Cammilleri: un successo che confonde la Chiesa

DaVinci Codex_coverIl Giornale 30 aprile 2006

di Rino Cammilleri

È praticamente almeno un anno che il sottoscritto gira l’Italia, su invito, a parlare del Codice da Vinci nei vari circoli culturali di cui la nostra penisola grazie a Dio non è avara. E, poiché ne parla generalmente male, sulla scia di Introvigne, Sgarbi e, tra poco, il nostro Tornielli, quasi immancabilmente c’è qualcuno tra gli astanti che obietta, pressappoco, così: insomma, in fondo è solo un romanzo. Rispondiamo che è appunto quel «solo» a far problema.

Infatti, com’è noto, l’autore va dicendo dappertutto che la storia che sta alla base di quel romanzo è vera eccome. In ogni caso, lui ci crede. Nelle prime edizioni, infatti, c’era una paginata di «avvertenze» che insisteva sull’autenticità dei documenti su cui il romanzo si fonda. La pagina, dopo diverse e qualificate levate di scudi, è stata tolta dall’editore ma poi rimessa su richiesta dell’autore.

La cosa rischia di ripetersi per il film che dal romanzo è tratto e che sarà sui nostri schermi in maggio. Pare, infatti, che l’Opus Dei abbia chiesto alla Sony Pictures, produttrice del film, di inserire nei titoli di testa qualcosa come la classica frase «ogni riferimento eccetera eccetera è da considerarsi puramente casuale».

Non si sa ancora, però, se la richiesta verrà accolta. Orbene, in una recente puntata di Matrix, il talkshow condotto da Enrico Mentana su Canale 5, alle colorite prese di posizione di Sgarbi sulla faccenda della Maddalena al posto di San Giovanni nella tempera (non è un affresco, infatti) leonardesca L’ultima cena, il responsabile Mondadori dell’operazione italiana sul libro, Ferrari, ha ribadito che non è il caso di prendersela tanto calda: in fondo, è solo un romanzo. Insomma, ‘sta storia che in fondo è solo un romanzo è veramente un tormentone-luogo comune, e pare che il mondo si divida in base a questa opinione.

Ora, uno degli ormai tantissimi libri scritti contro il bestseller di Dan Brown, opera dello spagnolo Ullalte, risponde a questa obiezione con una controbiezione non priva di validità. Cioè, se a uno scrittore venisse in testa di scrivere un romanzo basato interamente sulle avventure erotiche di mia madre e io insorgessi indignato, vanamente egli mi opporrebbe che in fondo è solo un romanzo, perché di certo lo inviterei a usare come protagonista la sua,di madre, che tra l’altro conosce sicuramente molto meglio della mia.

Il fatto è che, tirando in ballo Cristo, si tocca qualcosa che per molta gente è anche più importante della mamma, dal momento che, in duemila anni, ben settanta milioni di persone sono state uccise perché credevano che Gesù fosse davvero il Figlio di Dio. E la mattanza non sembra essere cessata, visto che si contano ancora sui centocinquantamila cristiani trucidati ogni anno in odio alla loro fede.

Naturalmente, il romanzo di Dan Brown non è stato incentrato su sconvolgenti rivelazioni atte a mandare a gambe all’aria la fede in Allah,in Buddha, in Kalì, in Jahwé o nell’Olocausto, perché sarebbe stato sgozzato da un pezzo o almeno in galera come Irving. Certo, se uno davvero credesse nei complotti storici come fa lui, dovrebbe cominciare a sospettare un’operazione internazionale di risposta politicamente corretta allo strepitoso successo di The Passion di Mel Gibson: altro che morte e resurrezione, Gesù aveva figliato con la Maddalena ed era femminista, e la Chiesa è da due millenni un’organizzazione criminale.

Già, perché quarantotto milioni di copie vendute (a tutt’oggi, più quelle che farà vendere il film) non sono «solo» un romanzo ma un fenomeno sociale. E, si badi, non sono certo state vendute in Cina o in Mongolia o in Africa, bensì soprattutto in America e in Europa (quasi quattro milioni solo in Italia); dunque, a cristiani di battesimo.

La cosa dovrebbe costituire se non altro un campanello d’allarme per la Chiesa cattolica, tirata in ballo direttamente nel romanzo: se anche un piccola percentuale di quasi cinquanta milioni di cristiani ha preso per buone le fesserie del Codice da Vinci, c’è da chiedersi a cosa servano centinaia di migliaia di catechisti, insegnanti di religione, preti e omelie domenicali.