E’ inevitabile per un laico essere anticlericale?

anticlericalismoLa Civiltà Cattolica n.3790, 17 maggio 2008

di Giandomenico Mucci s.j.

Il significato moderno di laicità rimanda a un fenomeno molto antico, alla nascita cioè dello «spirito laico» che alcuni collocano nel secolo XIII. È un fenomeno non facilmente definibile in termini storico-concettuali. Lo si può comunque descrivere come il processo di secolarizzazione dell’Occidente cristiano, come la progressiva tendenza dell’uomo occidentale a emanciparsi dall’influenza e dal controllo religioso, ecclesiastico, metafisico sulla sua ragione e sui suoi comportamenti morali.

Il processo si è andato approfondendo sotto la pressione di grandiosi fenomeni storici: la cultura umanistico-rinascimentale, le filosofie razionalistiche, la ricerca scientifica tra il Cinquecento e il Seicento, lo sviluppo del pensiero che ha separato la politica dalla morale, la Riforma protestante che ha reciso il riferimento al Magistero della Chiesa.

Durante gli stessi secoli, si viene formando il moderno Stato laico in opposizione allo Stato confessionale. Si dissolve l’ideale universalistico medievale, che fu di Dante, si formano gli Stati nazionali con la loro politica ecclesiastica finalizzata ad accrescere il consenso dei cittadini e, dopo la rivoluzione del 1789, nasce lo Stato che in modo più o meno marcato prende le distanze dalla Chiesa e talvolta la combatte frontalmente.

L’Ottocento, dopo Napoleone, la restaurazione e i moti di risorgimento nazionali, vede delinearsi il compiuto Stato laico, fondato, nello spirito dell’illuminismo e della rivoluzione francese, sul principio della non confessionalità e, quindi, distinto e separato dalla Chiesa, attivo a laicizzare quei servizi pubblici (istruzione, assistenza ecc.) fino allora affidati alla Chiesa.

Sorvolando sui caratteri specifici dei singoli Stati, si può ritenere ormai acquisita la tripartizione del processo di formazione dello Stato laico. Prima fase: si comincia a svolgere, contrastata, l’idea dello Stato laico attraverso le sue iniziali configurazioni giuridico-legislative. Seconda fase: tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento sorgono violenti conflitti con la Chiesa contrassegnati dall’anticlericalismo.

Terza fase: lo Stato laico, a Novecento avanzato, va sempre più assumendo i tratti di una moderna democrazia. «L’anticlericalismo costituì un complesso d’idee, atteggiamenti, scelte giuridiche e operative non solo ostili ai tentativi del clero d’influire, in virtù del suo ministero, sulla vita socio-politica, ma anche pregiudizialmente avversi alla possibilità d’incidenza della Chiesa e, più in generale, della stessa esperienza religiosa, in ambito civile» (1).

Il processo di laicizzazione-secolarizzazione è stato particolar-mente violento nei Paesi di tradizione cattolica, per ovvie ragioni. Violentissimo in Italia per la presenza e dopo la soppressione del potere temporale del papato. Addirittura aggressivo e cruento nei Paesi, come la Spagna, il Portogallo, il Messico, nei quali nullo o debole è stato il cattolicesimo liberale con il suo impegno a dare un significato cristiano alla rivendicazione delle libertà moderne, e forte e pervasivo l’anticlericalismo delle logge massoniche.

E’ pertanto «fuor di dubbio che nel corso dell’800 la figura dello Stato laico, anche in virtù di specifici influssi culturali (statalismo etico hegeliano, scientismo positivistico), andò via via assumendo una sempre più pronunciata connotazione ideologica, non di rado ai limiti dell’intolleranza.

Né va dimenticato che nell’ultima parte del secolo l’irrompere sulla scena dei paesi in fase d’industrializzazione dei movimenti operai e dei partiti socialisti alimentò il già forte spirito laicistico-anticlericale del tempo» (2)

Laicità, anticlericalismo, ateismo sono concetti certamente diversi e si riferiscono ad ambiti diversi. Si dice laicità per dire che lo Stato e le sue leggi non devono essere influenzati dalle convinzioni di una certa confessione religiosa. Si dice anticlericalismo quando si denuncia o si combatte l’invadenza vera o presunta della Chiesa nella società civile e nella politica.

Sennonché, è stato notato che sotto la copertura terminologica della laicità e dell’anticlericalismo c’è chi professa e predica l’ateismo esplicito, l’anticristianesimo e l’anticattolicesimo militante. Questo nel passato. E forse anche oggi (3). Oggi sopravvive, camuffato in vario modo, il vecchio anticlericalismo che tuttavia si è fatto più guardingo sia per il controllo che la società democratica esercita sulle forme più triviali della violenza sia perché la Chiesa contemporanea, bersaglio di gran lunga preferito dell’anticlericalismo, non offre facile materia al livore di tipo ottocentesco.

È attivo oggi e ben visibile un anticlericalismo di diversa matrice, collegabile a quell’«enigma» degli anni Sessanta del secolo scorso, del quale ha parlato Rene Rémond (4) È come se in quegli anni fosse avvenuta una sorta di frattura nella trasmissione della cultura occidentale, nella quale rientra a pieno titolo anche la Chiesa. Come se avesse all’improvviso perduto ogni valore un ricchissimo patrimonio di memorie storiche, di riferimenti letterari e artistici, di convinzioni, di abitudini di vita che avevano costituito la continuità di intere generazioni, dal Rinascimento a oggi.

Effetto delle tragedie del Novecento, specialmente delle guerre? Effetto del progresso tecnologico? Anticipazione della globalizzazione? Sacralizzazione della modernità e discredito acritico gettato su tutto ciò che è stato tramandato, come se fosse valido soltanto ciò che è moderno, la superiorità dell’innovazione fosse un dogma e la fedeltà alle abitudini collaudate un vizio? Soltanto ai nostri giorni, probabilmente, si è potuto scrivere da qualcuno, autore di libri che fanno cassetta, che Pascal «aveva qualcosa di sordido», che il buddismo è cosa tanto banale da prestarsi alla parodia (5). E Chiesa e clero non sono assenti da simili, grottesche valutazioni.

Le ragioni dell’anticlericalismo

È stata recentemente pubblicata, postuma, una raccolta di saggi di Rene Rémond nei quali sono messi in rilievo i tratti propri dell’anticlericalismo. L’insigne storico scriveva sulla situazione dei cattolici in Francia, ma pensiamo di poter attingere alla sua ricerca per l’identità di quei tratti in ciascun Paese neolatino (6). Non passa giorno che la stampa italiana non ci confermi in questa opinione.

Ma ciò che più stupisce il lettore dei giornali è la ripetizione di un anacronismo: se esiste l’anticlericalismo, è perché esiste il clericalismo. I due fenomeni sono correlativi e opposti. Che un tempo una tale opposizione abbia avuto la sua ragion d’essere, lo si comprende. Ma oggi! Forse che la Chiesa ricorre ancora alla costrizione legale e sociale? Chi può onestamente sostenere che la sua missione di illuminare le coscienze avvenga mediante costrizione? È verosimile il sospetto che essa aspiri oggi a dominare l’Italia e l’Europa?

Sono interrogativi così pleonastici che quasi fanno ridere. Eppure, una parte della società europea e italiana li ritiene realistici. Per quali ragioni? Non volendo stimare colpevole l’ordinaria umana incapacità a rendersi conto in tempo reale dei mutamenti storici, dobbiamo però rilevare quella pigrizia intellettuale dell’anticlericalismo che si ostina a non voler vedere quanto sia cambiata l’autocomprensione della Chiesa sulla sua presenza nella società e, conseguentemente, i modi di questa sua presenza ratificati da un Concilio ecumenico.

Non sarebbe l’ora di smetterla con l’«intolleranza» della Chiesa, con l’«ipocrisia» dei suoi dirigenti, con l’«invadenza» del suo Magistero che in realtà soltanto propone la dottrina della fede cattolica senza usare violenza a nessuno? Non sarebbe ora di finirla con le solite rievocazioni dell’Inquisizione, dei «martiri del libero pensiero», dei compromessi storici di pochi o molti ecclesiastici, delle colpe di membri del clero, come se le istituzioni dovessero giudicarsi dai fatti privati di coloro che ne tradiscono lo spirito e le leggi? Non sarebbe più costruttivo per tutti prendere atto del cammino percorso, non senza umiltà e fatica, dalla Chiesa contemporanea?

In realtà, c’è un grande impedimento, tra gli altri più o meno settari, che impedisce all’anticlericale di oggi una serena valuta-zione della Chiesa. Anticlericale egli non sarebbe, se non ammettesse che il fatto religioso in se stesso è intollerante e che tra esso e la libertà dello spirito non può esservi accordo. Pertanto, pensa che, se la Chiesa parla e si presenta oggi pubblicamente in modo diverso da quello tenuto in passato, ciò avviene non perché essa abbia rinunciato al suo disegno di modellare a sua immagine la società civile e politica, ma soltanto perché, adattandosi alla democrazia, usa l’espediente tattico della pelle di pecora per meglio perseguire il suo fine di dominio.

Una posizione del genere trapassa naturalmente nell’altra, di vedere nella presenza stessa della Chiesa nello spazio sociale un pericolo per l’indipendenza della società, per la libertà dei cittadini, per la laicità dello Stato.

Quello che per il cattolico è il prolungamento e la testimonianza della sua fede, per l’anticlericale è l’esercizio insidioso del clericalismo, l’ingerenza di un vizio antico nelle libertà moderne.

La stampa italiana, come dicevamo, è molto spesso la palestra di questo anticlericalismo colto. Qualche esempio. Lasciamo da parte le rozze invettive di Salman Rushdie dalle quali ha preso le distanze perfino Eugenio Scalari (7). Secondo Gianni Vattimo, la gerarchia cattolica si richiama alla verità religiosa per difendere i propri privilegi (8). Secondo Giovanni Miccoli, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno in comune «l’obiettivo di rilanciare la pretesa di autosufficienza della Chiesa sulla inesorabile laicità della storia», presi come sono da «quel panico della modernità che aveva indotto stati d’assedio acherontici nella Chiesa del primo Novecento» (9).

Quando Habermas riconosce che le motivazioni religiose sono legittime e utili alla convivenza democratico-liberale e i cittadini non credenti hanno il dovere di tradurre in termini laici ciò che i cittadini religiosi esprimono secondo la loro esperienza di fede, ecco che Paolo Flores d’Arcais accusa il filosofo tedesco di farsi tentare dalla fede (10). Per Massimo Teodori, il binomio laico-cattolico è «portatore di una sostanziale carica dialettica ed oppositiva, evocativo della forza della laicità in opposizione all’universo cattolico» perché i laici sono «contrapposti a clericali e integralisti» (11).

Il buon senso dei laici

Non vorremmo si pensasse che in Italia chiunque sia laico sia perciò stesso anticlericale. L’anticlericalismo non è morto e, anzi, alleato com’è con mezzi potenti della comunicazione di massa, agisce in maniera assai rumorosa. E tanto rumore potrebbe essere la spia di una crisi e di una consapevole debolezza. Per fortuna, nello stesso campo dei laici ci sono uomini molto critici delle manifestazioni dell’anticlericalismo radicale. Tre esempi.

Dobbiamo a Pierluigi Battista le pagine più ferme contro il degrado di certa laicità. «Esiste un clericalismo laico che si nutre di sospettosità e adotta un lessico aggressivo, perentorio, dogmatico. Ogni posizione non “laica” viene vista come il parto di un complotto di tonache e gli avversari cattolici sono dipinti come schiavi di un’indecorosa libidine di genuflessione.

I “laici” stanno prendendo una brutta piega: non ragionano, scomunicano. I cristiani invitano a interrogarsi sul senso della vita nella modernità “relativista”? I “laici” sentenziano: ubbie moraliste, tentazioni integraliste. C’è un pericolo che si annida nell’onnipotenza della tecnoscienza che si arroga il diritto di dominare i segreti della creazione della vita?

Oscurantismo antiscientifico.

Discutere di vite soppresse con l’aborto? Non si parla, non si comincia nemmeno a discutere: la 194 non si tocca. Parla un cardinale che è pure cittadino italiano protetto nel suo diritto alla libera espressione? Indebita “interferenza”, inaudita “intromissione”. Talvolta i “laici” dimenticano di essere liberali […]. Si sentono offesi se un crocifisso rende meno spoglia un’aula scolastica» (12).

E a proposito di un recente increscioso episodio: «E se un gruppo di bigotti clericali interrompesse, tanto per dire, un discorso del matematico Piergiorgio Odifreddi, e se un drappello di papalini agguerriti impedisse, tanto per dire, lo svolgimento di un convegno di socialisti, questa sarebbe inqualificabile sopraffazione, espressione di becera intolleranza e arroganza? O no? E allora, in che consiste esattamente la differenza?». In «un’ostilità a priori» (13).

Piero Ostellino, guardando alla Chiesa come a «un’istituzione morale, ma anche politica», esorta i laici a non respingere «il suo pensiero come un’indebita intrusione nella sfera secolare» e a tenerne conto «almeno quanto ascolteremmo e rispetteremmo l’opinione di ogni altra autorità morale, religiosa o politica» (14). Carlo Cardia: «Cosa vuoi dire che i cattolici possono diventare fattore di divisione? Non sono stati sino ad oggi una delle grandi forze stabilizzatrici e di progresso del Paese? O forse divengono fattori di divisione quando sostengono determinati valori?

Se così fosse si tornerebbe indietro, ad una visione giacobina di volta in volta prevalsa laddove si è affermato uno Stato ostile alla religione: lo Stato concede di più ad una Chiesa se è più remissiva, ma diventa severo, esigente ed esattore, se la Chiesa è più autonoma. Ma il nostro deve essere uno Stato giusto e imparziale con tutti. Questo, probabilmente, è il punto che deve ancora maturare nell’attuale dibattito culturale e politico» (15)

Il panorama culturale e politico italiano non è, dunque, così fosco, né come vorrebbero far credere gli anticlericali né come vorrebbero far credere gli integralisti cattolici. È motivo di fondata speranza la presenza, nel mondo laico, di laici che non accettano l’anticlericalismo come un ingrediente necessario e inevitabile della laicità. Fa bene sperare anche un’altra constatazione. Nel loro complesso, gli italiani, sia quelli culturalmente più evoluti e aperti sia quelli più legati a posizioni tradizionali, sogliono manifestare, per innato equilibrio che è il frutto di un’alta civiltà, una categorica irriducibilità a quanto sa di estremo, di radicale (16).

È auspicabile che la laicità italiana sviluppi un convinto riconoscimento dell’apporto positivo della Chiesa alla vita sociale e riscopra l’importanza civile del fatto religioso. Ed è altresì auspicabile che la Chiesa, da parte sua, come ha notato Claudio Magris, sviluppi più ampiamente a livello medio la conoscenza di se stessa e della sua posizione pubblica e la divulghi e abbia cura di avvertire «a non lasciarsi ingannare dai tanti trucchi con cui l’idolatria pagana cerca di turlupinare gli uomini» (17).

Note

1) L. CAIMI, «Laicità», in Dizionario delle idee politiche, a cura di E. SERTI – G. CAMPANINI, Roma, Ave, 1993, 419.
2) Ivi, 420.
3) Cfr V. POSSENTI, «Ma così la scienza diventa ideologia», in la Repubblica, 18 gennaio 2008, 41; M. AlNIS, «Libera Chiesa in debole Stato», in La Stampa, 23 ottobre, 2007, 42.
4) Cfr R. MIGLIORINI, «L’inciviltà innanzitutto», in Avvenire, 23 novembre 2006, 31.
5) Cfr R. ceserani, «Christopher Hitchens, i guai della provocazione a ogni costo», in il manifesto, 9 settembre 2007, 10.
6) R. RÉMOND, Vous avez dit catholìque?, Paris, Desclée de Brouwer, 2008.
7) Cfr E. SCALFARI, «È difficile essere laici nel paese delle Chiese», in la Repubbli­ca, 16 dicembre 2007, 1 e 29.
8) Cfr G. vattimo, «Laicità e giochi di potere», in La Stampa, 21 dicembre 2007, 35.
9) Cfr G. ZlZOLA, «Miccoli: due papi nella storia», in Il Sole – 24 Ore, 14 ottobre 2007,41.
10) Cfr A. BERARDINELLI, «Perché l’idea di democrazia di Habermas è più larga del piccolo dogmatismo di Flores d’Arcais», in U Foglio, 12 dicembre 2007,1.
11) Cfr D. DELLE FOGLIE, «Se i laicisti giocano con le parole», in Avvenire, 12 marzo 2008, 29.
12) P. BATTISTA, «I fondamentalisti laici alle crociate (senza l’arma del dubbio)», in Corriere della Sera, 24 aprile 2006, 24.
13) id., «La lezione di Voltaire valga anche per il Papa», ivi, 14 gennaio 2008, 28.
14) P. OSTELLINO, «Perché ai vescovi va negata la libertà d’opinione?», ivi, 10 marzo 2007, 38.
15) C: CARDIA, «Laicità, giuste distinzioni e dialogo pacato», in Avvenire, 8 gennaio 2008, 23.
16) Cfr E trisoglio, Avvio atta politica, Cantalupa (To), Effatà, 2007, 68, nota 16.
17) Ivi, 258, nota 14.