Pasolini come la Fallaci: la minaccia islamica sulle nostre radici cristiane

Pasolini

Pier Paolo Pasolini

Dalla newsletter lo Straniero del 30 ottobre 2006

Un curioso precedente… Che ci pone una domanda: perché il nostro popolo ha completamente perduto la sua memoria storica? Perché sembra aver tagliato completamente le sue radici? Com’è possibile cancellare secoli di vita, di fede, di dolore dei nostri padri ?

di Antonio Socci

Pier Paolo Pasolini come Oriana Fallaci? Anzi, di più: Pasolini come un precursore della Fallaci? Non è una provocazione, come parrà alla cultura ufficiale e a quella di sinistra che hanno realizzato per anni una curiosa rimozione. Infatti, proprio lo scrittore e regista friulano (uno dei simboli della Sinistra intellettuale e cinematografica) è l’autore dell’unica (che io sappia) opera teatrale che racconti la tragedia delle popolazioni italiane per secoli massacrate da scorribande musulmane o ridotte in schiavitù, straziate e minacciate di invasione.

I musulmani (nelle loro diverse componenti: arabi, turchi e altro ancora) da quattordici secoli tentano di invadere con gli eserciti l’Europa. Sono arrivati fino ai Pirenei (a Occidente), fino a Vienna (a Oriente) ) e in Sicilia (al Sud), divorandosi Bisanzio e i Balcani (e la Spagna che hanno dominato per quattrocento anni). Per secoli le coste italiane sono state teatro delle razzie islamiche. Non solo la Puglia, ma perfino Roma. Il Friuli poi, terra di confine, ha subito specialmente nel XV secolo atrocità e devastazioni che sono rimaste nella memoria popolare e nella storia.

Pasolini scrive un dramma teatrale di fortissimo impatto emotivo, “I Turcs tal Friul” (I turchi in Friuli), nel 1944, nei mesi dell’occupazione nazista che ricorda ai friulani l’orrore vissuto 500 anni prima. E anche questa equiparazione, che diventerà tipicamente fallaciana, fra oppressione nazista e oppressione musulmana, dovrebbe far rabbrividire la sinistra politically correct.

Così come la conseguente analogia operata da Pasolini fra la Resistenza all’occupante nazista e la Resistenza all’invasore islamico. Ma curiosamente a Sinistra sembra non si sia colto questo “fallacismo” ante-litteram di Pasolini. Lo dimostrano vari episodi. Ecco il più curioso. Proprio nei mesi in cui più infuriava la polemica pacifista e progressista contro la Fallaci, nel 2004, è uscito un disco – pubblicizzato nei siti internet della sinistra più vetero – intitolato “Partigiani! Zuf de Zur” con una copertina che in bianco e nero propone un’immagine della Resistenza. Il disco è addirittura introdotto dal parlato di un vecchio partigiano, Giovanni Paddan, commissario politico della Divisione Garibaldi-Natisone.

La raccolta contiene vari canti partigiani, ospita una canzone di Ivan Della Mea tratta dalla lettera di un ragazzo ebreo chiuso in un lager nazista, la voce dell’artista ebreo Moni Ovadia che esegue l’inno della resistenza del ghetto di Vilna e infine Giovanna Marini che interpreta “Madonuta”, un testo di Pier Paolo Pasolini tratto appunto da “I Turcs tal Friul”. Il disco si conclude con una poesia di Ivan Della Mea “Contro tutte le guerre senza se e senza ma”. Poesia ultrapacifista che suona assai strana fra tutti quegli inni alla resistenza armata e al combattimento.

Evidentemente – questa è la filosofia del disco e della Sinistra – l’unica guerra giusta è stata quella al nazismo. E il testo di Pasolini è stato assimilato ai canti partigiani perché considerato solo una metafora della guerra partigiana. Sennonché l’oppressione islamica non fu affatto una metafora, fu sanguinaria, storicamente devastante e di una efferatezza che non ha eguali. I turchi occupavano la Bosnia dal 1389 e la Slovenia dal 1415. Le loro bande facevano continue razzie in Friuli per saccheggiare le campagne e catturare contadini da vendere come schiavi. Il 31 ottobre 1477 inizia l’invasione dell’esercito turco. Nei paesi fanno strage di uomini, vecchi e bambini, catturando come schiavi ragazzi e donne.

Il 28 settembre 1499 poi 30 mila soldati comandati da Iskander Beg dilagano sulla pianura fra Isonzo e Tagliamento (ma spingendosi fino a Treviso), saccheggiando, stuprando e incendiando città e villaggi. La povera gente contadina fugge nei boschi, ma molti vengono catturati e deportati e circa 25 mila saranno gli uccisi. “Il 4 ottobre” scrive Archimede Bontempi “satura di bottino e di schiavi, l’armata ottomana si accinge a ripassare il Tagliamento, ma il fiume è in piena e non tutti i prigionieri stanno sulle zattere. Iskander Beg ne fa sgozzare più di mille sul greto del fiume”. L’armata poi “travolge la disperata resistenza dei friulani guidati da Simone Nusso, di San Daniele, che finisce impalato”.

Non a caso verrà proprio da questa insanguinata terra friulana il grande Marco d’Aviano – frate cappuccino recentemente portato agli onori degli altari dalla Chiesa – che dette vita alla resistenza cristiana, durante l’assedio di Vienna del 1683. Grazie alla vittoria di Vienna l’Europa fu salva e il protagonista dell’impresa fu Marco d’Aviano. “Senza di lui oggi le italiane, e non solo loro, porterebbero il burqa” dice Renzo Martinelli, regista del film “Il mercante di pietre”, che un Gianfranco Fini conformista e superficiale ha condannato come “becera propaganda” antislamica.

Le indicibili atrocità degli invasori turchi, le migliaia di vittime e di italiani deportati come schiavi, l’incubo lungo alcuni secoli vissuto dalle nostre popolazioni dal Nord fino al Sud, sembra siano state del tutto cancellate dalla nostra memoria collettiva. Anzi, oggi che l’Unione europea (e per prima l’Italia) sta spalancando le porte alla Turchia (70 milioni di musulmani), si pretende di “censurare” non solo le atrocità del lontano passato, ma pure quelle recentissime come il genocidio degli armeni (che i turchi non tollerano venga loro rinfacciato).

Nel sito dell’ambasciata turca in Italia si può leggere una surreale conferenza dell’ambasciatore turco in Italia che, l’8 maggio 2003, a Istanbul, racconta la squisita ospitalità ricevuta a Otranto dove nel 1480 i turchi tagliarono la testa agli 800 superstiti maschi dell’assedio. L’ambasciatore prendeva parte come “ospite d’onore” alle cerimonie per i 520 anni di quell’evento e non si è sprecato in parole di condanna, né in scuse.

Poi è stato invitato anche in Friuli perché, spiega eufemisticamente, “i nostri avi erano passati anche da questi luoghi”. Per la verità hanno lasciato un ricordo orrido, ma l’ambasciatore dice trionfalmente che “l’amicizia fra i turchi e gli italiani ha sempre vinto” e condanna coloro che “si sono specializzati a trarre inimicizia dalla storia”. Ce l’aveva forse con la Fallaci.

Naturalmente è meglio non trarre inimicizia dalla storia, purché però la storia non sia censurata e il giudizio sul male compiuto sia chiaro. Così non sembra oggi visto che la Turchia continua a censurare i crimini del passato e il suo premier Erdogan – dopo la conferenza del papa a Ratisbona – è stato il più arrogante nel pretendere le “scuse” del Pontefice, reo di aver citato il Paleologo che ricordava le atrocità delle invasioni musulmane.

L’ambasciatore turco in quella conferenza citò anche l’opera di Pasolini, ma solo en passant. Invece proprio quel testo darebbe un prezioso aiuto al recupero della nostra memoria di popolo. Perché – come scrisse Enzo Siciliano – mette in scena, sul modello della tragedia greca, un’ “epica contadina, istintivamente cristiana” ed è un “elogio della solidarietà comunitaria”.

Insomma dà voce forte e commovente alle antiche radici cristiane del nostro popolo. Le uniche a resistere. “Cristo, pietà del nostro Paese”. Questo è il grido iniziale dell’opera pasoliana. Il popolo semplice e buono della campagna friulana sente la chiesa come la sua casa e il suo cuore. E sarà la preghiera alla fine che salverà il villaggio di Casarsa, propiziando il miracolo di un uragano che allontana i barbari sanguinari.