Denatalità, quello che anche la Chiesa non dice

aula_vuotaSvipop 27 marzo 2006

di Riccardo Cascioli

Diciamo subito una cosa per sgomberare il campo da equivoci: non ci fosse stata la Chiesa in questi anni ad alzare la voce, politici ed opinione pubblica non si sarebbero ancora accorti che in Italia – così come in Europa – esiste da oltre trent’anni il problema denatalità.

Lo si è visto ancora nei giorni scorsi, quando l’Istat ha presentato le anticipazioni sulle previsioni fino al 2050 dei cambiamenti nella popolazione italiana. E’ stato praticamente ignorato – con l’esclusione di Avvenire – il dato che dovrebbe fare maggiormente riflettere: pur in previsione di un aumento del tasso di fertilità dagli attuali 1,33 figli per donna agli 1,6 fra 45 anni; pur considerando il continuo aumento della vita media; pur prefigurando un aumento degli ingressi annui di immigrati, la popolazione italiana residente è destinata a diminuire al punto che nel 2050 ci saranno circa 3 milioni di persone in meno rispetto a oggi (55,8 milioni contro 58,6).

Si tratta di una situazione che sta già portando – e lo farà ancora di più in futuro – importanti cambiamenti sociali ed economici. Eppure di questo tema, anche in campagna elettorale, non si parla. E invano il cardinal Camillo Ruini, da diversi anni, a ogni assemblea della CEI rilancia l’allarme e richiama i politici ad affrontare il problema. Da parte sua, il Pontificio Consiglio per la Famiglia è dall’inizio degli anni ’90 che propone studi e lancia l’allarme sull’inverno demografico. Qual è dunque il problema?

Il problema è che lanciare gli allarmi non basta, richiamare i politici ad adottare politiche pro-famiglia e pro-vita è riduttivo – sebbene necessario – e se non è accompagnato da una riflessione più ampia  rischia paradossalmente di essere fuorviante. Soprattutto si ignora il fattore decisivo che gioca nella drastica riduzione dei tassi di fertilità, ovvero l’aspetto culturale.

O meglio ancora, l’aspetto che determina la cultura, ovvero quello religioso. Non ci si può infatti appellare a una generica cultura della vita se non si affronta ciò che di una cultura della vita è all’origine. Se guardiamo ai dati ne abbiamo una conferma. L’evoluzione della fertilità nei Paesi cattolici (Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Polonia), mostra infatti che i tassi di fertilità scendono rapidamente in coincidenza di un altrettanto rapido processo di secolarizzazione. Il venir meno della fede è dunque il vero problema.

I vantaggi o svantaggi economici e sociali certamente incidono – soprattutto nel numero di figli che una coppia ha – ma la decisione di mettere al mondo dei figli non dipende ultimamente da un calcolo economico e sociale. Lo dimostra l’esperienza di altri Paesi europei che già da decenni attuano politiche pro-nataliste o che conciliano famiglia e lavoro. Dei miglioramenti nel tasso di fertilità ci sono, ma sempre relativi e comunque sempre ben al di sotto della soglia di sostituzione (il livello di equilibrio di una popolazione, 2,1 figli per donna).

Una recente ricerca di studiosi americani, “Dalle panche vuole alle culle vuote: il declino della fecondità tra i cattolici europei”, mette in evidenza due fattori legati alla secolarizzazione: anzitutto il venir meno dell’incidenza degli insegnamenti morali nella vita quotidiana; e poi il crollo delle vocazioni religiose femminili che storicamente hanno alimentato quella fitta rete di servizi sociali orientati alla famiglia e ai bambini: asili, scuole, assistenza sanitaria. Un problema che non riguarda soltanto i cattolici praticanti, ma che investe la società nel suo complesso, come sostiene il demografo belga Ron Lesthaeghe.

Egli nota che i cambiamenti nella famiglia e nella fecondità sono l’effetto della tendenza di lungo termine delle società occidentali, ovvero l’allontanarsi dai valori affermati dall’insegnamento cattolico: responsabilità, sacrificio, altruismo, sacralità degli impegni a lungo termine. La vera risposta dunque al problema della denatalità è la rievangelizzazione dell’Italia e dell’Europa; è comunicare la fede, in altre parole è la missione.

E’ su questo che la Chiesa – i vescovi quanto i laici – dovrebbe impegnarsi in prima persona. Anche la risposta a questa emergenza sociale viene dunque dall’invito che la Chiesa pronuncia solennemente all’inizio della Quaresima: “Convertitevi e credete al vangelo”. Il resto verrà di conseguenza.