Unioni gay, la realpolitik porta al “matrimonio”

gayAvvenire 30 maggio 2015

Caro direttore,

Abbiamo letto con attenzione la lettera di Lorenzo Dellai in tema di unioni civili.

Siamo d’accordo con Dellai sul fatto che coppie formate da persone omosessuali sono presenti nella nostra società, e che questa circostanza non può essere semplicemente ignorata dal diritto. Su questa mutazione antropologica, che non riguarda peraltro solo le persone omosessuali e coinvolge una rivoluzione in corso almeno dal 1968 sul modo di concepire la sessualità, molte cose sono state scritte e altre potrà dircene il Sinodo.

Dal punto di vista sociologico, sappiamo che i sondaggi sono ormai a loro volta armi improprie di lotta politica, ma il dato che sembra comunque emergere è che gli italiani sono in maggioranza favorevole a una regolamentazione dei diritti e doveri che derivano dalle convivenze, anche omosessuali, perplessi sul «matrimonio» fra persone dello stesso sesso, contrari alle adozioni e contrarissimi all’utero in affitto.

Sembrerebbe che – lasciando alla Chiesa la riflessione morale – un consenso politico possa essere dunque trovato, come alcuni suggeriscono, su forme di riconoscimento dei diritti e doveri dei conviventi omosessuali che però non imbocchino una strada che porti fatalmente al «matrimonio» e non comprendano le adozioni. Certamente non è questo il caso del disegno di legge Cirinnà che, secondo non un suo oppositore ma il suo primo ispiratore, il sottosegretario Scalfarotto, intervistato da «Repubblica» il 16 ottobre 2014, introduce «non un matrimonio più basso, ma la stessa cosa. Con un altro nome per una questione di realpolitik».

Inoltre il disegno di legge contiene già una significativa apertura alle adozioni, con la previsione della stepchild adoption, introduce un vero e proprio «rito» simile al matrimonio per l’avvio di una unione civile e richiama per questa le norme del codice civile che valgono per il matrimonio.

Esclusa dunque ogni apertura al DDL Cirinnà, per quanto eventualmente modificato con qualche emendamento cosmetico, si potrebbe immaginare una diversa legge sulle unioni civili che però chiuda la porta al matrimonio e alle adozioni? Si potrebbe. Però si tratterebbe di una legge non solo immaginata, ma immaginaria. Dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si ricava che nessun Paese è obbligato a introdurre nel suo ordinamento le unioni civili fra persone omosessuali. Se però lo fa, non può poi discriminare in materia di adozioni le coppie omosessuali «civilunite» rispetto a quelle formate da un uomo e una donna.

Dunque introdurre qualche cosa che si chiami «unioni civili» ed escludere le adozioni è giuridicamente impossibile. È come costruire un castello di carta, destinato a crollare al primo soffio di un giudice europeo, o magari italiano.

Quanto alla parola «matrimonio» le esperienze francese, inglese, irlandese – e la Germania seguirà – mostrano come, una volta che la società si è abituata a unioni civili sostanzialmente uguali al matrimonio, diventi poi molto difficile spiegare agli elettori perché non si dovrebbero chiamare matrimonio.

Un proverbio americano afferma che se un animale cammina come un’anatra e starnazza come un’anatra non ci sono ragioni per non chiamarlo anatra. Le unioni civili sono un brutto anatroccolo che, quando comincerà a camminare, chiederà di essere chiamato anatra. E allora sarà tardi per fermarlo.

Lo ha detto bene, e più di una volta, il cardinale Bagnasco: si possono riconoscere alle persone omosessuali tutti i diritti relativi alle visite in ospedale, in carcere, ai contratti di locazione e altri senza istituire quella che Scalfarotto chiama «la stessa cosa» del matrimonio. Questi diritti sono elencati dalla proposta di legge Sacconi-Pagano, su cui molti parlamentari stanno convergendo, che propone un testo unico dei diritti dei conviventi e non usa l’espressione «unioni civili».

Chi vuole che alle persone omosessuali siano riconosciuti tali diritti ma non vuole il «matrimonio» e le adozioni può e deve partire da questa proposta. Chi invece sostiene le unioni civili – nella versione Cirinnà o in altre – dovrebbe avere il coraggio di ammettere che sta aprendo la strada alle adozioni e al «matrimonio» omosessuale.

Massimo Introvigne presidente del Comitato Sì alla Famiglia

Alfredo Mantovano – vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino