Quando la vita delle persone non vale più nulla

newpaperCorrispondenza romana

n. 1370 del 17 dicembre 2014

di Danilo Quinto

È una mappa dell’orrido che si vuole dispensare a tutti i costi, quella che viene propinata da mane a sera dalla televisione pubblica e da quelle private sui delitti efferati che infestano l’Italia. Si sa che il male attrae la corrotta natura umana e questo lo sa anche chi lo “propone”, lo indaga, ne elabora – con l’assistenza di psichiatri, magistrati, giornalisti, commentatori, criminologi – le dinamiche, scandagliando le vite delle persone in maniera ossessiva, celebrando processi preventivi ed emanando sentenze.

L’obiettivo è chiaro: fare audience e rispetto a questa mèta – che viene perseguita badando al sodo, agli incassi pubblicitari che se ne traggono – la vita delle persone, sia delle vittime, sia dei carnefici, non vale un soldo bucato. Per questa ragione, si raccontano senza tregua e nei minimi particolari storie di madri che sono accusate di strangolare i loro bambini, per poi gettarli vivi in acquitrini o di padri che li buttano dai balconi a dieci mesi dicendo che pensavano fossero malati o di bambine seviziate e poi gettate nei pozzi per cui sono incolpate intere famiglie.

Il paradosso è che la quantità di queste storie dell’orrore potrebbe far credere che nel nostro Paese esista una ferocia inaudita. Se si guardano i numeri, invece, si scopre che nel 2013 si è registrato il tasso di omicidi più basso dall’Unità d’Italia ad oggi: ne sono stati consumati 480 (mentre quelli tentati sono stati 1.027), in base ai dati del Ministero degli Interni elaborati da Marzio Barbagli, professore emerito all’Università di Bologna, un decremento superiore al 70% rispetto al 1990, quando gli omicidi erano stati 1.633.

Un dato, quello del 2013, inferiore ai 526 omicidi del 2012, il più basso numero di omicidi compiuti in Italia negli ultimi quarant’anni. Il dato è in costante decrescita negli ultimi vent’anni e pone l’Italia allo stesso livello degli omologhi Paesi europei. Si dirà: è incredibile, guardando la televisione o leggendo i giornali, sembra di vivere ai tempi del Far West. Alcuni affermano che le cose “buone” non fanno notizia. È vero, ma è anche banale. Non è forse accaduto, negli anni ’70 e ’80, che il terrorismo fosse usato dal potere – che sa usare i suoi strumenti molto bene – per stabilizzare la realtà e che si parlasse solo delle gesta dei terroristi per non parlare dei problemi e dei bisogni delle persone? Non è, questa, una tecnica analoga a quella che si consuma oggi, quando l’amplificazione della violenza serve – di fatto – ad ignorare la vita reale e “normale”, spesso drammatica delle persone, alle prese con una crisi di principi di proporzione gigantesca che ha una ricaduta anche economica

Pensiamo a quello che accade proprio rispetto al numero degli omicidi. Il dato più rilevante è quello costituito da quelli cosiddetti “espressivi” o di “prossimità”. Nel decennio 2003-2012, si contano complessivamente 1.838 omicidi volontari consumati all’interno della sfera familiare o affettiva, con una media annua di 184 vittime, pari ad una vittima ogni due giorni ed un andamento costante. Un dato rilevante, ma ci chiediamo: c’è da stupirsi? Negli ultimi quarant’anni, si è cercato in tutti modi di distruggere la famiglia nei suoi rapporti interni ed esterni, sul piano sociale, economico, legislativo.

Se è lo Stato a non dare più valore alla famiglia, ci si può meravigliare del fatto che “dentro” la famiglia la vita delle persone non valga più niente? Per uno Stato che emana leggi omicide, come la legge 194 sull’aborto e la legge 40 sulla fecondazione assistita e per una società cosiddetta civile, che in questi giorni, con illustri suoi membri, si scatena a favore dell’eutanasia, quanto può valere la vita di un bambino strangolato dalla propria madre? Nulla, perché del nulla e dell’indifferenza si vive, ormai. Senza più valori e senza più principi