Il principio di sussidiarietà (Seconda parte)

Articolo apparso sul n. 81 (1982) di Cristianità

Un caposaldo della dottrina sociale della Chiesa

di Hugo Tagle Martínez

10. L’applicazione del principio di sussidiarietà nella storia

Anche se il principio di sussidiarietà è stato formulato come tale in data recente, questo non significa che prima non fosse presente, con vigore maggiore o minore, nella storia sociale e politica. Facciamo riferimento alla storia della società occidentale, che ha all’origine la città di Roma.La storia della società occidentale si divide in tempi o età, che sono l’Età Antica, il Medioevo, l’Età Moderna e l’Età Contemporanea.

L’Età Antica comincia con la fondazione di Roma nel 754 a. C. e termina nel 476 d. C. con la caduta dell’impero romano d’Occidente; in essa si distinguono quattro periodi, che sono quello della monarchia, quello della repubblica, quello dell’Alto Impero o principato e quello del Basso Impero o dominato.

In questi quattro periodi il principio di sussidiarietà fu applicato durante la repubblica e fino a metà del secolo II, tempo che coincide con l’epoca della maggiore grandezza di Roma; poi, e sino alla caduta dell’impero, l’applicazione di questo principio viene progressivamente abbandonata e l’autorità civile Stato comincia ad assorbire la società, a dominarla, dirigendo persino le attività più private dei cittadini, fino a che questi perdono ogni autonomia; è il tempo dell’assolutismo statale, coincidente con la maggiore decadenza di Roma che culmina con la scomparsa dell’impero d’Occidente, come castigo, in parte, del suo peccato di non avere rispettato l’inamovibile e immutabile principio di sussidiarietà.

Il Medioevo comincia con i regni germanici che succedono nel potere allo scomparso impero romano d’Occidente e si estende fino al tramonto dei secolo XV; in esso si distinguono tre periodi, che sono il primo Medioevo, l’Alto Medioevo e il Basso Medioevo.

In questi tre periodi il principio di sussidiarietà fu applicato durante l’Alto Medioevo o Cristianità, che si stende dal secolo IX o X al XIII, tempo che fu il culmine, o l’alba dell’epoca precedente, nella quale fu conservato con sacrificio il patrimonio culturale anteriore e furono seminate credenze e idee che nell’Alto Medioevo avrebbero prodotto splendido frutto; poi, dal secolo XIV al termine del XV, periodo che si può considerare di transizione, il principio di sussidiarietà comincia a essere progressivamente abbandonato, ma senza che questo fatto, insieme ad altri fattori connessi, provochi nel secolo XV il disastro del secolo VI con la caduta dell’impero romano d’Occidente.

L’Età Moderna comincia nel secolo XVI con lo scisma religioso d’Occidente, che divide la cristianità in due blocchi, uno cristiano cattolico e l’altro cristiano protestante e termina con l’inizio della prima guerra mondiale nell’anno 1914; in essa si distinguono due periodi: il primo si stende dal secolo XVI fino al secolo XVIII e il secondo comprende tutto il secolo XIX fino al citato anno 1914.

Il primo è caratterizzato dalla trionfante accentuazione della corrente statalistica, che era sorta nell’ultima tappa della età precedente e che in questo trova il suo vertice e la sua applicazione più estesa; il secondo e caratterizzato proprio dal segno contrario, dal più sfrenato individualismo o disarticolazione della vita sociale; si produsse ciò che in psicologia si denomina reazione pendolare: da un estremo si passa bruscamente a un estremo opposto.

Ebbene, entrambi i periodi della Età Moderna hanno in comune il fatto che in nessuno di essi e stato applicato il principio di sussidiarietà, perché è assente dalle concezioni o princìpi che fondano le dottrine sociali e politiche dello statalismo e dell’individualismo, che sono state successivamente applicate come rimedio ai mali che colpivano la società delle rispettive epoche.

In questa dimenticanza sta la radice, non esclusiva. Ma molto importante, dei mali di tutta l’Età Moderna, che termina senza risolverli con la catastrofe della prima guerra mondiale.

Il ricordo di quanto accade nella Età Contemporanea, che è la nostra, lo lasciamo per il paragrafo seguente, e finale, del nostro studio.

11. Il crocevia attuale

Il nostro tempo, forse come nessun altro nella storia del mondo occidentale, si caratterizza come un tempo di violenza e di rivoluzione; questa violenza e questa rivoluzione non colpiscono soltanto la vita sociale, ma anche la intimità stessa dell’uomo, il che si manifesta nella pretesa di una dottrina di volere formare un nuovo tipo di uomo, chiamato da esso alla rivoluzione e alla violenza come metodo adeguato per conseguire tale fine.

E’ certamente necessario formare un nuovo tipo di uomo che sia capace di creare un nuovo tipo di società, ma questo nuovo tipo di uomo non può essere quello individualista e razionalista del passato, e ancora meno quello che ne costituisce la necessaria conseguenza, cioè quello collettivista e materialista del presente.

La nostra è un’epoca di violenza e di rivoluzione proprio perché hanno successivamente predominato entrambi questi tipi di uomo, senza che nessuno di essi abbia risolto – perché le soluzioni che favoriscono sono radicalmente false – i problemi che tormentano l’umanità.

La soluzione individualista e razionalista è falsa perché divinizza l’uomo, lo svincola consapevolmente dalle realtà sociali e materiali, e si disinteressa di quelle soprannaturali, e lo costruisce su fondamenti tanto falsi quanto esagerati, che preparano la sua fulminea caduta, come di fatto è successo.

La soluzione collettivista e materialista è falsa perché abbassa l’uomo alla condizione di materia organizzata con un moto che si deve ritmare su quello della materia inorganica, lo svincola consapevolmente dalle realtà soprannaturali e metafisiche, perché le nega e si disinteressa – per dire il meno – di quelle sociali e individuali: a essa interessa soltanto il materiale retto dall’economico; lo massifica e lo abbassa su fondamenti tanto falsi quanto esagerati, che preparano negli uomini ansie di elevazione, di dignificazione, come in effetti oggi sta accadendo.

Il crocevia attuale consiste nel fatto che siamo di fronte, di fatto, alla alternativa di scegliere – terminata ormai la recita, nel grande teatro del mondo, dell’uomo individualista e razionalista – tra l’uomo collettivista e materialista – che, come un miraggio, attrae molti e che si impone con la forza di una brutale repressione senza limiti – e l’uomo che abbiamo definito come unità sostanziale corporeo-spirituale.

La soluzione del problema della violenza e della rivoluzione può darla solamente quest’ultimo tipo d’uomo, perché unisce in sé stesso i due aspetti o poli che costituiscono l’unità dell’essere umano, a condizione che, e questo è fondamentale, riconosca la dimensione verticale del suo essere, che lo lega a Dio, da cui proviene e al quale deve andare, oltre che la dimensione orizzontale o sociale della sua persona.

E’ necessario educare l’uomo partendo perciò dalla sua stessa essenza, bisogna ricavare l’essere umano perfetto e la società perfetta dalla potenzialità della natura umana di ogni individuo, unico modo per risolvere i gravi problemi del nostro tempo.

In questo compito la funzione del diritto e degli uomini di legge è molto importante, poiché la loro missione è quella di riconoscere e di dare a ciascuno il suo, ma dobbiamo riconoscere con umiltà e con gioia che la più importante è la funzione che spetta alla Chiesa cattolica e a quanti partecipano attivamente alla sua missione docente. Ci spieghiamo.

Il principio di sussidiarietà affonda le sue radici nella natura stessa dell’uomo e perciò possiamo conoscerlo con le sole forze del nostro intelletto naturale e applicarlo anche se non integralmente – con la sola nostra volontà naturale, anche se entrambi non esistono completamente svincolati dall’aiuto di Dio, ma, a causa della nostra reale condizione di uomini che portano in sé stessi il segno e gli effetti del peccato originale, che ha debilitato il nostro intelletto e la nostra volontà e che ci fa inclini a cadere nella triplice tentazione – la più attraente per noi, quella del potere, della ricchezza e della gloria – abbiamo sempre bisogno – e oggi molto più di prima – di un profondo legame, intimo, personale con Dio, che ci permetta di ricevere più luce nel nostro intelletto e più forza nella nostra volontà, per conoscere e applicare meglio il principio di sussidiarietà, che è principio fondamentale della vera e buona organizzazione sociale.

In questo compito la missione della Chiesa cattolica – che attraverso uno dei suoi Pontefici ha formulato e ha presentato alla umanità il principio ricordato – è oggi come ieri, all’inizio, – quando è stata forgiata la cultura occidentale, della massima importanza.

Ieri, alla caduta della cultura antica, fu essa a educare l’uomo occidentale e quello che arrivava dal nord e dall’oriente, e, con elementi culturali provenienti da diverse latitudini, amalgamò la cultura occidentale; oggi, mentre l’Occidente e il mondo intero sono sconvolti e cercano un nuovo ordine che risolva i problemi ereditati e quelli nati nel presente, essa è l’unica, purché sia fedele alla missione che le è stata affidata, che, con il suo spirito che le dà forma e la vivifica, per il suo fine, come pure per i mezzi con cui deve lavorare, può educare l’uomo di oggi, come lo ha fatto nel passato, per fare di lui un vero uomo e non una caricatura di esso, che salvi da una grave caduta non soltanto l’Occidente, ma il mondo intero.

Note:

(1) Cfr. REAL ACADEMIA ESPAÑOLA, Diccionario de la lengua española, 191 ed., Madrid 1970, voce subsidiario.

(2) Cfr. Diccionario del Uso del Español, a cura di María Moliner, Editorial Gredos S.A., Madrid 1966, voci subsidio e subsidiario.

(3) Pio XI, Enciclica Quadragesimo anno, del 15-5-1931, in Le encicliche sociali dei Papi. Da Pio IX a Pio XII (1854-1956), a cura di Igino Giordani, 4a ed. corretta e aumentata, Studium, Roma 1956, p. 462.

(4) Pio XII, Lettera al prof. comm. Carlo Flory, presidente delle Semaines Sociales de France, in occasione della 34a Settimana Sociale, del 18-7-1947, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. IX, p. 592.

(5) Giovanni XXIII, Enciclica Mater et Magistra, del 15-5-1961, in Grandi encicliche sociali, a cura di p. Reginaldo Iannarone O. P., 6a ed. ampliata, rifatta e aggiornata, Edizioni Domenicane Italiane, Napoli 1972, p. 276.

(6) Ibid., p. 277.

(7) Ibid., p. 278.

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