L’alba dell’io

prematuroAvvenire 19 maggio 2004

Sente e ricorda, prova dolore e piacere: tutto quello che la scienza ci dice sul, feto. Parla lo studioso Carlo Bellieni

Intervista di Marina Corradi

23 settimane di gestazione, fino a poco tempo fa i feti non erano considerati vitali. Non ce la facevano a sopravvivere fuori dal ventre materno. Oggi queste creature, venti centimetri, tre etti e mezzo di peso, affrontano talvolta la vita nei reparti per prematuri. In un filmato il dottor Carlo Bellieni mostra un prelievo di sangue, un ago che trafigge il piede di questi bambini piccolissimi. Piangono disperatamente. Strano: secondo una scuola del pensiero bioetico, non avendo autocoscienza, non dovrebbero avvertire il dolore. Tuttavia, con due gocce di zucchero, e se il medico li accarezza e parla dolcemente e a bassa voce, non piangono affatto. Esattamente come bambini, già a 23 settimane dal concepimento. «Tutto è già cominciato, tutto comincia prima, non c’è nessuna discontinuità, dal concepimento al parto» commenta Bellieni, mentre l’immagine sul computer si spegne.

Neonatologo all’ospedale “Le Scotte” di Siena, docente di terapia neonatale alla Scuola di Specializzazione in Pediatria, autore di diversi studi pubblicati sulle riviste mediche internazionali, Carlo Bellieni, 42 anni, ha presentato ieri al Centro Culturale di Milano il suo libro «L: alba dell’Io». Un lo su cui fino a vent’anni fa si stendeva il buio, come se, là dentro, fosse il nulla.

E invece, è accertato ormai, quanto c’è già, in quell’alba. «A 23 settimane il feto distingue la voce materna dalle altre, riconosce i suoni. Secondo tino studio pubblicato su Lancet, i neonati riconoscono le musiche delle telenovele ascoltate dalla mamma. Le melodie udite in utero calmano il pianto del bambino, che già sviluppa la memoria di odori e sapori. In generale, lo calma tutto ciò che riproduce la sua situazione prenatale: i figli delle ballerine per esempio vogliono essere cullati vigorosamente, abituati come sono al movimento».

Chiuso lì dentro, dunque, il nascituro sa già tante cose. E’ soggetto, è già, dice Bellieni, “persona”. L’affermazione agiterà una certa scuola di bioetica, ma non le madri, che questa certezza l’hanno sempre avuta. Le sole, quando non c’erano ecografie né esperimenti, a dare silenziosamente del “tu” al loro figlio in arrivo. Ma il sapere antico delle madri è oscurato, dice Bellieni, alla loro saggezza «si è sostituita la paura.

La gravidanza, oggi è dominata dalla paura. I genitori in attesa appaiono schiacciati dal timore di un imprevisto infausto. Ci è stato fatto credere che la medicina è onnipotente, che può sanare tutto. Si parla di un ipotetico “diritto alla salute”, o “diritto a nascere sani”. I genitori che mi avvicinano fuori dalla sala parto mi chiedono, pressoché tutti: ha tutto a posto? E’ perfetto? L’unico che, una sera, mi ha domandato semplicemente: come sta, mio figlio? Quello l’avrei abbracciato: Siamo sottomessi a questa pretesa della perfezione, per cui abusiamo della diagnostica prenatale.

L’amniocentesi, che comporta lo 0.5-1% di mortalità del feto, la fanno molte donne che non ne avrebbero necessità. L’amniocentesi, può diventare inconsciamente la caccia al bimbo Down. Se non che, l’incidenza della sindrome di Down è di 1 su 700, e con questo esame si elimina un bambino, sano, su 100-200. Inoltre, le malattie genetiche sono 10.000, l’amniocentesi ne individua tre o poco più. E l’ecografia? I rischi da ultrasuoni sono attualmente al vaglio di esperti internazionali.

Per ora non ci sono controindicazioni. Tuttavia i protocolli internazionali consigliano una sala ecografia. In Italia se ne suggeriscono tre, ma le gestanti ne fanno sei, o anche di più». In questo quadro di ansia collettiva si inserisce il “diritto” a un figlio. «Senza che nessuno dica chiaramente che inserire cinque ovuli fecondati nell’utero di una donna porta fatalmente a una plurigemellarità e quindi a prematurità molto gravi. Senza che si dicano chiari, almeno in Italia, i costi psicologici e fisici per le `’donne della procreazione assistita. Ecco, mi colpisce come le donne tacciano su tutto questo».

E’ l’estraniamento della maternità dalle donne. Dal primo mese, soprattutto nei ceti benestanti, è tutto un esame. Ciò che era fisiologico è affidato alla scienza medica, dal primo all’ultimo giorno. «Addirittura in Italia siamo al 35% di parti cesarei. Molti sono assolutamente giustificati; ma sono troppi. Forse così si instilla alle donne l’idea che non sanno partorire, senza dire apertamente che, per il bambino, il cesareo comporta dei rischi maggiori che il parto fisiologico. Io credo che le donne dovrebbero riprendersi la maternità e il parto. Ma non con corsi che insegnino a partorire, suggerendo in fondo che non ne sono pienamente capaci. Piuttosto, come facciamo noi a Siena, insegnando a vivere bene la gravidanza: a cantare e a sentire come il bambino risponde, a toccare la pancia e a accarezzarlo».

Cominciare a riprendersi, della gravidanza, la gioia. Un dubbio però ci resta. Se il feto capisce tanto, cos’è allora nascere, se non una sorta di fine del mondo, una cacciata dall’Eden, e vissuta da un essere già in qualche modo cosciente? «Certamente è un momento traumatico, quel tunnel da’traversare per uscire dal buio. Ma è un male per un bene più grande, e, immediatamente dopo, il bambino si trova fra le braccia di sua madre, e la paura, credo, è già dimenticata».