Da Ratisbona a Milano: in difesa di Darwin contro l’ "attacco cattolico”

Una risposta all’evoluzionista Telmo Pievani che su Micromega n.10-2006 contesta il discorso del Papa a Ratisbona

di Mihael Georgiev

«Ratzinger e Küng uniti contro Darwin. L’uno è stato per anni a capo della moderna Inquisizione, l’altro il teologo più eretico degli ultimi tempi in materia di morale sessuale, sacerdozio femminile, infallibilità papale. Oggi le strade dei due antichi avversari tornano ad avvicinarsi in nome di un attacco comune alla scienza. L’etica li divide, Darwin li unisce».
L’allarme sull’ennesimo “attacco” a Darwin è stato lanciato in questi termini da Telmo Pievani, docente di epistemologia della scienza all’Università di Milano (Bicocca), con un articolo pubblicato su MicroMega (n. 10, anno 2006, pp. 83-96).

L’articolo prende spunto dalla lettura magistrale tenuta da Papa Benedetto XVI all’Università di Ratisbona il 12 settembre 2006 («Fede, ragione e università», Si tratta del discorso che ha suscitato le reazioni di alcuni credenti musulmani ma il cui contenuto, evidente già nel titolo, riguarda non tanto i rapporti tra cristianesimo e islam, quanto quelli tra fede, ragione e scienza.

Vale veramente la pena leggere il testo integrale del discorso, accessibile tramite il link indicato sopra.  Mentre a fare notizia sono state le proteste islamiche, per Pievani il discorso del pontefice nasconde un ben più importante attacco alla scienza e, più specificamente, contro Darwin. L’«attacco» sarebbe articolato sostanzialmente in due punti, che saranno analizzati separatamente. Il primo riguarda la natura della scienza, mentre il secondo considera il suo impatto sociale.

Ragione e natura della scienza

Dice Ratzinger: «Questo concetto moderno della ragione si basa, per dirla in breve, su una sintesi tra platonismo (cartesianismo) ed empirismo, che il successo tecnico ha confermato. Da una parte si presuppone la struttura matematica della materia, la sua per così dire razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla ed usarla nella sua efficacia operativa: questo presupposto di fondo è, per così dire, l’elemento platonico nel concetto moderno della natura. Dall’altra parte, si tratta della utilizzabilità funzionale della natura per i nostri scopi, dove solo la possibilità di controllare verità o falsità mediante l’esperimento fornisce la certezza decisiva […] Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio».

Pievani contesta tale definizione, sia perché formulata «all’insegna del più classico oggettivismo e realismo», sia perché  «non appartiene più alla scienza da almeno mezzo secolo». Tutte le definizioni sono discutibili, ma quella del pontefice mi sembra più che mai attuale: basta per esempio leggere l’opinione di scienziati moderni e premi Nobel come Richard Feynman (vedi R. Feynman: Il senso delle Cose, Milano, Adelphi, 2002, p. 25).

Non solo, ma è proprio la scienza così definita quella che ha portato alle vere scoperte e che costituisce il fondamento della moderna tecnologia. Perché allora la definizione non è piaciuta a Pievani, considerando che né l’oggettivismo né il realismo sono di per sé deplorevoli, anzi, la loro mancanza impedirebbe di fare scienza vera e propria?

Il problema è che circoscrivendo la scienza su queste basi, si escluderebbe da essa tutto ciò che scienza funzionale e operativa non è, ma è soltanto pensiero speculativo: quindi si escluderebbe anche Darwin e l’evoluzione. Ecco perché per Pievani «a Ratisbona si afferma che la teoria dell’evoluzione dimostra qualcosa che in realtà non esiste».

Scienza, filosofia e teologia

In conseguenza dei suoi limiti, specifica il Papa, la scienza «deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda sul perché questo dato di fatto esiste deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri livelli e modi di pensare – alla filosofia e alla teologia». In altre parole, certe cose della natura non sono conoscibili con il metodo scientifico e, per indagarle, la ragione deve affidarsi alla filosofia e alla teologia. Alla stessa conclusione del pontefice (chiamato «ex capo della moderna Inquisizione»), giunge anche il suo inatteso alleato nell’«attacco comune alla scienza», cioè Hans Küng (definito «il teologo più eretico degli ultimi tempi»).

Nel suo libro appena uscito in italiano (L’inizio di tutte le cose. Creazione o evoluzione? Scienza e religione a confronto. Milano, Rizzoli, 2006, pagine 263, € 18,00), Küng sosterrebbe che «la crisi dei fondamenti della scienza ci porta dritto alla possibilità di re-immettere nel discorso scientifico problemi metafisici, metaempirici e, perché no, teologici».

Per Pievani porre tali limiti alla scienza è inaccettabile, perché in questo modo la scienza viene sottomessa alla filosofia e addirittura alla  teologia: il Papa proporrebbe «una colonizzazione o annessione pregalileiana della scienza nella teologia, con conseguente rifiuto del darwinismo», mentre  Küng «una percolazione della teologia nella scienza, una sorta di impregnazione teologica della scienza, con conseguente rimozione del “problema Darwin”.»

Due posizioni che – nonostante alcune sfumature – porterebbero alla stessa e inaccettabile conclusione, che Pievani riassume così: «La scienza deve imparare a stare al proprio posto, a rispettare i limiti, altrimenti diventa razionalismo. La teologia invece non ha limiti, giacché vi può essere “analisi razionale di questioni metafisiche e teologiche” e pertanto anche la teologia diventa vera scienza».

Qui però la tesi di Benedetto XVI è travisata: il Papa non sostiene affatto che «anche la teologia diventa vera scienza» ma, al contrario, afferma che la teologia e la filosofia – a differenza e quindi in contrapposizione al metodo di pensare delle scienze naturali – appartengono «ad altri livelli e modi di pensare», che della scienza non sono né concorrenziali né sostitutivi, ma complementari.

Per quanto riguarda invece Küng, questi sembra dare più fastidio non tanto per le sue tesi – che non aggiungono molto al discorso del pontefice – quanto per avere “tradito” certe aspettative. Scrive infatti Pievani: «Con ricercato tempismo [rispetto al discorso di Ratisbona] esce ora in Italia la traduzione di un saggio sullo stesso argomento, scritto nel 2005 da un altro teologo di area tedesca, Hans Küng, noto per le sue posizioni fortemente eterodosse […]. Vi aspettate una severa reprimenda contro l’irrigidimento teologico imposto al magistero cattolico dall’ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede? Non proprio. Quando il problema è quello del rapporto fra scienza e fede, fra naturalismo e trascendenza, in particolare fra evoluzione e creazione – quando, insomma, il problema si chiama Charles Darwin – la radicalità della sfida produce inaspettate alchimie teologiche».

Il “complotto” contro la scienza

Il fatto che Benedetto XVI e Hans Küng si siano occupati dello stesso problema e siano giunti alle stesse conclusioni, ha convinto Pievani che il Vaticano ha una precisa  «strategia della sponda al disegno intelligente» americano. A sostegno di tale tesi – che fa da sfondo di tutto l’articolo – Pievani cita altri due esponenti cattolici. Il primo è l’arcivescovo di Vienna cardinale Christoph Schönborn, «partito lancia in resta con una personale campagna a favore dell’Intelligent Design – la dottrina secondo cui vi sarebbero prove scientifiche dell’esistenza di un progetto divino e intelligente nella storia naturale» (articolo pubblicato il 7 luglio 2005 sul New York Times).

Il secondo è Fiorenzo Facchini che, nel suo articolo “Evoluzione e creazione” (L’Osservatore Romano del 17 gennaio 2006, ), avrebbe fatto lo stesso da sponda all’Intelligent Design, sebbene in modo astuto e non aperto come Schönborn. Facchini è docente di antropologia all’Università di Bologna ed è evoluzionista convinto.

Non però fino al punto – ed è questa la sua colpa – di credere che l’evoluzione esclude l’intervento divino: «La scienza in quanto tale, con i suoi metodi, non può dimostrare, ma neppure escludere che un disegno superiore si sia realizzato, quali che siano le cause, all’apparenza anche casuali o rientranti nella natura»; per cui «in una visione che va oltre l’orizzonte empirico, possiamo dire che non siamo uomini per caso e neppure per necessità, e che la vicenda umana ha un senso e una direzione segnate da un disegno superiore».

Ci risiamo, dunque: oltre l’orizzonte empirico non c’è scienza, ma campo libero per la filosofia e la teologia. A questo punto non ci sarebbero più dubbi: nell’arco di poco più di un anno, da Schönborn a Facchini a Ratisbona, passando per Küng e per il seminario di Castel Gandolfo tenutosi su questi temi ai primi di settembre del 2006, appare chiaramente un disegno dalla strategia evidente: rifiutare l’idea che il mondo sia un risultato casuale dell’evoluzione e quindi una cosa irragionevole.

Non mancano dei particolari gustosi di questo “complotto” contro la scienza, come ad esempio l’idea che il patto per un attacco comune sarebbe stato suggellato durante un «incontro pacificatore fra Ratzinger e Küng, tenutosi in Vaticano il 24 settembre 2005», in seguito al quale «con un’operazione di marketing editoriale genialmente spregiudicata, il nuovo pontefice ha accettato di firmare sul risvolto di copertina del libro [di Küng] uno “strillo” pubblicitario che recita: “Un importante contributo al rilancio del dialogo tra fede e scienza”».

Da buon professore universitario Telmo Pievani dà anche lezioni in casa propria. Così, mentre  Küng è utilizzato per stigmatizzare la figura del “traditore”, l’articolo di Facchini è utilizzato per dare una lezione a certi ignoranti e altri potenziali “traditori”, quali gli «intellettuali nostrani, soprattutto di sinistra e soprattutto ex marxisti», che «si sbracciavano per congratularsi del progressismo e dell’apertura mentale del Vaticano», mentre «ai più sfuggivano i contenuti reali dell’articolo di Facchini».

Gli intellettuali di sinistra sarebbero quindi poco intelligenti e non avrebbero capito che l’articolo di Facchini era rivolto solo in apparenza contro l’Intelligent Design,  mentre in realtà sosteneva il concetto del disegno superiore nella natura.

Non manca il consiglio pratico: se gli ignoranti intellettuali di sinistra si devono proprio sbracciare a tutti i costi per congratularsi del progressismo e dell’apertura mentale del Vaticano, almeno riservino i loro applausi a «più avvedute porpore vaticane come il cardinale Poupard» (Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, l’unico ad avere superato l’esame di “avvedutezza”, battendo Schönborn, Facchini,  Küng e lo stesso pontefice, che invece sono bocciati, cioè  sprovveduti).

Impatto sociale della scienza

Ma torniamo al discorso di Ratisbona e vediamo il secondo punto dell’«attacco alla scienza», che riguarda l’impatto della scienza sulla vita dell’uomo e della società umana. Dopo aver discusso le caratteristiche della scienza ed i suoi limiti nello studio della natura, il Papa così prosegue: «Ma dobbiamo dire di più: se la scienza nel suo insieme è soltanto questo, allora è l’uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del “da dove” e del “verso dove”, gli interrogativi della religione e dell’ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla “scienza” intesa in questo modo e devono essere spostati nell’ambito del soggettiv. […] e la “coscienza” soggettiva diventa in definitiva l’unica istanza etica. In questo modo, però, l’ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell’ambito della discrezionalità personale. È questa una condizione pericolosa per l’umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione – patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell’ethos non la riguardano più. Ciò che rimane dei tentativi di costruire un’etica partendo dalle regole dell’evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è semplicemente insufficiente».

Per Pievani questo ragionamento è assolutamente inaccettabile. Sostenere che l’evoluzione è insufficiente come fondamento per la costruzione di un’etica non solo indicherebbe «una posizione teologica fortemente anticulturalista», ma addirittura impedirebbe il dialogo tra scienza e fede, tra naturalismo e teologia, perchè significherebbe essere «ancora inchiodati a una teologia che non accetta la sfida del naturalismo, della sua autonomia e autosufficienza, della sua capacità di essere un contesto laico in cui elaborare propri valori, in cui discutere di etica, del senso della storia, del posto dell’uomo nella natura e anche dei limiti da porre alla scienza».

L’uomo tra scienza, evoluzione e filosofia

Per quanto mi riguarda, sono d’accordo con Pievani che «uno scienziato può benissimo sentirsi in pace con se stesso anche considerando l’ipotesi Dio come del tutto superflua e non pertinente.» Sono anche d’accordo che «il naturalismo è un’opzione autonoma, libera, consapevole e piena di senso, a suo modo»: purché sia chiaro che si tratta di un’opzione filosofica e non scientifica.

Sono anche d’accordo che tale opzione filosofica consente di «concepire la storia naturale in modo del tutto laico, senza ricorrere ad alcun principio trascendente né ad alcuna causa finale» e che consente di dare alle «grandi domande dell’esistenza umana evocate a Ratisbona una risposta evoluzionistica: “veniamo da” un’affascinante e contingente storia naturale che avrebbe potuto condurre a un esito molto diverso; andiamo “verso dove” le nostre possibilità biologiche e culturali sapranno condurci.»

Risposta rispettabilissima, che però non è fornita dalla scienza, bensì dalla filosofia, più precisamente dal naturalismo, o come veniva chiamato dai marxisti, “materialismo scientifico”. Non so che risposte ha dato l’evoluzione a Pievani e nemmeno se tali risposte siano sufficienti. So però che  la scienza – quella vera – non ci dice «da dove» veniamo. In compenso ci dice benissimo dove andiamo, cioè «verso dove» ci portano le «nostre possibilità biologiche»: come individui, verso la degenerazione e la morte; come specie, verso la progressiva riduzione della vitalità e la conseguente estinzione. Questo sì che è un fatto – addirittura misurabile – ed è dovuto all’inesorabile accumulo di mutazioni che nessuna selezione, né naturale né artificiale, è in grado di bloccare.

Le stesse mutazioni che per la scienza immaginaria darwiniana portano all’evoluzione, ma per la biologia – scienza vera e non immaginaria –  portano all’esatto contrario, cioè alla degenerazione del genoma. Non è altrettanto chiaro dove ci portano invece le «nostre possibilità culturali»; questo è un problema più complesso e controverso, nel quale non ho la competenza per rispondere. Non sono però sicuro che l’evoluzione – madre del razzismo, del comunismo, del nazismo e del capitalismo selvaggio – abbia molto di cui vantarsi come concetto fondante l’etica della convivenza umana.