Figli “difettosi”, la Francia alle corde

analisi_prenataleAvvenire 9 maggio 2006

Un’indagine mette a nudo una mentalità eugenetica: anche i francesi sono terrorizzati dalla possibilità che il loro bambino possa nascere handicappato. Proliferano le diagnosi prenatali e gli aborti «selettivi», i medici temono processi

di Lucetta Scaraffia

La Francia è il paese dell’”affaire Perruche” cioè il Paese in cui un tribunale ha stabilito che la coppia che aveva procreato un figlio handicappato aveva diritto a un indennizzo da parte dei medici che non avevano diagnosticato la malattia in tempo per scegliere l’aborto terapeutico.

Questa semenza – sia pure poi in parte contraddetta dalla legge francese del 4 marzo 2002 che ha cercato di bloccare questa tendenza escludendo a priori il diritto all’indennizzo per il bambino e limitando quello dei genitori al pregiudizio morale (cioè al fatto di non essersi potuti preparare psicologicamente alla nascita di un bambino handicappato) – ha prodotto una preoccupante deriva nell’opinione pubblica e nell’operato dei medici addetti alla diagnosi prenatale.

Lo rivela l’indagine «Vers un droit a l’enfant normal?» (Verso un diritto al bambino normale?) firmata da una filosofa e una sociologa, Danielle Moyse e Nicole Diederich, che dopo aver intervistato un notevole numero di medici esperti in diagnosi delle malattie del feto lanciano un allarme: stiamo andando verso un «eugenismo di precauzione», cioè «verso decisioni di interruzione di gravidanza al minimo dubbio riguardo alla normalità del feto, per non correre alcun rischio medico-legale».

Questa indagine è stata realizzata  dopo il caso Perruche, quindi in una situazione di profondo disagio dei medici, perché sono volati in alto i premi delle assicurazioni per chi praticava le ecografie, tanto che molti di loro hanno lasciato questa specializzazione. Le autrici lanciano anche un allarme di tipo sociale: l’handicap sta diventando sono segno di appartenenza a una classe sociale bassa.

Infatti, da una parte dcisono donne povere che arrivano al parto senza essere state seguite da un medico, dall’altra ci sono donne ben seguite medicalmente che possono permettersi di avere un figlio senza difetti… e che reclamano questo come un diritto. Si capisce quindi come tutto congiuri a far sì che i medici – stretti fra la crescita dei premi di assicurazione e la paura di un processo – consiglino ai genitori un aborto terapeutico al minimo dubbio, applicando con estrema rigidità il principio di precauzione.

Se diminuiscono i medici ecografisti, crescono invece le domande – che non possono più essere assorbite dalla sanità pubblica – di analisi prenatale. Solo può pagare, quindi, la ottiene rivolgendosi a un medico privato. Alcuni medici intravvedono così la possibilità di una frattura genetica: «Noi non lo constatiamo ancora, ma è matematico: i bambini nati con una malformazione saranno più numerosi negli ambienti sfavoriti socialmente».

Del resto, i dati del registro delle malformazioni congenite di Parigi (1990-1999) indicano che il numero degli aborti terapeutici aumenta in proporzione uguale al miglioramento  delle capacità diagnostiche: per esempio, vediamo che il 79,4% delle anomalie cromosomiche sono state scoperte fra il 1990 e il 1994, contro l’89,2% fra il 1995 e il 1999.

La percentuale dì interruzione di gravidanza è passata, nello stesso lasso di tempo, dal 68,4% al 77,8%. Il quotidiano cattolico La Croix ha dedicato pochi giorni fa un inserto a questo problema, intervistando i medici che si giustificano dicendo che si sentono «lacerati tra l’obbligo di informare il più completamente possibile la gestante e la paura che le informazioni sconvolgano i parenti» che arrivano facilmente, anche nei casi di lieve dubbio, all’aborto terapeutico.

Il motivo di questa scelta sta anche nella crescente intolleranza sociale verso ogni tipo di handicap, denunciata, sempre su La Croix, da Didier Sicard, presidente del Comitato consultivo nazionale di etica: «Bisogna essere molto coraggiosi, oggi, per mettere al mondo un bambino trisomico». Una crescente pressione sociale spinge infatti a non far nascere un figlio handicappato anche leggermente, anche con anomalie curabili, ma il timore più forte è di avere un bambino trisomico.

Con il risultato che quasi tutte le gravidanze sono sottoposte a questa verifica e, se i risultati rivelano un rischio in questo senso, si propone una amniocentesi. Si tratta di un esame delicato che comporta in alcuni casi la perdita del feto: si accetta quindi di interrompere la vita di un certo numero di feti ogni anno, colpiti o indenni dalla affezione, per evitare questo rischio.

I genitori hanno l’esigenza di sapere tutto il possibile sulle analisi preventive, ma il problema è che i medici non possono rispondere con certezza: se c’è una piccola anomalia, e si lascia vivere il feto, tutti si scagliano contro il medico, che rischia un processo. Al contrario, non ci sarà mai protesta per una interruzione di gravidanza non necessaria…

La soluzione non sta nel limitare le analisi preventive, perché non è possibile, ma nel cambiare la mentalità di una società – quella della Francia attuale – in cui non si sopporta più l’handicap.