Reazioni alla lettera del Papa sul dialogo e la multiculturalità

Pera_coverIl Foglio, 25 novembre 2008

La prefazione di Benedetto XVI al saggio di Marcello Pera

di Marco Burini

«Un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo. Mentre su quest’ultima un vero dialogo non è possibile senza mettere fra parentesi la propria fede, occorre affrontare nel confronto pubblico le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo. Qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole sono possibili e necessari». Parole tanto concise quanto pesanti, quelle che Papa Benedetto XVI scrive nella lettera che fa da prefazione al saggio di Marcello Pera “Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica” (Mondadori), da oggi in libreria.

Il Papa sconfessa dunque il dialogo interreligioso e promuove il dialogo interculturale, raccogliendo e rilanciando con la sua autorevolezza le tesi dell’ex presidente del Senato sulle radici cristiane del liberalismo. La sintesi giornalistica viene facile ma il bello viene dopo, quando si tratta di capire gli effetti di questa presa di posizione dentro il mondo cattolico che, com’è noto, anche su questo tema contiene un’ampia gamma di sensibilità.

Dentro il Vaticano si avverte un certo imbarazzo, soprattutto nelle istituzioni deputate. Il portavoce della sala stampa padre Lombardi – interpellato ieri dal New York Times che ha dato rilievo alla notizia – si affretta a ricordare che «questo è un papato conosciuto per il dialogo religioso. Il Papa è andato in una moschea, è andato in sinagoghe. Questo significa che pensa possiamo incontrare e parlare con gli altri e avere una relazione positiva».

Eppure Benedetto XVI ha fatto sue in toto le parole di Pera, criticando così per interposta persona il modello multiculturale di cui sottolinea la «contraddittorietà interna» e l’«impossibilità politica e culturale». (Saranno fischiate le orecchie al patriarca di Venezia, Angelo Scola, che su questo fronte si sta spendendo parecchio). Perché a nessun prezzo, nemmeno la quieta convivenza tra civiltà, si può mettere tra parentesi la fede.

Padre Bernardo Cervellera, direttore di Asianews, non è sorpreso. «Ratzinger coltiva da sempre questa impostazione: non vale la pena dialogare a livello teologico perché in questo modo non si arriva da nessuna parte, la storia è lì a dimostrarlo. Dopo il concilio la chiesa ha aperto moltissimi canali di dialogo teologico. Con le diverse confessioni cristiane in parte ha funzionato, ma con le altre religioni non è servito altro che a individuare alcuni valori comuni molto generici: la preghiera, il senso del peccato. Concetti che poi ogni interlocutore, tornato a casa sua, ritraduce nel proprio contesto religioso. Alle fine diventano esercizi di puro relativismo, si ottiene semplicemente un minimo comune denominatore».

Uno sforzo estremo per un risultato modesto. «Infatti. Già come prefetto della congregazione per la Dottrina della fede Ratzinger aveva sottolineato invece l’importanza del dialogo interreligioso a livello culturale e sociale. Ogni religione si confronta quindi a partire dal proprio credo e su aspetti concreti: educazione, uguaglianza uomo-donna, ecc. Questa via è decisamente più fruttuosa».

Cervellera cita il recente forum tra Santa Sede ed esponenti islamici. «Quando sono arrivati, i musulmani volevano impostare un dialogo di tipo teologico ed è stato proprio il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso a chiedere che si affrontassero piuttosto questioni concrete: dignità dell’uomo, diritti religiosi, condizione femminile, eccetera». Insomma, l’obiettivo della gerarchia cattolica sembra quello di sottrarsi a una deriva astratta, a un approccio idealistico che porta dritti all’indistinzione: «Questo non significa rinunciare a priori al dialogo – precisa Cervellera – Ma è possibile realizzarlo solo a partire da identità forti, in tal modo ciascun interlocutore è più curioso dell’altro e valorizza la diversità di vedute».

Un metodo che pare funzionare meglio dove i cristiani sono una minoranza, come in Giappone. Proprio ieri, a Nagasaki, sono stati beatificati 188 martiri cristiani. «Il Giappone – osserva padre Cervellera – sta smarrendo alcuni caposaldi della sua cultura: l’interruzione della catena generazionale, lo smarrimento dei punti di riferimento sociali testimoniato da un’ondata impressionante di omicidi. In questo senso, la testimonianza cristiana assume il valore di una provocazione culturale».

Anche Vito Mancuso, famoso teologo non allineato, condivide l’impostazione di fondo di Benedetto XVI. «A livello politico-diplomatico è un intervento chiarificatore. Le numerose giornate del dialogo interreligioso lasciano il tempo che trovano; meglio andare ai problemi concreti: ruolo della donna, giustizia, sviluppo economico, eccetera». La presa di posizione di Papa Ratzinger ha comunque un fondamento metafisico. «Una volta stabilita l’equazione religione uguale verità, il resto viene di conseguenza. Siccome ogni religione si considera depositaria della verità, per chi professa un altro culto non resta che la conversione.

Perciò il dialogo, cioè il confronto a pari livello, diviene possibile solo per le implicazioni sociali e culturali, non certo per quelle teologiche. Non a caso il rabbino Di Segni, ieri sul Corriere, ha condiviso in pieno le osservazioni del Papa». «Non si può dialogare a livello teologico, altrimenti si creano solo degli equivoci e anche una retorica controproducente e nuovi ritualismi» ha dichiarato infatti il capo della comunità ebraica di Roma, mentre esponenti dell’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) si sono mostrati più perplessi.

Da parte sua, Mancuso aggiunge un’osservazione critica. «Siamo proprio sicuri che la coscienza del singolo credente conosca la storia della propria e delle altrui dottrine a un grado tale da identificare il dogma con la verità? Il mistero divino è più grande di qualunque formula e dottrina positiva. In questo senso è giusto dialogare con un musulmano o un buddista o un induista, non per giungere a un qualche compromesso teorico ma per una reciproca illuminazione. Il cristianesimo ha ancora molto da dare e da ricevere. Il patrimonio dottrinale cristiano si è sempre evoluto: non ci siamo fermati ai Padri della chiesa né al tomismo, il progresso è costante e le zone di oscurità da rischiarare grazie al confronto con gli altri non mancano».

Quindi non dialogo tra religioni ma tra credenti. «Il singolo fedele non ha sempre quella illuminazione piena della verità che lo possa esentare dal confronto. Dal Papa la si può pretendere, dall’anima semplice no». A proposito di fondamenta dottrinali, don Gianni Baget Bozzo fa notare che «la posizione del Papa era già pienamente espressa nella Dominus Jesus», la dichiarazione della congregazione per la Dottrina della fede dell’agosto 2000 sull’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della chiesa, documento contraddistinto da una forte riaffermazione dell’identità cattolica.

In questo caso, la forma è diversa. «Si tratta di una lettera-prefazione, quindi qualcosa di più personale; diciamo che è un atto della persona del Papa e non del Papa». In ogni caso secondo Baget Bozzo «il Papa non sconfessa il dialogo interreligioso ma ne dà un’interpretazione sensata. Non bisogna dimenticare che il dialogo è escluso da quasi tutte le religioni: islam, induismo, confucianesimo.

Perciò è meglio spostarsi sul piano concreto della libertà religiosa. La chiesa l’ha provato sulla propria pelle, ha dato la libertà religiosa all’occidente e adesso è nella posizione di poterla chiedere alle altre religioni». Il dialogo passa dunque da istituzioni e stati, «ma il problema è che i musulmani non hanno chiara la distinzione chiesa-stato». Ci vorrebbe un illuminismo anche per l’islam. «Putroppo credo non sia possibile», conclude Baget Bozzo.

Paolo Branca, docente di Lingua araba presso il dipartimento di Scienze religiose dell’Università Cattolica di Milano, riconosce che «il termine dialogo si è svilito, condito da troppe buone intenzioni ma accompagnato da scarse esperienze di qualità. E’ tuttavia innegabile che, dal concilio in qua, il confronto sempre più approfondito anche con altre esperienze religiose ha enormemente arricchito il pensiero cristiano.

Non penso che una frase, per di più scritta in una lettera privata, intendesse mettere in discussione ciò in cui la chiesa si impegna con serietà, come nel recente forum cattolico-islamico di Roma promosso da un Pontificio consiglio che si chiama appunto “per il dialogo interreligioso”. Altra cosa è segnalare i rischi del multiculturalismo relativista, che esistono e sono gravi».

Secondo Branca è meglio parlare di intercultura «nella quale le tradizioni religiose hanno un ruolo non solo utile ma indispensabile da giocare. I sistemi teologici sono sempre alternativi e in qualche misura si escludono a vicenda, ma non è un caso che siano stati elaborati dagli uomini: quando Dio ha parlato, ha usato un altro stile… ci sarà pure una ragione».