi non potranno trovare fine. Non appena tagliata una catena del traffico internazionale di migranti, subito se ne formerà qualcun’altra. A lungo termine nemmeno questo tuttavia basterà se non si va al nocciolo della questione: se cioè non ci si mette seriamente ad investire sullo sviluppo di Paesi ove oggi i giovani, tanto più se con buone qualifiche professionali, non hanno alcuna speranza di futuro.

Se non si fanno tutte queste cose, e se non le si fanno tutte insieme, l’odissea di questi esodi di massa dal Sud al Nord del mondo non avrà fine malgrado le temporanee commozioni suscitate da qualche immagine particolarmente tragica, o le temporanee esecrazioni suscitate da delitti particolarmente efferati commessi da criminali giunti tra noi insieme a gente in cerca solo di lavoro, di pane e di sicurezza.

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Davanti all’emergenza provocata dall’immigrazione irregolare, anche le comunità cattoliche, in prima linea nell’accoglienza e nel soccorso, rischiano di dimenticare la responsabilità principale che hanno nell’incontro con “lo straniero”. Come ricordava il cardinale Giacomo Biffi nel famoso discorso del 2000 alla Fondazione Migrantes. Ecco il passaggio:

Il dovere di annunciare Cristo

Compito primario e indiscutibile delle comunità ecclesiali è l’annuncio del Vangelo e l’osservanza del comando dell’amore. Di fronte a un uomo in difficoltà – quale che sia la sua razza, la sua cultura, la sua religione, la legalità della sua presenza – i discepoli di Gesù hanno il dovere di amarlo operosamente e di aiutarlo a misura delle loro concrete possibilità.

(…) Dovere statutario della Chiesa Cattolica e compito di ogni battezzato è di far conoscere esplicitamente Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio morto per noi e risorto, oggi vivo e Signore dell’universo, unico Salvatore di tutti.

Tale missione può essere coadiuvata ma non surrogata dall’attività assistenziale che riusciremo a offrire ai nostri fratelli. Suppone la nostra attitudine al dialogo sincero, aperto, rispettoso con tutti,

ma non può risolversi nel solo dialogo. É favorita dalla conoscenza oggettiva delle posizioni altrui, ma si avvera soltanto nella conoscenza di Cristo cui noi riusciamo a portare i nostri fratelli, che sventuratamente ancora non ne sono gratificati.

Inoltre l’azione evangelizzatrice è di sua natura universale e non tollera deliberate esclusioni di destinatari. Il Signore non ci ha detto: “Predicate il Vangelo ad ogni creatura, tranne i musulmani, gli ebrei e il Dalai Lama” (cf Me 16,15). Chi ci contestasse la legittimità o anche solo l’opportunità di questo annuncio illimitato e inderogabile, peccherebbe di intolleranza nei nostri confronti: ci proibirebbe infatti di essere quello che siamo, vale a dire “cristiani”; cioè obbedienti alla chiara ed esplicita volontà di Cristo.

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DA SAPERE

RIFUGIATO: Il termine indica un preciso status giuridico, individuale, definito dalla Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati del 1951. Viene accordato a chi ha lasciato il proprio paese temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale.

PROFUGO: Termine generico per chi è costretto ad abbandonare la propria residenza in seguito a conflitti armati e catastrofi naturali. Se, per mettersi al sicuro, non oltrepassa i confini nazionali si dice profugo interno o sfollato.

EMIGRANTE: È chi si trasferisce temporaneamente o in maniera definitiva all’estero oppure in una regione diversa da quella di origine a scopo di lavoro, spinto da motivazioni di carattere economico.

IN ITALIA sono previste due forme di accoglienza se mancano i requisiti per l’attribuzione dello status di rifugiato: il permesso di soggiorno per motivi umanitari e il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria.

Il primo si attribuisce nel caso ricorrano seri motivi di carattere umanitario in particolare; il secondo quando sussistono fondati motivi di ritenere che, rientrando nel paese di origine, il richiedente rischi di subire grave danno (condanna a morte, tortura, trattamenti inumani…).