Il card. Cristoph Schonborn dà la sveglia ai cattolici

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Cristoph Schonborn

Il Corriere del Sud, 30 marzo 2005.

Andrea Bartelloni

Dall’estate scorsa quando comparve un suo intervento sul New York Times, il card. Schonborn, arcivescovo di Vienna, continua a battere in breccia il tema evoluzionismo. E non lo fa come la stragrande maggioranza dei religiosi cattolici che cercano in tutte le maniere di battezzare Darwin e convincerci che le sue teorie siano compatibili con l’esistenza di Dio, ma sostenendo di rifiutare il darwinismo in nome della  ragione, cioè della filosofia.

E qui sta la novità: si entra nel merito di una teoria che non sta in piedi razionalmente a meno di non cercare quel disegno, specialmente nelle strutture biologiche più complesse, che gli evoluzionisti hanno ignorato o mal interpretato appellandosi alla variazione genetica casuale e alla selezione naturale come ha sottolineato la Pontificia Commissione Teologica Internazionale nel dicembre 2004 presieduta dall’allora card. Joseph Ratzinger.

Il mondo cattolico comincia ad avere autorevoli spinte per riflettere anche sulla validità scientifica dell’evoluzionismo e uscire finalmente da quella sorta di rassegnazione che ci faceva vergognare della nostra inferiorità di fronte alle magnifiche spiegazioni della scienza che ridicolizzavano il nostro credo nel Creatore.

Questa ridicolizzazione ci fa pensare di essere stati presi in giro negli anni del catechismo e quindi che «credere in un Dio creatore del cielo e della terra, non significa credere che Dio abbia realmente creato cielo e terra, ma unicamente considerare se stessi come creature e, grazie a ciò, vivere una vita più sensata».

Questa tesi del teologo tedesco Rudolf Karl Bultmann (1884-1976) è riportata a pag. 229 del volume del card. Ratzinger, Fede, verità e tolleranza (Cantagalli ed., 2003) dove, nella stessa pagina l’allora cardinale sottolineava che simili idee erano diffuse nella teologia e nella predicazione cattolica e che «i fedeli se ne rendono conto e si chiedono se non siano stati presi per il naso. Vivere in belle finzioni può andar bene per un teorico delle religioni; per l’uomo che chiede con che cosa e per che cosa vivere o morire non è sufficiente. L’addio alla pretesa di verità, che di per sé sarebbe l’addio alla fede cristiana in quanto tale, viene qui addolcito, col concedere di continuare a esistere alla fede – intesa come una sorta di innamoramento con le sue piacevoli consolazioni soggettive, o come una specie di mondo ludico accanto al mondo reale».

E la realtà che ci viene ripresentata da questi autorevoli interventi merita un’attenta riflessione.