Il Graal & la sindrome della Tradizione occulta

graalStudi Cattolici n.539 gennaio 2006

 L’opera integrale di Robert de Boron

 Testi emblematici per la comprensione della civiltà medioevale al meriggio dei suoi ideali religioso-cavaliereschi, i racconti del Graal hanno conosciuto nei secoli della modernità il singolare destino di assurgere a fonti privilegiate di un certo esoterismo gnostico, che in quei documenti letterari ravvisa un nascosto scrigno di verità salvifiche, altre da quelle della Chiesa istituzionale e riservate a esigue cerchie di eletti per virtù e sapienza.

Non sfugge sostanzialmente a questo paradigma interpretativo l’integrale edizione adelphiana dei poemi sul Graal del borgognone Robert de Boron, con nota introduttiva del filologo romanzo Francesco Zanibon, qui discussa e commentata da Mario Arturo lannaccone, storico del cristianesimo e dei nuovi movimenti religiosi.

Merito di lannaccone è anzitutto di aver liberato i racconti del Graal dagli elementi ideologici che si sono venuti addensando intorno alla sacra reliquia; più in radice, l’autore li restituisce alla piena ortodossia ecclesiale, facendo in particolare vedere come essi adombrino il mistero della fede per eccellenza, l’Eucaristia, in una decisiva svolta storica: il passaggio dell’Europa settentrionale dalla religiosità celtica al cristianesimo.

di Mario lannaccone

I testi più famosi del corpus dedicato al Graal sono stati scritti dal francese Chrétien de Troyes, alla fine del XII secolo, e dal tedesco Wolfram von Eschenbach attorno al 1240. Gli autori appartenevano al mondo cavalleresco, così come il borgognone Robert de Boron, che si dedicò a questo soggetto agli inizi del XIII secolo, e a cui sono attribuiti un’opera esistente sia in versi sia in prosa, il Giuseppe d’Arimatea; un’altra in prosa e parzialmente in versi, il Merlino; e infine una prosa, Perceval. Complessivamente, questi testi, collegati in una trilogia dalla tradizione manoscritta, sono conosciuti come Il libro del Graal.

Un’interpretazione «ésotérisant»

Del Libro del Graal esce per i tipi di Adelphi la prima traduzione completa in volume unico con la curatela e la traduzione di Francesco Zambon (Milano 2005, pp. 350, euro 18,00). Si tratta di un’operazione raffinata, filologicamente accorta – il curatore insegna filologia romanza all’Università di Trento -, ma anche sottilmente fuorviante, che segna un precedente nella tradizione di studi dedicati al tema (1).

graal-1Difatti, se è vero che i libri «sul Graal» sono oggi frequentati da scrittori amateur, che amano pasticciare coi testi, torchiarli tanto da ricavarne un vino mistico, invariabilmente «esoterico», fino a oggi sono mancati avalli autorevoli alle interpretazioni ésotérisant del tema, soprattutto in Italia. Anche il miglior testo divulgativo dedicato a questo soggetto e fondato sulla letteratura scientifica, Graal di Richard Barber, lascia pochi spazi alla immaginazione.

È per questo motivo che la «rete» dell’esoterismo popolare si gioverà della traduzione e della interpretazione di Zambon, cui potrebbe spettare un ruolo di mediazione tra mondo accademico e letteratura di genere, simile a quello di Elaine Pagels per l’ambito antichistico (2).

L’argomento del trittico di Robert de Boron

Si sa, il simbolo eucaristico del Graal, legato alla teologia della redenzione, ha caratteristiche fisiche così incerte da costituire un rompicapo eterno per gli esegeti e i curiosi. Nell’opera di Chrétien e di Wolfram soprattutto, si presenta come un esempio di «figurabililà difforme», di qualcosa che non è, per definizione, comprensibile né figurabile (3). Ciò non accade nel libro di Robert, che descrive chiaramente il Graal come il piatto che ha contenuto il sangue di Cristo.

Un breve riassunto gioverà all’intelligenza della questione. Il primo roman della trilogia, Giuseppe d’Arimatea (pp. 49-103 dell’edizione Adelphi). incastona episodi di alcuni apocrifi: gli Atti di Pilato (o Vangelo di Nicodemo), la Guarigione di Tiberio e la Vendetta del Salvatore. Esso narra delle vicende di Giuseppe d’Arimatea intrecciate al racconto della passione, morte e risurrezione di Gesù.

Giuseppe, assieme a Nicodemo, seppellisce il corpo di Gesù; quando si scopre la tomba vuota, dopo la risurrezione, viene accusato di averne trafugato il corpo e quindi incarcerato. In carcere gli appare Gesù che gli affida il Graal, un piatto che era servito a raccogliere il suo sangue.

Il Risorto annuncia brevemente a Giuseppe anche le future vicende del Graal. A fine narrazione, il Graal – trasportato in Bretagna – viene affidato a Bron, cognato di Giuseppe.

Il secondo romanzo, Merlino (pp. 107-237), ci introduce nella cosiddetta «materia di Bretagna» narrando la storia di Merlino dal concepimento sino al nascondimento finale. Generato come oppositore al compimento delle profezie divine, egli ne diviene invece il servitore; fa fallire i piani del male e istituisce la Tavola Rotonda come rappresentazione della cena eucaristica.

Mentre Bron (cognato dì Giuseppe, il «Ricco re pescatore») custodisce il Graal in un luogo nascosto, Merlino – consigliere dei re bretoni – influisce sulla loro successione al fine di accompagnare un cavaliere eletto, di nome Perceval, a un’importante impresa che verrà narrata nella terza patte della trilogia.

La funzione di Merlino è complessa anche dal punto di vista narrativo: è un profeta che narra, a un chierico di nome Blaise, come si è dipanata la storia del Graal sino a quel momento, anticipando anche gli sviluppi futuri. Egli, insomma, ricapitola nel suo racconto la materia dei tre romanzi.

Perceval, il terzo romanzo (pp. 241-343), racconta la storia del cavaliere eletto attraverso le tappe della sua formazione cavalleresca (4). Perceval tenta invano di sedersi al «posto pericoloso», che rappresenta il luogo in cui si era seduto Giuda durante l’ultima Cena. Dopo una rivelazione divina, Artù apprende che un cavaliere dovrà trovare il Graal.

Quel cavaliere è Perceval, che viene incaricato di recarsi dal Re Pescatore per interrogarlo sul Graal. Riesce al secondo tentativo, quando guarisce il re, rinsaldando il «posto pericoloso» e dissolvendo gli incantesimi che gravavano sulla terra di Bretagna. Perceval sembra avere dunque la funzione di cristianizzare la Bretagna con i! misterioso potere eucaristico del Graal.

II Graal & la gnosi di massa

Le storie sul Graal sono divenute da molto tempo uno dei motori della reinterpretazione della storia cristiana come contrapposizione tra due categorie di persone (o di anime): gli «ilici» e gli «spirituali», cioè tra quanti sarebbero ignari dell’esistenza di conoscenze segrete ed esoteriche (la gnosi) e quanti invece ne sarebbero consapevoli.

Ormai, molte espressioni culturali, storiche e spirituali del Medioevo vengono riviste – da una parte del pubblico – nell’ottica della coppia concettuale esoterismo/essoterismo. Il Graal, assieme ai Templari, e al centro di questa dinamica che comprende saggistica pseudostorica, giornalismo scandalistico, narrativa e cinema.

La contrapposizione tra essoterismo ed esoterismo è una straordinaria macchina da guerra culturale che, tra l’altro, ha insinuato l’idea che nel cristianesimo tutto sia «dogma imposto», convenzione truffaldina fra potenti, ordita nei Concili ecumenici ai danni del popolino. Viene inoltre diffusa, da una certa industria culturale, l’idea che il cristianesimo sia una sorta di guardiano sciocco, custode di tesori che non saprebbe interpretare; un guardiano che avrebbe schiacciato la libertà dei pochi gnostici – tra cui geni della pittura, alchimisti, filosofi eccetera — i quali, per salvarsi, avrebbero comunicato tra loro in cifra nelle grandi opere dell’arte e della letteratura.

E’ uno schema semplice, ma di straordinaria forza. In questo senso, il successo del Codice da Vinci ha tratto di sorpresa solo quanti erano rimasti ignari dell’immenso lavoro culturale elaborato negli ultimi decenni, e dell’ingente produzione libraria, priva di valore scientifico, che è riuscita nell’impresa di operare una nuova evangelizzazione, ma al contrario, sfruttando ignoranze, vuoti culturali e smarrimenti.

Merlino

Merlino in una miniatura medievale

Il risultato è che una porzione del pubblico – è il caso di usare questo termine — legge il passato nello schema della teoria del complotto, da penetrare con un’investigazione da detective-story (non a caso, lo schema principe della narrazione moderna). Tale modello si applica in particolare a quanto non viene compreso, specificamente del Medioevo e del Rinascimento, quando l’òpsis, l’elemento visivo, la raffigurazione strana, e la figura dell’enigma, erano molto comuni, per significare l’insufficienza della ragione, come nei «bestiari di Cristo» (5).

Sarebbe meglio ammettere che moltissimo del Medioevo ci è ormai incomprensibile e che, nonostante studi profondi e rispettosi, resterà un residuo di significato perso per sempre assieme al mondo che lo generò. Purtroppo, per un malvezzo ormai comune, nelle interpretazioni dei testi del Graal s’includono troppo spesso le categorie della gnosi da mercato di massa con le sue tradizioni «segrete» ed «esoteriche». Il Libro del Graal nella versione Adelphi non fa eccezione.

Gnosi trinitaria & ruolo della cavalleria

Per il curatore, quella di Robert è la «versione simbolicamente e teologicamente più complessa del mito, quella in cui più nitidamente traspare il suo nucleo “esoterico”» (p. 14). Quanto al significato generale, la trilogia sarebbe per Zambon un «trittico» d’ispirazione gioachimita, che rimanderebbe alla dottrina delle tre ere, ovvero dei tre regni temporali del «Padre», del «Figlio» e dello «Spirito Santo». Il ritmo trinitario del romanzo del Graal si scandisce in base alle tre tappe narrative, alla successione dei tre custodi e a quella delle tre tavole.

I custodi del Graal sono Giuseppe d’Arimatea, Bron (il ricco Pescatore) e Alano. A questa successione, spiega Zambon, corrispondono le tre parti della trilogia: la prima incentrata su Giuseppe, la seconda sulla «dolorosa attesa di Bron, il re infermo», la terza con la queste di Perceval «che riceverà infine dal ricco Pescatore la custodia del Graal e la rivelazione dei suoi segreti» (6). Nella concezione di Robert l’avvento del terzo uomo segnerebbe, secondo Zambon, «la conclusione di una sorta di Storia occulta della Salvezza» (7), dunque esoterica, che si affiancherebbe a quella nota (essoterica, esteriore, buona per gli ilici) per portarla a compimento.

II disegno provvidenziale si compendierebbe nel tema delle tre tavole. La prima è la Tavola dell’ultima Cena. La seconda, quella che Gesù ordina a Giuseppe di preparare su cui verrà collocato il pesce pescato da Bron e dove si svolgerà il «servizio del Graal». Giuseppe siederà al posto già occupato da Gesù mentre il seggio vuoto, corrispondente a quello occupato da Giuda, sarà destinato al «terzo uomo», Perceval, al quale è affidata una missione di ricomposizione (8). Alla tavola il Signore «invita tutti coloro che hanno creduto nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo – la Santa Trinità.- e che sono pronti a obbedire ai suoi comandamenti, a farsi avanti e sedersi alla grazia di Dio» (9).

Nel Merlino, il mago ordina a re Uterpendragon di costruire una terza Tavola, dopo quelle dell’ultima Cena e di Giuseppe. Si tratta della Tavola Rotonda, attorno alla quale sono disposti dodici posti, uno dei quali è chiamato «il posto pericoloso» a ricordo del tradimento di Giuda. Quel posto – come racconta la terza parte del trittico, Perceval – verrà occupato quando un cavaliere pieno di gloria avrà chiesto al Re Pescatore a che cosa serve il Graal. Solo allora, potrà prendere in custodia il sangue di Gesù e permettere al Re Pescatore di morire in pace.

Sia la scansione trinitaria del trittico, sia il significato delle tre tavole si spiegano, per Zambon, nello schema gioachimita, come si è detto. Difatti, la storia del Graal diviene la «manifestazione o il dispiegamento temporale della Trinità».

Anche se la suddivisione della Storia della Salvezza in tre fasi era corrente nel pensiero cristiano, il rapporto tra la costruzione romanzesca di Robert de Boron e la teologia della storia di Gioacchino riguarda un punto decisivo: mentre nelle tradizionali visioni trinitarie della storia il terzo momento è sempre inteso come uno stato metastatico, quello della «vita eterna» concessa agli eletti alla fine dei tempi, nella visione gioachimita il terzo Stato o regno è concepito come un’età in tutto e per tutto storica, durante la quale la nuova Gerusalemme, annunciata nell’Apocalisse, comincerà già a scendere dall’alto e lo Spirito Santo accorderà su questa terra agli uomini l’intelligenza della verità (10).

Eppure, aggiunge Zambon, la rivelazione di Robert contiene una differenza importante anche rispetto a Gioacchino da Fiore: il terzo tempo non è il tempo dello Spirito, cioè dei contemplativi, dei monaci, – come nella dottrina gioachimita -, ma quello dei cavalieri.

Osserva infatti il nostro interprete che Perceval, colui che deve portare a termine la Storia occulta della Salvezza, è un cavaliere, come quel soudoier Giuseppe d’Arimatea che lo «inizia». Alla cavalleria viene dunque affidato il compito di portare a termine la Storia occulta, anzi di «completarla»; e infatti, benché la figura del Redentore rimanga il suo perno, «Robert costruisce tutta la sua trilogia sull’idea che qualcosa deve ancora essere “compiuto”, portato a termine, nella Storia della Salvezza», dalla cavalleria (11).

percevalSi adombra insomma una gnosi trinitaria, dove sono gli chévaliers ad assumersi una funzione sacerdotale (12). Una concezione, peraltro, diffusissima nelle opere ispirate alla storia leggendaria della Massoneria o delle varie cavallerie mistiche, e che assume un’importanza particolare nelle teorie di Rene Guénon e Julius Evola.

L’interpretazione di Zambon s’innesta, insomma, nel clima delle rivelazioni sui Templari e sui cavalieri gioanniti, di cui le librerie sono piene. I tre racconti del Graal sono caricati di un significato altissimo, tanto da rivelarsi infine una «scrittura sacra», addirittura un Vangelo del Graal, cioè un annuncio della buona novella mediata dalla letteratura del Graal. Sicché questa rilettura si conclude con lo svelamento di un curioso vangelo apocrifo» (13)

L’interpretazione di Zambon presenta tuttavia alcuni problemi. Innanzitutto, il testo di Robert rientra nel solco del romanzo medioevale, concepito per un pubblico che non attendeva rivelazioni religiose, ma sollecitazioni estetiche, la celebrazione del proprio status e dei propri valori. La creazione letteraria, all’epoca, possedeva anche una funzione di edificazione religiosa, che però non può essere confusa con quell’annuncio religioso e dottrinario qui ipotizzato.

Del resto, il Giuseppe d’Arimatea inizia con una chiarissima ricapitolazione della fede pienamente cattolica di Robert de Boron, ribadita anche nel Merlino e nel Perceval. Non si comprende allora come, questa fede, potrebbe conciliarsi con la gnosi trinitaria che renderebbe insufficiente l’opera della Chiesa.

La sindrome della tradizione segreta

Per risolvere la difficoltà si potrebbe ipotizzare che Robert stesse trasmettendo simboli di cui ignorava le implicazioni. Ma sembra un’ipotesi remotissima; egli aveva un pubblico a cui rendere conto. Sarebbe più onesto ammettere che noi contemporanei ignoriamo ogni singola implicazione relativa al tema Graal.

Ma non fanno un’operazione utile quanti elaborano interpretazioni sospettose, che ricorrono al comodo espediente della reificazione: l’incompreso viene trasformato in segreto (mistico, politico, religioso) e spostato nell’ambito concettuale dell’esoterico, e in quello funzionale della conventicola segreta. Un’operazione equivalente a quella del maggiordomo pigro che spazza lo sporco sotto il tappeto.

La reinterpretazione dei romanzi del Graal di Robert in chiave di rivelazione spirituale, e di segreto ereticale, introduce inoltre delle gravi contraddizioni; per esempio: perché sviluppare un tema ereticale in un trittico che inizia con una professione di fede del tutto ortodossa? (14). Per trarre in inganno il lettore?

Fortunatamente, la critica storica è ancora valida, e un esame del testo e del contesto consente spiegazioni mollo più solide. Sappiamo che Robert scrisse per Gautier de Montbéliard (imparentato con i duchi di Borgogna), partito per la Terrasanta nel 1212. Sappiamo anche che il pubblico di Robert era costituito dalle corti signorili di quella regione.

Seguendo le tracce di Chrélien, e forse dell’anonimo della cosiddetta Seconda continuazione, il poeta borgognone rielaborò il materiale narrativo di apocrifi diffusissimi nel Medioevo, II pubblico di Robert, i suoi committenti, appartenevano alla classe feudale e cavalleresca, la stessa che veniva celebrata nel testo. Robert potrebbe aver scelto il personaggio di Giuseppe d’Arimatea perché nelle versioni Iatine del Nuovo Testamento appariva come decurione, modello del pubblico cui i poemi erano indirizzati (15).

Questa spiegazione storico-critica viene ovviamente respinta nelle interpretazioni esoteriste del Graal, per le quali Giuseppe d’Arimatea rappresenta una tradizione spirituale eccentrica e occulta, legata al sangue di Gesù Cristo, trasmessa alla cavalleria, in particolare ai Templari (16). Vediamo allora di approfondire la funzione narrativa di Giuseppe nella prima parte del trittico di Robert.

Giuseppe d’Arimatea & il Vangelo del Graal

Giuseppe d’Arimatea compare nei Vangeli, insieme a Nicodemo, come imbalsamatore e seppellitore di Gesù. Come sappiamo, all’inizio del Giuseppe è accusato dai giudei di aver sottratto il corpo del Redentore e quindi rinchiuso in una cella (17). Nella scena più importante al protagonista compare Gesù, che gli parla. L’episodio è contenuto in un capitolo intitolato: «Gesù rivela i segreti del Graal a Giuseppe d’Arimatea»(18).

Gli insegnamenti del Risorto sono profezie che riguardano il Graal e la sua funzione. Giuseppe riceve da Gesù anche il piatto nel quale era stato raccolto il suo sangue divenendo, insomma, un custode del segreto dell’Eucaristia, un uomo di fede incrollabile che, come gli apostoli, ha visto. Da quello stesso oggetto è nutrito, misteriosamente, mentre resta rinchiuso nella cella(19).

Giuseppe di Arimatea

Giuseppe di Arimatea

Il Risorto annuncia che tre saranno i custodi del Graal, e Zambon tratta questo «insegnamento» come qualcosa che viene tramandato nel segreto da maestro a discepolo. Nel Merlino risulta evidente dalla stessa narrazione che la fede cristiana è in lotta con la religione celtica.

Merlino detta al chierico Blaise la storia del Graal: «Ti rivelerò cose che nessun altro, eccetto Dio, potrebbe rivelarti; tu dovrai farne un libro. Molti uomini che sentiranno queste parole diventeranno migliori e si asterranno dal peccato. Se scrivi, compirai un’opera molto caritatevole». «Scriverò volentieri il libro», rispose Blaise, «ma ti supplico in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo – so e credo fermamente che queste tre persone sono una sola cosa in Dio -, della beata Donna che portò in seno il Figlio di Dio — suo figlio e suo padre insieme -, di tutti gli angeli e gli arcangeli, di tutti gli apostoli, i santi, le sante e i prelati della santa Chiesa: non indurmi con l’inganno a compiere qualche azione sgradita a Dio» (20). Gli raccomanda anche di recarsi, alla fine del suo lavoro, «nel luogo misterioso nel quale vive la comunità del Graal portando con sé il libro»(21).

In effetti, il libro di Blaise coincide in tutto con quello di Robert tranne «gl’insegnamenti segreti» affidati da Gesù a Giuseppe. Robert stesso dichiara di possedere proprio un libro, quel libro, senza il quale non avrebbe potuto scrivere la storia. Qui si rivela, in tutta la sua raffinatezza, la costruzione metaletteraria di Robert e l’estrema consapevolezza di una cultura che è già una civiltà della narrazione, della fascinazione del racconto. Non si possono interpretare alla lettera, questi giochi, quali allusioni a segreti, se non con un grave salto logico, non imposto dal testo né dalla sua cogenza. Qui, ci pare, è l’ideologia che getta i suoi sortilegi sulla poesia e i suoi significati.

Il segreto & l’ermeneutica sospettosa

Ma c’è di più. Il trittico conterrebbe, in chiave, anche una rivelazione, come ci spiega Zambon: «Poiché Giuseppe e costantemente guidato nelle sue azioni da una Voce celeste, e Merlino ha ricevuto da Dio il dono della profezia» il romanzo si rivela una profezia, anzi, come abbiamo visto, «una Scrittura sacra, un Vangelo del Graal» (22).

E quale sarebbe il rapporto tra l’insegnamento essoterico, degli apostoli, e quello esoterico, del Graal? Anche qui, come nel Giuseppe, Robert de Boron tiene a precisare quale sia il suo rapporto con i Vangeli canonici: «Si parlerà per sempre», spiega Merlino a Blaise, «della tua fatica e del tuo libro. Ma esso non avrà autorità, perché tu non sei né puoi essere uno degli apostoli.

Gli apostoli scrissero di nostro Signore soltanto i fatti di cui furono testimoni diretti; tu invece non riporti nulla che tu abbia visto e udito, ma solo quello che ti racconto io. E come io sono e sarò oscuro con coloro ai quali non vorrò svelarmi, così il tuo libro rimarrà segreto, e rari saranno gli uomini che lo apprezzeranno» (p. 141). Ancora una volta. Merlino è immagine di Cristo; la sua «oscurità» corrisponde alla segretezza della rivelazione di Gesù a Giuseppe d’Arimatea, inaccessibile agli evangelisti (23).

Merlino afferma che il libro da lui rivelato resterà oscuro, segreto, e apprezzato da pochi, ma esso è proprio il libro di Blaise, che coincide con quello di Robert de Boron, lo stesso che tiene in mano il lettore della trilogia. Tale libro, dunque, non è rimasto né segreto né oscuro, perché ciò avrebbe impedito che esso diventasse letteratura.

Libro del GraalEgli aggiunge che quel libro non ha autorità, perché chi lo ha scritto non è né può essere uno degli apostoli; esso riporta quanto si sa della storia del Graal e lui che lo ha raccontato (e ne è, in certo senso, l’autore) ricorda che sarà oscuro con coloro ai quali non vorrà svelarsi. La dialettica svelamento/disvelamento, insomma, è tutta letteraria, uno squisito gioco di camuffamenti narrativi.

Il segreto è sicuramente uno degli impulsi narrativi e simbolici più importanti dell’opera di Robert. Ma vediamo meglio il senso di tale segreto rivelato da Gesù a Giuseppe. Il Risorto consegna al decurione il piatto, oggetto eucaristico che contiene il proprio sangue, e un insegnamento che poi viene definito «segreto» e ineffabile. Un ermeneuta sospettoso, dunque, potrebbe elaborare varie teorie a partire da quel «segreto» solo ignorando che, nel Medioevo, la preghiera di consacrazione dell’ostia veniva chiamata… secreta (24). Particolare non trascurabile, perché il suo occultamento può indurre il lettore inesperto a riorganizzare il significato del lesto.

Contrariamente da quanto enunciato dal personaggio di Merlino, il libro non è rimasto segreto, è stato pubblicato, tradito nei manoscritti. È entrato nel gioco della letteratura innescando una serie di fertili continuazioni, e una fluente tradizione leggendaria. Qui Merlino esce dal ruolo di profeta, spezza la convenzione letteraria del racconto e si rivolge al pubblico delle corti, diviene alter ego dell’autore, mago incantatore di letteratura; ci avvisa che i rari uomini che apprezzeranno il libro, secondo le convenzioni della raffinata civiltà cavalleresca, che in Francia amava il trobar clus, sono i raffinati, i cultori della spiritualità delle lettere, delle eleganti allusioni teologiche. dei rapporti figurati (Merlino e Cristo, Blaise e Giuseppe d’Arimatea) e poi delle rivelazioni, delle magie, dei prodigi e delle meraviglie.

Merlino è in contatto con Dio, come Giuseppe d’Arimatea, ma a differenza di quest’ultimo può raccontare. Giuseppe, cui e apparso Gesù Cristo, non può dire tutto perché, come a Dante, gli fa difetto l’alta possa. Ha parlalo con Dio incarnato e risorto, ha guardalo nel volto l’ineffabile.

Ecco il segreto, ecco il myxterium irriferibile. La contrapposizione tra Vangeli «ortodossi» e Vangelo del Graal «ignoto agli apostoli», tra Storia della Salvezza palese e Storia occulta della Salvezza, andrebbe rivoltata in gioco letterario. Se l’apparizione di Cristo a Giuseppe, e il conferimento degli «insegnamenti segreti» andasse realmente interpretata come un’allusione a correnti segrete, come dovremmo trattare i numerosissimi racconti medioevali nei quali appare Cristo? E perchè, poi, conferire soltanto alle fabulae del Graal un simile valore di rivelazione religiosa, negandolo ad altre in cui compaiono castelli inaccessibili, libri segreti, fratellanze di maghi? Chi potrebbe dire: «Questo non appartiene alla tradizione segreta, e questo sì»?

Ascoltiamo le parole di Richard Barber a proposito del segreto: «La fusione di questi due libri, il vangelo apocrifo (di Nicodemo) e l’opera da cui è tratta l’allegoria della Messa, costituisce il libro di Robert de Boron sui “segreti del Graal”; gli scrittori che ripresero la sua storia e la rielaborarono erano ben consapevoli delle peculiarità di quel libro. I presunti segreti del Graal sono dunque i significati nascosti del rituale della Messa, spiegati da Gesù a Giuseppe e si riferiscono ad un’interpretazione simbolica della rivelazione del sacramento. In queste opere profondamente ortodosse nella loro teologia, il rituale centrale della Chiesa, […] è il fulcro del mondo cavalleresco, e l’ordine laico della cavalleria diviene il mezzo per raggiungere l’esperienza religiosa più alta nell’ambito di quel rituale» (25).

Un mondo svanisce, l’altro emerge

Merlino appartiene a un mondo che sta svanendo, ma che, prima di svanire, trasmette gli incanti della materia di Bretagna e delle sue leggende a Robert de Boron, che se ne fa cantore. Blaise è un alter Giuseppe d’Arimatea. Come lui, infatti, riceve un racconto e una profezia; non dal Risorto, ma dal mago di Bretagna, Merlino, il mediatore che veglia sulla terra del Re Pescatore; il druido. che rappresenta un mondo che sta scomparendo, già parzialmente convertito; una terra che attende la rigenerante onda del vino eucaristico e un cavaliere che la liberi da un sortilegio.

Il mondo di Merlino e Blaise si rivela fragile, incapace di dare la pienezza di vita al popolo che langue. Non a caso Merlino e il Re Pescatore dovranno sparire, rinunciare a svolgere un ruolo attivo in un mondo nuovo che appartiene loro solo a metà. Il mago, prima di celarsi al mondo, prega «nostro Signore di avere misericordia di tutti coloro che avrebbero ascoltato con interesse» il libro (26).

Nessun valore di gnosi viene attribuito a esso, ma chi ne sente con interesse narrare le storie sarà degno di ricevere la misericordia del Signore. Anche Bron, il secondo possessore del Graal, pare avere questa funzione simbolica poiché, tre giorni dopo la consegna del testimone, muore. In definitiva, liberato dall’ossessione dell’esoterismo, delle conventicole segrete, dei segreti terribili, il Romanzo del Graal si rivela un racconto della trasformazione e della cristianizzazione del mondo celtico.

Una cronaca simbolica dell’arrivo della Rivelazione cristiana da Oriente in Occidente, nelle terre pagane, racconto della trasformazione di un mondo: «A quel tempo, in Inghilterra non c’erano ancora stati re cristiani», si legge nel Merlino. Ma i tempi cambiano, un nuovo cielo si stende sopra la Bretagna quando fallisce il progetto dei demòni che intendevano contrastare la venuta del cristianesimo proprio con Merlino, figlio di strega e di demone.

Nonostante la discutibile interpretazione in sospetta consonanza con la moda di questi anni, l’edizione del Libro del Graal resta interessante, perché recupera nella sua interezza in italiano un testo di fondamentale importanza per la storia letteraria. E vien da dire che, fortunatamente, le grandi opere letterarie possiedono una propria, gelosa, autonomia di significato, che non accetta di essere forzata dalle mode interpretative.