Integrazione: un mito ucciso dalla barbarie

il Giornale, 18 agosto 2006

di Rino Cammilleri

La dimostrazione che la mentalità delle sinistre è sostanzialmente ancora marxista, cioè giacobina (la pretesa di una minoranza, una volta al potere, di «educare» il popolo anche contro la sua volontà) e teorica, è stata data dall’episodio di Hina, la ragazza pakistana sgozzata dal padre perché frequentava un italiano.

Episodio atroce ma, ci si passi l’espressione, provvidenziale se servirà a fare accapponare la pelle anche alle teste gloriose che hanno pensato di concedere la cittadinanza agli immigrati dopo soli cinque anni, incuranti di stravolgere le basi stesse del nostro ordinamento giuridico sostituendo lo jus sanguinis (cioè, diventa cittadino il figlio di cittadini) con lo jus soli (per diventare cittadino basta la semplice residenza).

La mentalità di cui sopra, unita a un calcolo di bassa cucina elettorale (per avere il voto degli immigrati resi cittadini), fa diventare il legislatore un notaio dell’umore popolare, visto che deve fare marcia indietro per non essere preso a sassate. Il caso di Hina dimostra che la concessione della cittadinanza non basta a garantire l’integrazione perché per cambiare mentalità e barbariche usanze ci vuole, come minimo, un lungo periodo di assimilazione, quando almeno le seconde generazioni avranno sostituito le prime.

La ventenne Hina, infatti, voleva vivere da italiana; il padre, invece, era rimasto pakistano fin nel midollo, anche se pagava le tasse da noi. Così, Hina, che viveva da italiana, è morta da pakistana. E non è un caso isolato.

Nella stessa Brescia, la notte del primo luglio, la caserma dei carabinieri era stata assediata da una folla di pakistani. Come ha riportato il Corriere della sera, ma solo il 18 agosto, il portone della caserma di piazza Brusato era stato preso a pugni e calci, addirittura il piantone era stato insultato, percosso e poco ci era mancato che non venisse disarmato.

C’è voluto l’arrivo dei rinforzi per evitare il peggio, ma le forze dell’ordine hanno dovuto subire l’umiliazione di non poter reagire con la forza. Quel gruppo di facinorosi voleva indietro una delle loro ragazze, una come Hina (erano amiche e coetanee), una il cui solo torto era fare da interprete per i carabinieri.

La poveretta è adesso protetta dei carabinieri e, per sua fortuna, non si sa dove sia finita. Che farà, ora? A chiederne la riconsegna erano i genitori, i fratelli, i parenti, seriamente intenzionati a insegnarle a fare la brava musulmana. Poiché la «lezione» sarebbe stata molto simile a quella impartita a Hina (atroce: gli zii la tenevano mentre il padre le tagliava la gola), la disgraziata ha chiesto asilo e protezione alla nostra polizia.

E sicuramente i parenti oseranno rivolgersi alla magistratura contro i carabinieri per sequestro di persona, perché certi politici hanno insegnato loro solo a rivendicare diritti ma non a sottostare a doveri.

Ma un Paese che ha espunto da mezzo secolo il «delitto d’onore» dai suoi codici non può certo tollerare un passo indietro; anzi, qualcosa di peggio, perché, nel caso di Hina e del suo fidanzato, un «uomo d’onore» vecchio stampo se la sarebbe presa col fidanzato, non con la ragazza.

Morale: se vogliono la cittadinanza dimostrino con abbondanza di prove di essere diventati civili, soprattutto nella vita privata e domestica, questi vigliacchi sgozzatori di donne. Un’ultima considerazione: tra tutte le religioni esistenti al mondo, quella più «difficile» è l’islamica. E proprio con questa abbiamo scelto di sopperire alla nostra mancanza di manodopera.