Perché la chiesa non deve vergognarsi della parola creazione

Benedetto_coverIl Foglio, 29 settembre 2006

LINDAU PUBBLICA UN RATZINGER INEDITO DELL ’85, CHE SPIEGA COME LO SCIENTISMO RIDUCA L ’UOMO A “SCIMMIA SENZA PELI ”

“I discorsi artificiosi dei cristiani non trasmettono convinzione ma cercano solo di mascherare la sconfitta ”.“Höss, l’ultimo comandante di Auschwitz, ha affermato nel suo diario che quel campo di sterminio fu uno straordinario capolavoro di tecnica ”

“La minaccia alla vita da parte dell’azione dell’uomo, di cui oggi tanto si parla, ha conferito nuova urgenza al tema della creazione. Nello stesso tempo, però, assistiamo paradossalmente alla scomparsa quasi totale dell’annuncio della creazione dalla catechesi, dalla predicazione e perfino dalla teologia”.

“Fu con queste parole, pronunciate nel 1985, che il professor Joseph Ratzinger riaprì il dibattito sul tema della creazione, dopo averne a lungo discusso alla fine degli anni Sessanta. Ora le sue straordinarie lezioni sull’evoluzione, il Logos e l’origine della libertà umana vengono tradotte e ripubblicate da Lindau con “In principio Dio creò il cielo e la terra”.

Si tratta di un ciclo di prediche in cui Ratzinger affronta di petto prima di tutto il cristianesimo, che “fa l’impressione di una associazione che continua a parlare benché non abbia più nulla da dire, perché i suoi discorsi artificiosi non trasmettono convinzione ma cercano solo di mascherare la sconfitta”. La parola “creazione” diventa dominante nel discorso ebraico durante l’esilio babilonese, il popolo eletto non ha più casa né tempio, come se il Dio d’Israele fosse vinto.

“Proprio in quest’ora i profeti aprirono una nuova pagina insegnando a Israele che solo ora si stava manifestando il vero volto del loro Dio, che non era legato a un fazzoletto di terra. Anzi, non lo era mai stato”. L’incontro fra sapienza ebraica e saggezza greca innescò la più grande rivoluzione nella storia dell’umanità.

“Agli uomini di allora doveva apparire un’enorme empietà dichiarare le grandi divinità del sole e della luna due lampade per misurare il tempo. E’ questo l’ardimento, il realismo della fede, che in polemica con i miti pagani fa brillare la luce della verità, mostra che il mondo non è l’arena dei demoni bensì proviene dalla ragione, dalla ragione di Dio, e poggia sulla parola di Dio”.

Vent’anni dopo nel discorso di Ratisbona ritroveremo questo stile, questo afflato e questa radicale capacità di persuasione. Il racconto della creazione rivela l’autentico volto dell’“illuminismo” della storia, ovvero “l’esodo dalle paure che avevano attanagliato l’uomo.

Significa la consegna del mondo alla ragione, il riconoscimento della sua razionalità e libertà. Dimostra di essere il vero illuminismo, anche per il fatto che ancora la ragione umana al fondamento originario della ragione creatrice di Dio, per mantenerla così nella verità e nell’amore, senza le quali l’illuminismo diventa sregolato e alla fine stolto”.

I Dieci comandamenti sono “l’eco della creazione, non regole arbitrarie con cui si limita la libertà dell’uomo; sono introduzione allo spirito, al linguaggio e al senso della creazione”. In quelle pagine è racchiuso l’intero splendore intellettuale del grande teologo, su un tema tanto scomodo per la stessa teologia cattolica.

Ratzinger sprona il cattolicesimo a non subire la sfida della scienza, ma ad annunciare l’origine finita e assoluta dell’uomo. Dunque libera. Ratzinger afferma che le nuove scoperte scientifiche, a partire dall’unicità biogenetica della vita umana, sono un riraccontare la creazione della Genesi.

“La fisica, la biologia, le scienze naturali in genere, ci hanno fornito un racconto della creazione nuovo, inaudito, con immagini grandiose e nuove, che ci permettono di riconoscere il volto del Creatore e ci fanno di nuovo sapere: sì, all’inizio e al fondo di tutto l’essere c’è lo Spirito creatore. Il mondo non è il prodotto dell’oscurità e dell’assurdo. Esso deriva da un’intelligenza, deriva da una libertà, da una bellezza che è amore. Riconoscere questo ci infonde il coraggio di vivere, il coraggio che ci rende capaci di affrontare fiduciosi l’avventura della vita”.

La tensione umana verso la religione si inserisce nel mistero della creazione. “La creazione è edificata in modo da tendere all’ora dell’adorazione. Il creato venne fatto per essere un luogo di adorazione. Il pericolo delle nostre civiltà tecniche risiede nell’aver tagliato i ponti con questo sapere originario, nella saccenteria di una scientificità malintesa che ci impedisce di ascoltare le direttive della creazione”.

Al lettore si aprono cinque soliloqui fitti di riferimenti laici, da Karl Marx ad Ernst Bloch a Simone Weil, in cui Ratzinger riserva ampie parole contro l’onnipotenza tecnica: “Robert Oppenheimer racconta che quando si prospettò la possibilità della bomba atomica, essa fu per i fisici atomici il technically sweet, l’attrattiva, il fascino tecnico, come un magnete che li attirava a volere, e fare, il tecnicamente possibile.

Höss, l’ultimo comandante di Auschwitz, ha affermato nel suo diario che quel campo di sterminio fu uno straordinario capolavoro di tecnica. Era stato il piano del ministero a valutare l’ampiezza dei forni crematori e la loro potenza di fuoco, accordandole in modo da ottenere un funzionamento sincronizzato e ininterrotto: ciò costituiva un programma così affascinante e coerente da giustificarsi da solo”.

L’uomo è esposto alla tentazione di considerare come ragionevole e quindi come serio solo ciò che può essere certificato con l’esperimento e con il calcolo. La tecnica può rivelarsi fonte di orrore. “E la creazione prodotta dalle mani dell’uomo non appare più semplicemente come la sua – forse unica – speranza, bensì al contrario come la minaccia che incombe su di lui, come la minaccia mediante cui egli taglia il ramo su cui siede, mentre la creazione esistente appare come il rifugio a cui egli guarda come in retrospettiva e che cerca di nuovo”. Ratzinger denuncia la “gnosi attuale”, l’ideologica “rinuncia alla creazione” e l’idea per cui “l’uomo è un bel nulla, una scimmia senza peli, un topo particolarmente aggressivo, ma forse potremmo ancora fare di lui qualcosa…”.

Alla vulgata scientista la Bibbia risponde in modo molto semplice: “Chi profana l’uomo, profana la proprietà di Dio. Dove l’uomo non viene più considerato come colui che sta sotto la protezione di Dio, non viene più visto come colui che porta in sé l’alito di Dio, lì hanno inizio le riflessioni che lo valutano secondo il suo valore utilitaristico. Lì comincia la barbarie che ne calpesta la dignità”.