I dati sulle interruzioni di gravidanza nel rapporto del ministero della salute.

ministero_saluteIl Foglio 27 ottobre 2005

La crescita dovuta alle cittadine straniere

 Aborti in discesa dall’82 al 2003, nel 2004 la curva torna a salire

Roma. Se si considerano solamente le interruzioni volontarie di gravidanza effettuate da cittadine italiane – ha spiegato il ministro della Salute in Parlamento – gli aborti, rispetto al 2002, sono scesi ancora, del 6,1 per cento. Ma il rapporto presentato due giorni fa da Francesco Storace individua e documenta l’allarme per il sempre più consistente ricorso all’aborto volontario delle cittadine straniere.

Tanto consistente da modificare la media nazionale, da costituire, nel 2003, il 25,9 per cento del totale delle interruzioni di gravidanza (mentre nel 1998 la percentuale era del 10,1 per cento): centotrentaseimilasettecentoquindici aborti volontari nel 2004, il 3,4 per cento in più rispetto al 2003, distribuito soprattutto nell’Italia settentrionale e centrale, “dove maggiore è la presenza di popolazione immigrata”.

Sono, per la maggior parte, aborti della undicesima o dodicesima settimana di gestazione (quindi appena dentro il limite dei novanta giorni), effettuati con un maggior ricorso al Consultorio familiare per la certificazione. Il 62,1 per cento delle interruzioni di gravidanza (secondo dati Istat) è stato effettuato entro 14 giorni dalla certificazione.

Nel 14,5 per cento dei casi sono trascorse più di tre settimane, e maggiori tempi di attesa si hanno in caso di cittadinanza estera. Sono dati raccolti regione per regione, anche con parecchie difficoltà (in Campania è stato possibile analizzare solo il 36 per cento dei casi del 2003), e confermano il clamoroso decremento negli ultimi ventidue anni: dal 1982, anno del boom abortivo, al 2004, le interruzioni volontarie di gravidanza sono scese del 42,4 per cento.

Mentre in Francia e in Inghilterra, nonostante l’abbondanza di informazione, contraccezione, nonostante la distribuzione della pillola del giorno dopo nelle scuole, gli aborti sono, da trent’anni, circa duecentomila all’anno, “un fallimento”, come ha ammesso il governo inglese.

Sono state analizzate anche l’età, lo stato civile, l’occupazione e il livello d’istruzione delle donne che fanno ricorso all’interruzione di gravidanza in Italia, giungendo alla conclusione, come già documentato nel 1998, che “la riduzione del ricorso all’aborto è stata maggiore per le donne più istruite, per quelle coniugate e per quelle occupate”.

Il 46,4 per cento delle donne che hanno abortito nel 2003 ha la terza media. Ma il 48,9 per cento del totale risulta occupata, il 27,1 casalinga, il 10,1 studentessa. L’aumento, negli ultimi anni, del tasso di abortività per le donne di età inferiore a venticinque anni, è dovuto alle cittadine straniere, che hanno purtroppo una tendenza al ricorso all’aborto tre volte maggiore, in generale, e oltre quattro volte per le più giovani. In Italia, gravidanza per le ragazze tra i 20 e i 24 anni è stato nel 2002 del 15,8 per cento, mentre in Francia, nello stesso anno, del 27,4 e in Inghilterra addirittura del 30,1 per cento.

Un ruolo più importante del consultorio, con valori che si allontanano molto dalla media, è stato osservato in Piemonte, nel Lazio, in Emilia Romagna, in Umbria, in Toscana e in Veneto. Ma sono sempre troppo pochi, soprattutto al sud: dal rapporto si coglie la necessità di una maggiore presenza sul territorio, “per poter meglio sostenere la donna e/o la coppia e aiutarla nella maternità e paternità consapevole e in particolare nella riconsiderazione delle motivazioni alla base della sua scelta”.

La presenza dei consultori viene sottolineata come “esigenza inderogabile”. Per poter rendere, non solo le cittadine straniere, libere anche di non abortire.