Il paradosso: governo in crisi e opposizione sfilacciata

leader CdlItaliaOggi – 28 Febbraio 2007

All’esterno si è data un’impressione negativa: “ciascuno per sé senza unità alcuna”

di Marco Bertoncini

L’intero svolgimento della crisi di governo, fin dal momento del voto a palazzo Madama, se ha ovviamente segnato un deciso logoramento del centro-sinistra, che ne risentirà indipendentemente dal voto di fiducia, ha attestato lacerazioni all’interno del centro-destra. Queste differenze intestine sono, e non è la prima volta, tali da confermare la situazione complessiva: la Cdl è un’alleanza del passato, di fatto e di diritto oggi liquidata. È stato trascurato il netto distacco fra l’astensione dell’Udc e il voto contrario degli altri oppositori.

Il segretario dell’Udc Cesa ha perfino menato vanto della scelta di astenersi, asserendo che in tal modo si erano catturati decisivi voti di senatori a vita. Resta che alla camera, stante il diverso regolamento, l’astensione avrebbe significato un via libera. Resta che proprio l’opposizione netta e decisa, cioè un comportamento da mesi sgradito a Casini, ha provocato la crisi. Resta che i cittadini non capiscono perché in una votazione decisiva per Prodi un partito dell’opposizione si esprima in un modo e gli altri in un altro.

Le soluzioni proposte al capo dello stato, poi, sono apparse un arlecchino che sarà politicamente giustificabile, ma che alla stragrande maggioranza degli elettori di centro-destra ha dato un immenso fastidio. Nulla di preordinato. Nulla di concordato. Anzi, molto lasciato all’improvvisazione, a decisioni rabberciate, a iniziative estemporanee. Nel caso di Fini, al solito, Berlusconi si è espresso consultando pochi collaboratori, senza consultazione degli organi dipartito, come sempre ridotti a evanescenti orpelli per chi ne fa parte, senza che mai si svolga uno straccio di dibattito interno.

Insomma, di fronte a difficoltà evidenti del governo e della maggioranza, l’opposizione si è presentata sminuzzata, scombinata, fiacca. Certo, tutti erano consci dell’impossibilità oggettiva di arrivare alle urne. Tutti sapevano che la decisione più prevedibile era il rinvio di Prodi alle camere. Tutti ritenevano superfluo affannarsi per concordare una comune piattaforma senza esiti reali. Tuttavia all’esterno si è data un’impressione negativa: ciascuno per sé, senza unità alcuna. Si è sfiorato il ridicolo: la delegazione del gruppo Dc-Pri e altri, uscendo dallo studio di Napolitano, ha rilasciato una dichiarazione di Rotondi (Dc, per elezioni anticipate) antitetica a Del Pennino (Pri, per un governissimo).

In   An,   come nell’Udc, come nella Lega, sono pochi coloro che avvertono lo stato d’animo degli elettori del centro-destra, i quali sono avversi a larghe intese, compromessi, governi chissà perché definiti istituzionali, et similia. In Fi c’è, di solito, maggior sensibilità per l’esigenza di presentarsi compatti agli elettori, ma sovente questa esigenza deriva dalla volontà di far prevalere la volontà di Berlusconi.

Il grave è che si avvicinano importanti elezioni amministrative, alle quali esclusivamente un’unità senza tentennamenti potrebbe consentire al centro-destra di strappare qualche importante comune, o qualche provincia, all’altro polo. Ci si sta andando con i quattro partiti che rivendicano ciascuno una propria autonomia, e con le frange minori e minime delle quali occorre verificare ovunque il comportamento: il Nuovo Psi ha già formalmente sciolto il legame con la Cdl, mentre è di domenica scorsa la fuga di smarcamento del segretario repubblicano Nucara. Insomma: è l’esatto opposto di quel che sarebbe necessario.